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Giornalismo di pace

21/01/2003 16:30:47 8746 lettori
5 minuti
Pubblichiamo così come ci è arrivato l’intervento che Gloria Capuano ci ha inviato per presentare l’iniziativa “Giornalismo di pace” e…la sua particolare esperienza di “comunicatrice”.

Chi sono?
Sono una ragazza nell’ottantesimo anno d’età.

L’età è importante?
No, le età sono importanti.

Perché?
Quella della giovinezza produce il serbatoio di base che alimenterà le altre età.

In che senso?
Da giovani s’intuisce e si costruiscono i perché, da adulti si opera su questi perché, da anziani si elabora la critica su ciò che si è pensato e su come si è operato.

Qual è stato il mio comportamento?
Da giovane ho ritenuto d’aver diritto alla mia opinione e di esprimerla. Dopo ho continuato a coltivare e a praticare questa convinzione tutta la vita.

Quale il risultato?
In senso assoluto è non calcolabile. Non sappiamo se alla distanza contino più i sussurri o più le grida. In senso relativo ho impiegato energie che sarebbero bastate a percorrere parecchie carriere nei canali predisposti, cioè politica o giornalismo.

Invece?
Invece disponevo di una laurea in medicina e chirurgia, che ho coltivato nell’ambito della medicina sociale. Vivevo intervenendo in tutti i convegni a me accessibili, a cavallo tra la medicina e la giurisprudenza, ma senza avere purtroppo una qualifica specialistica o una posizione di prestigio.

Come è andata?
Credo di aver molto seminato; in genere ho suscitato molto interesse e sortito consensi e forti reazioni, però la cosa è rimasta circoscritta ai settori interessati, essendo io priva di qualsiasi sostegno politico e di particolari amicizie mediatiche.
Insomma la comunicazione non ha fatto il suo dovere, convinta di dover dare notizia soltanto degli accadimenti, e non anche delle idee.

E allora è stato inutile?
No, è sicuramente stato utile, ma…
Se avessi imboccato una delle due altre vie, avrei forse operato in maniera meno dispersiva e mandato più a segno i messaggi che sentivo fortemente di dover offrire.
C’è però anche il dubbio che una qualsiasi adesione politica mi avrebbe costretta ad omologarmi agli altri.

Quali sono in sostanza questi messaggi?
Tra i non pochi messaggi nei quali credevo, e nei quali ancora credo e per i quali mi batto, ne dico uno che ritengo prioritario: l’art. 21 della Costituzione che riguarda la libertà d’espressione.
Non ci si lasci ingannare, nella realtà democratica, specie da noi, questa libertà non esiste, essendo invece patrimonio soltanto dei giornalisti, e non sempre neppure loro.
Poi, subito dopo, nello “star system” quanto mai deprecabile nel quale viviamo, vengono coloro che offrono di sé un’immagine televisiva continuativa: presentatori, show-girls, conduttori di programmi d’intrattenimento, attori, cantanti, sedicenti opinionisti o come tali presentati; tutti i partecipanti di un “salotto buono” dove c’è un incredibile scialo di luoghi comuni, insomma proprio tutti meno che i cittadini.
I cittadini definiti dai “giornalisti” con buona pace della democrazia, “gente comune” o, in stridente contrasto, all’opposto, quando se ne sollecita il voto, “popolo sovrano”.
Così siamo arrivati al punto che i politici si esibiscono come attori e gli attori come politici.
Beninteso è di gran lunga peggiore la situazione là dove manca del tutto la libertà d’espressione e dei giornalisti e di tutta quella corte di gente alla quale si permette di fare opinione, che per distorcente che sia, è meglio di niente.

Qual è allora la morale?
La morale è che non ci si deve fare imbonire quando la categoria rivendica la libertà d’espressione e il tanto strombazzato pluralismo.
Il mondo è sostanzialmente diviso tra i luoghi dove l’essere umano non ha la più lontana possibilità di parola, dove cioè il giornalismo è messo totalmente a tacere, e i luoghi dove questa possibilità risponde a regole di una cultura settoriale a metà tra il business e la gestione del potere che rappresenta, assolutamente mutila dei vasti e diversi contenuti della realtà sociale.
Che è fatta d’azioni ma anche (ancora, ma quanto e fino a quando?) di pensiero.

Ma che cosa è che più mi motiva nell’auspicare e nell’adoperarmi per un cambiamento?
La motivazione è quasi tragica.
Ho creduto d’individuare nella Comunicazione l’unico possibile definitivo collante del mondo, essendo arbitra di scoprire la realtà e farsene testimone, di distorcerla o falsarla anche non volendo, di pattinarci sopra con superficialità e incoscienza, infine di crearla di mantenerla in riserve chiuse e fossilizzate assecondando menù preconfezionati.
Quando invece dovrebbero e potrebbero acquisire una grande profonda capacità di decrittare i linguaggi, offrendone diversi e più duttili significati e insegnando con l’esempio a spogliarsi da ogni fanatismo e rancore.

E allora quali sono le mie deduzioni?
Ho dedotto che per cambiare il comune giornalismo occorre affiancargli un ben diverso “giornalismo” che sappia condurre la storia e la cultura a vantaggio dell’uomo e non a farne dei prigionieri.
A tale scopo occorre una superpreparazione di totale conoscenza idonea a fare da ponte tra i luoghi della negazione totale della parola e i luoghi dove la parola è privilegio statico e sterile di pochi.

Di che cosa si tratta?
Di un progetto difficilissimo estremamente impegnativo, di un progetto plurigenerazionale, di una vera e propria paternità del futuro.
Un’utopia insomma, cioè di quell’unico campo dove vale la pena di seminare.
Negli altri campi abbiamo già seminato, e abbiamo raccolto soltanto oggetti di distruzione di massa e linguaggi estremistici densi d’odio o, da noi, di stolide rivalità caserecce.

Quindi, in sostanza…?
La mia proposta è quella di formare una specie d’accademia di Giornalismo di Pace, con un programma di studi di natura olistica, comprendente cioè tutte le discipline, frequentato da persone dotate di grande vocazione alla Pace, d’estrazione e rappresentanza di tutte le diverse aree geopolitiche del modo.
Questo superiore giornalismo dovrebbe diventare “Codice e Etica”del giornalismo comune.

Che cosa ne hanno detto gli addetti ai lavori?
Che cosa non ne hanno detto. Non hanno sentito neppure il dovere di darne notizia; e dunque come è possibile esecrare la violenza se per arrivare alle prime pagine e alla TV continua ad essere la violenza la giusta chiave d’accesso?
Tuttavia sono tenuta in buona considerazione da chi, tra coloro che per caso mi hanno letta o sentita, osa ancora pensare con la propria testa, e non per cordate che vanno per la maggiore.
Ovviamente, nel lavoro che sto compiendo per tracciare le linee di questo progetto, presento di sicuro cedimenti o espressioni reattive, o incorro certamente in errori; ma questo è umano; la mia è solo una proposta, sta ai giovani raccoglierla e coltivarla, e svilupparla, ma sta alle Istituzioni realizzarla.

Che cosa conto di fare?
Non sono in grado di fare assolutamente nulla, anche per via dell’età, tranne che portare la mia testimonianza on line. Alle Istituzioni non posso arrivare perché sono politicamente fuori.
Quanto ai giovani…tutto quel che ho detto è rivolto a quelli tra loro che sono già predisposti all’idea che la vita ci appartenga soltanto in una certa misura, potendo essere in massima parte un ponte per il futuro. Questo se vogliamo darle un senso e se vogliamo mettere in primo piano la pacificazione tra gli uomini.
Anche per loro purtroppo, come in tutto ciò che concerne l’umanità, è di ostacolo il forte attrito tra gli ideali e il quotidiano, fatto di necessità primarie.
A questo punto non c’è che da affidarsi alla immaginazione, tentare di conciliare nella determinazione di fare egualmente, prodigarsi, anche senza attendersi nulla o quasi nell’immediato, ma operando nella fiducia che tutto può essere nelle nostre mani, senza mai scoraggiarci.

Gloria Capuano

P.S. Le mie proposte di lezioni di Giornalismo di Pace si trovano nel sito www.ildialogo.org/aspi.
I miei articoli sono in “Controcorrente” del sito www.ildialogo.org.

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