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Il turista consapevole secondo De Masi

06/12/2005 12604 lettori
4 minuti

E' docente di Sociologia del Lavoro all'Università La Sapienza di Roma, e si occupa di tematiche sociali e sociologiche aggiungendovi sempre quel pizzico di ironica creatività che lo contraddistingue. Secondo Domenico De Masi, c'è tutto un modo per comunicare il turismo facendolo crescere. Ecco cosa ha detto a Comunitazione.

 

Professor De Masi, ma il turismo è in crisi o no?

«No, non lo è. Si dice che il guaio del turismo italiano sia di essere fatto di costi alti, e che quindi bisognerebbe abbassare i prezzi. Macché, io dico che invece il turismo italiano è fatto di costi bassi! Sono in crisi gli alberghi a due, tre stelle, non quelli extralusso. Sono i servizi ad essere scadenti. Nel mondo ci sono circa 90 milioni di turisti medio ricchi che sono disposti a spendere soldi. Bisogna solo saper fornire loro pacchetti integrati di alta qualità che attirino turisti di alto livello. L'Italia è fatta di luoghi piccoli, che nel raggio di poche decine di chilometri consentono di vedere molti bei posti. Sfruttiamoli meglio!». 

Ecco, in che maniera si potrebbero sfruttare meglio?

«Creando attrattive per i turisti che io chiamo 'consapevoli'. Si tratta di turisti ricchi e colti, che possono portare un sacco di soldi. E' a loro che bisogna puntare. Di per sè, i turisti non mancano, ma il turismo italiano ha bisogno del cliente abbiente. E non si deve puntare sulla fidelizzazione: il turista fidelizzato è conservatore, non ama i cambiamenti. Vuole ogni anno sempre la stessa stanza, le stesse cose.  Molto meglio il turista di passaggio, quello che magari torna dopo 5 anni o non torna più».

Come è messa l'Italia in fatto di concorrenza?

«L'Italia ha sprecato un ventennio in cui avrebbe potuto migliorare le proprie strutture turistiche: non aveva concorrenti perché erano tutti in guerra. Mi riferisco all'Europa dell'Est. Adesso, invece, un nostro concorrente straordinario diverrà sicuramente la Jugoslavia».

Lei è stato chiamato a mettere la propria esperienza al servizio del turismo di Ravello, un paese sulla costiera amalfitana. Me ne parla meglio?

«Andavo in vacanza a Ravello già da diversi anni, e un giorno mi chiesero di fare l'assessore esterno al turismo. Ho accettato per hobby, anche perché Ravello in passato ha ospitato tanti illustri personaggi: penso a Greta Garbo, ma anche a Wagner, che ci ambientò parte del Parsifal. Per prima cosa, cercai di convincere la gente del posto che bisognava puntare più sulla qualità che non sulla quantità: per fare un esempio, alcuni hotel mi chiesero di poter raddoppiare le stanze. Io risposi loro di raddoppiare i prezzi! Gli hotel di Ravello erano quasi tutti poco più che locande: consigliai loro di ristrutturarli, migliorando la qualità dell'offerta».

E cosa mi dice del Ravello Festival?

«La prima edizione c'è stata nel 2003. Abbiamo ideato una manifestazione che dura 80 giorni e che è di grande richiamo soprattutto per la sua qualità. Abbiamo suddiviso il festival in varie sezioni, così da accontentare differenti target. Ogni anno c'è un tema conduttore: noi stabiliamo i temi di 6 anni in 6 anni».

Ha dovuto lavorare su un cambio di mentalità da parte degli abitanti di Ravello?

«Sì. Non bisogna mai lasciare niente al caso: se un turista viene e trova il tassista che vuole fregarlo o l'edicolante scortese, si fa un'idea negativa del posto, non pensa che sia ospitale. Il pubblico del Ravello Festival è disposto a pagare anche tanto, ma in cambio vuole la perfezione. Questo è stato un problema, in quanto noi meridionali siamo per definizione incompiuti. Abbiamo quindi dovuto abituare tutti ad essere molto puntuali. Un giorno un medico ha scritto al Mattino protestando perché era arrivato con un quarto d'ora di ritardo e aveva trovato tutto chiuso: questa per noi è stata un'ottima pubblicità».

Bisogna educare solo alla puntualità per avere un buon turismo?

«Tutt'altro! Abbiamo dovuto operare anche un'educazione all'estetica, ma questa è stata una difficoltà minore, in quanto per fortuna qui in Italia abbiamo una bella cultura estetica, una bella cultura musicale».

Mi ha colpito il fatto che al Ravello Festival puntiate anche molto sul volontariato...

«Chi non ha soldi viene qui a lavorare. In questo modo può assistere al Festival, e contemporaneamente ci dà una mano. Ciò vale per i giovani, ma ci è capitato di avere anche alcuni autisti sessantenni. Tutti possono offrire il proprio aiuto».

La musica deve avere spazi appositi?

«Li deve avere, anche perché deve essere sempre competitiva con le altre manifestazioni musicali. Il Ravello Festival è al livello dei migliori Festival europei. In futuro costruiremo un Auditorium per avere disponibilità di spazi anche al chiuso. Si deve partire dai contenitori, ma si deve anche avere una struttura pianificatrice ben definita».

Massimo Giuliano
Massimo Giuliano

Ho collaborato con varie testate cartacee, tra cui Il Tempo e Intercity. La musica è il mio interesse principale: ho recensito cd e concerti per vari siti Internet (NotizieNazionali.net, L'isola che non c'era, Musicalnews.com) mentre oggi sono redattore di IlPescara.it, gruppo editoriale Citynews-Today. Mi sono occupato per anni anche di uffici stampa e comunicazione, collaborando inoltre da esterno con agenzie ed emittenti tv per realizzare servizi ad hoc.