Associazioni, serve lo stralcio
Nessuna realtà italiana, oggi, può fare a meno di riconoscere il valore e il peso della comunicazione.Nessuna istituzione ne sottovaluta il ruolo. E i numeri ne confermano l’importanza all’interno del sistema paese: quasi il 5% del Pil. Sembra incredibile che, in questa cornice, non sia stata ancora data una disciplina normativa alla professione del comunicatore d’impresa, oramai consolidata nel mercato, ma ancora sconosciuta nella pubblica amministrazione e senza standard qualitativi accertati e certificati.
Una professione a 360 gradi, quella del comunicatore: dalle relazioni pubbliche al marketing, dalle ricerche di mercato allo sponsoring alla pubblicità.
Figure che non sono più catalogabili secondo schemi tradizionali, ma che hanno raggiunto ruolo e dignità in campo economico e sociale con contorni professionali ben definiti.
Secondo l’Ici, il comunicatore d’impresa è chi “eserciti professionalmente e stabilmente, con prevalenza dell’apporto intellettuale, servizi inerenti o connessi all’ideazione, studio, realizzazione, pianificazione, produzione e gestione di azioni nel rapporto di comunicazione tra l’impresa stessa, privata o pubblica che sia, e il contesto sociale nel quale essa opera”. Creare una figura riconosciuta è un’esigenza immediata per assicurarne l’omologabilità e la pari dignità nell’Unione europea, ma anche per garantire uno standard minimo qualitativo e una tutela adeguata agli interessi non solo dei professionisti della comunicazione, ma soprattutto dei cittadini-consumatori.
La legislazione italiana deve ancora attuare pienamente la direttiva Cee 92/51, con l’istituzione di regole di accesso in linea con gli standard minimi europei.
Non che manchino le proposte legislative. Nel solo 2001 ne sono state ripresentate quattro da parlamentari di maggioranza e opposizione che, pur con le proprie specificità, hanno un denominatore comune: t6utte prevedono la certificazione pubblica delle associazioni professionali, e quindi dei loro soci, selezionate in base a criteri di capacità formativa ed etica professionale, sotto lo stretto controllo del Cnel, che in questi anni ha maturato e consolidato conoscenza del tema e capacità di controllo affidabili.
Sintomo ulteriore della vivacità del settore e dell’urgenza dell’argomento è l’interesse delle Regioni che, dopo la riforma del Titolo quinto della Costituzione, rivendicano un ruolo decisivo per dare una dimensione federalista al riordino della materia.
Ora, però, non c’è più tempo da perdere: è necessario il varo di un provvedimento mirato esclusivamente a sanare in via definitiva le lacune normative. E’, infatti, impossibile arrivare in tempo ragionevole a una riforma complessiva del sistema, che riguardi contemporaneamente le professioni ordinistiche e quelle non regolamentate. È anzi inutile, oltre che dannoso, tentare di riaprire contrapposizioni con il solo obiettivo di lasciare tutto come era prima, come è avvenuto nella scorsa legislatura.
Solo lo stralcio delle norme che riguardano le professioni senza riconoscimento, secondo le linee più volte chiaramente indicate dalla Comunità europea, può consentire di arrivare a una rapida soluzione.