Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

La comunicazione al lavoro: fiera dell'ottimismo

09/11/2004 32503 lettori
5 minuti
ARTICOLO DI AMEDEO FRANCESCO MOSCA

Una trentina di relatori succedutisi in quasi cinque ore per dire un qualcosa che Pina Lalli, nel suo intervento conclusivo, ha riassunto in cinque o dieci minuti. Salva qualche reticenza esposta piuttosto timidamente praticamente non si è fatto altro che sfoderare i dati dell'Istat, del Censis, di AlmaLaurea e degli osservatòri delle singole università, piuttosto confortanti, sull'occupabilità dei laureati in Scienze della comunicazione. Abbiamo voti più alti di fino a 8 punti rispetto alla media del gruppo politico- sociale (da cui, guarda caso, sono esclusi i corsi in Scienze del servizio sociale), quasi la metà di noi si laurea in corso contro una media generale che raggiunge uno stentato 12%, a 12 mesi dalla laurea lavoriamo quasi tutti e impieghiamo mediamente due mesi meno degli altri a trovare lavoro.

Tra di noi praticamente non esistono disoccupati cronici, poiché i tre quarti di chi non lavora a un anno dal conseguimento del titolo sta proseguendo l'istruzione o la formazione (tra questi, visto che la rilevazione è del 2003, rientrano probabilmente in gran parte i laureati del nuovo ordinamento, che stanno proseguendo con un master o una laurea specialistica). I dati sull'occupazione dei laureati in Scienze della comunicazione si avvicinano cioè a quelli di laureati tradizionalmente forti come quelli delle facoltà di Economia e Ingegneria, con il vantaggio che noi conseguiamo il titolo mediamente intorno ai 25 anni mentre loro superano i 27. Oltretutto il lavoro dei laureati in Comunicazione è quasi sempre coerente con gli studi compiuti, con un livello di soddisfazione che si avvicina alla totalità (oltre il 90%) contro un 70% scarso della media generale.
Insomma 'sti corsi di Comunicazione sarebbero perfetti; c'è qualcosa da migliorare, ma la situazione è già invidiabile.

E la cosa che sorprende di più è che gli studenti e i laureati che sedevano al banco dei relatori hanno confermato tutto ciò, riducendo i loro interventi ad apologie degli atenei in cui studiano o si sono laureati.
Ovviamente la situazione non è esattamente come è stata presentata alla ComFerenza.

Bastava farsi una chiacchierata con i numerosi studenti che sedevano tra il pubblico, non necessariamente escludendo chi aveva il privilegio di effettuare registrazioni per conto delle rispettive radio e televisioni di facoltà oppure di fare propaganda mediante distribuzione di guide e volantini, da cui ci si aspetterebbe un più alto grado di soddisfazione. La delusione per gli studi intrapresi o compiuti è un sentimento diffuso tra gli studenti e i laureati in Comunicazione. A nessuno è venuto in mente che il motivo per cui tali studenti si laureano prima e con voti più alti è che probabilmente i loro corsi sono più facili (o, per quel che concerne quelli a numero programmato, sono meno affollati e quindi burocraticamente più snelli), nessuno ha pensato che lavorano tutti ma che magari lavorano gratis o quasigratis, nessuno si è posto il dubbio sul significato del termine "comunicazione" (lavorano tutti nel mondo della comunicazione... forse perché tutto è comunicazione) e nessuno si è accorto che chi davvero lavora, seriamente, nella comunicazione lo fa da prima, molto prima che conseguisse la laurea.

Qualche tempo fa l'Istat parlava di «inflazione reale» e «inflazione percepita»: qualcuno ha avuto il coraggio di fare la stessa distinzione per la disoccupazione dei laureati in Scienze della comunicazione. Pina, la studentessa- tipo dell'Università di Salerno, durante il corso di studi avrebbe la convinzione che il titolo che sta per conseguire sia sottoconsiderato sul mercato del lavoro, ma se non si scoraggerà entro un anno dalla laurea rileverà che tale convinzione è sbagliata perché sarà assunta a tempo indeterminato nientedimeno che in una testata giornalistica. Inutile dire che i giornalisti presenti in sala hanno storto il naso.
E, a proposito di giornalisti, inutile dire che i rappresentanti dell'Ordine non hanno fatto che confermare le loro aspirazioni lobbistiche, auspicandosi una riforma a livello europeo che prenda a modello la legge italiana 69 del '63, tanto contestata e tacciata di incostituzionalità, quando in tutto il continente gli unici stati ove la professione è regolamentata sono appunto l'Italia e l'Ungheria e l'Unione Europea va in direzione dichiaratamente opposta, cioè abolizione degli ordini e liberalizzazione delle professioni intellettuali.

Roìdi ha inoltre aggiunto che l'Ordine va in direzione di un'ulteriore regolamentazione della professione, introducendo l'obbligatorietà di una formazione specifica, di tipo accademico (laurea) e professionale (master o scuola di giornalismo).
Tutte cose già sentite, insomma, in questo secondo raduno al Com-PA del Coordinamento nazionale dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione. Pochi gli interventi interessanti, tra cui quello di Michele Mirabella, che da alcuni anni insegna a contratto materie afferenti al settore scientifico- disciplinare SPS/08 (ha insegnato Sociologia della comunicazione all'Università di Lecce e attualmente tiene insegnamenti di Teoria e tecniche delle comunicazioni di massa all'Università di Bari e Ideazione e produzione radiotelevisive alla Iulm).

Mirabella ha sottolineato quanto è importante la passione, la vocazione a svolgere determinate professioni, a prescindere dal titolo di studio. Il quale costituisce un complemento, più che un supporto.
AMEDEO FRANCESCO MOSCA