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il male è nella tv?

28/01/2003 28316 lettori
4 minuti
D: Dottoressa Ferraris, benvenuta su comunitàzione, innanzi tutto.
La prima domanda a bruciapelo... Quale è il suo parere sulla televisione italiana?

R: Si è deteriorata stagione dopo stagione. I buoni programmi sono sempre più rari e sempre più notturni. Abbondano i programmi trash soprattutto nel prime time. Gli spot pubblicitari sono invadenti, aggressivi e troppo frequenti (anche se, ovviamente, spesso migliori dei programmi in cui sono inseriti). Questo deterioramento è dovuto a vari fattori tra cui anche al numero dei canali e al numero di ore di trasmissione: impossibile colmare di buoni programmi una così elevata quantità di spazi mediatici.

Il voyerismo interpretato dai reality show è una delle mode attuali portate da internet, oppure è sempre esistito e solo oggi, grazie ai mezzi di comunicazione ce ne rendiamo conto?

R: Il voyerismo c'è sempre stato, i mezzi di comunicazione attuali però moltiplicano il fenomeno in modo esponenziale. Inoltre, proponendo il voyerismo come normalità o addirittura routine, lo “autorizzano”, lo trasformano in moda, in stile di vita.

Può la televisione essere, come sostenevano Benjamin e Becht, un elemento di svago ma anche di cultura?

R: Potrebbe esserlo. Certamente. Dovrebbe però essere gestita da persone che non rispondono alle logiche dei partiti e degli sponsor. Si possono fare programmi culturali brillanti. Attualmente, non soltanto la cultura ma anche lo svago è spesso insoddisfacente (elementare, ripetitivo, burino…).



E allora, come può la televisione fare cultura, con i quiz? con Quark?

R: Certo non con i quiz. Non mancano, specie in alcune tv europee, esempi cui ispirarsi. In Rai (ma non solo) ci sono professionisti capaci di fare ottimi programmi culturali non pedanti, purché ci sia la volontà di farli.


L'industria televisiva si è spostata un po' troppo sulla volgarità. Sostengo che gli autori non faccianno altro che seguire i desideri del pubblico. E allora mi viene da chiedere perchè c'è tanta sete di violenza e di sesso? Perché cerchiamo nella televisione fascino e seduzione?

R: Non condivido questa equazione. Il pubblico più fedele (le 5.000 famiglie dell'Auditel che tengono in scacco il Paese, che sono state estratte da un campione di consumatori di prodotti per la casa e che non sono affatto rappresentative del potenziale pubblico italiano) si è formato e continua a formarsi sui programmi che vengono proposti: non sono abituati ad una varietà di programmi (uno dei requisiti della qualità), conoscono soltanto alcuni generi, hanno orizzonti angusti e aspettative limitate. Molti tra gli spettatori più accaniti non leggono libri, non leggono giornali, non partecipano a dibattiti, non ascoltano conferenze, non vogliono essere disturbati da programmi impegnativi perché sono abituati a messaggi immediati ed elementari fin dall'infanzia. Questo tipo di pubblico - che però non esaurisce affatto "tutto" il pubblico reale e soprattutto quello potenziale - ricerca il sesso e la violenza perché le scene di sesso e di violenza sono facili da capire, da assimilare e procurano emozioni. Inoltre, questi spettatori "elementari", amano specchiarsi nei personaggi televisivi, identificarsi con loro e quindi premiano quelli che non li inibiscono (come Amendola, ad esempio o Taricone, la D’Eusanio, la De Filippi, Gerry Scotti, Gilletti e moltissimi altri), che non li fanno sentire inadeguati con la loro preparazione e cultura, che non li obbligano a riflettere o a cambiare e in cui possono riconoscersi.

Il servizio offerto dai media, si appoggia sui nostri desideri... quindi, forse, la comunicazione non crea desideri, li rende solo espliciti.
Berger e Luckmann hanno scritto "la realtà come costruzione sociale". Non sarebbe quindi meglio interpretare anche il fenomeno dei media in questa ottica? cioè, se è attraverso la narrazione continua che si costruisce la realtà, non sarebbe più giusto dire che la televisione e i telespettatori, insieme, costruiscono le mode, i temi e i tempi e non che i telespettatori prendano per buone quelli dettati dalla televisione?

R: E' una tendenza dei medium televisione omologare gli spettatori. Serve ai gestori delle tv per vendere il pubblico agli sponsor. Per esempio, quando si parla di bambini si fanno rientrare in un'unica categoria spettatori molti diversi per interessi, maturità e visioni del mondo: un bambino di 12 anni ha gusti, desideri, aspettative, capacità cognitive ecc. molto diverse da un bambino di 9, e questi da uno di 7, di 5 o di 3 e naturalmente molto diverse anche da quelle di una casalinga, di uno studente, di un filippino o di pensionato.
Il pubblico in realtà è variegato. Lo è soprattutto all’origine, prima di essersi sottoposto alle diete televisive. L'idea di una "costruzione sociale collettiva" nasce da una valutazione che non tiene conto del potere di influenzamento che ha un medium come la tv che entra capillarmente nelle case, intrude nella sfera intima delle persone in qualsiasi momento del giorno e della notte. Inoltre, anche se la maggioranza degli spettatori condividesse gli stessi desideri, gusti, temi e aspettative, in una democrazia degna di questo nome non dovrebbero mai essere ignorate o sottovalutate le minoranze, spesso più creative e innovatrici della maggioranza.

Abbiamo attraversato un corridoi anche metogologico-sociale. Preferirei fare un passo indietro a modo mio.
Quanto c'è di giusto nel classificare la televisione tra i socializzatori?

R: Socializza ma in modo e in misura insufficiente. Spesso per stereotipi. La socializzazione nel mondo reale è molto più ricca, complessa, impegnativa e coinvolgente.

Come mai la televisione ha tutto questo "potere" sui bambini?

R: Perché molti bambini vengono messi davanti al video già durante l’allattamento e quindi sono condizionati precocemente alla presenza, alle figure, ai lampi e ai suoni della scatola luminosa. In realtà, però, tra il gioco di movimento con i coetanei e la tv la maggior parte dei bambini, quando può realmente scegliere, sceglie ancora il gioco.

Mi sembra che da varie ricerche si possa evincere che i bambini sappiano distinguere la fiction dalla realtà. Mi sbaglio?

R: Dipende dall’età. I più piccoli fanno notevoli confusioni. Questa distinzione non è comunque risolutiva: lo spettatore (anche adulto) può essere pesantemente influenzato dalla fiction pur sapendo che si tratta di finzione. Comprensione ed emotività non sempre vanno di pari passo. La mente dei bambini non è fredda come quella di un computer…

Come può un genitore aiutare il proprio figlio ad interpretare nel giusto senso la fiction?

R: Man mano, spiegandogli cosa c’è dietro le quinte e parlandogli delle regole della comunicazione per immagini. Cercando di aiutarlo a porsi dal punto di vista del regista, dei gestori della tv, dei conduttori, dei pubblicitari, degli attori ecc. Facendogli notare le differenze tra realtà e rappresentazione, tra esperienze autentiche e recitazione, tra persone e personaggi, tra vero e verosimile. Spiegandogli perché la televisione è così spesso autoreferenziale. Parlandogli dell’industria televisiva. Facendogli apprezzare i buoni programmi e aiutandolo a distinguerli da quelli scadenti, ammiccanti, dozzinali, realizzati soltanto allo scopo di vendere dei prodotti.

Il codice di autoregolamentazione "stipulato" dalla RAI, aiuterà forse i genitori nel loro dovere. Ma cosa può fare ancora la televisione?
R: Non c’è da aspettarsi molto, oggi, perché le logiche cui si ispirano le tv (private e pubbliche) sono sostanzialmente commerciali. La televisione potrebbe, se lo ponesse tra i propri obiettivi, insegnare ai genitori una corretta gestione del medium (tempi e modi).

E cosa può fare il telespettatore per modificare la televisione?

R: Scrivere o telefonare alle tv per ottenere un cambiamento è tempo sprecato. Meglio guardare soltanto i programmi che interessano e di qualità e penalizzare, non guardandoli, quelli insulsi e scadenti. Evitare di tenere il televisore acceso come rumore di fondo.

Professoressa, mi sono spinto un po' troppo in là varcando a volte dei confini. E le chiedo scusa, ma un ultima battuta. Anche internet ha bisogno di un minimo di regolamentazione? oppure qualcosa di veramente anarchico può finalmente vedere la luce?

R: Questo discorso lo rimanderei ad una prossima volta….

La ringrazio molto e spero che i visitatori trovino il tempo per scrivere qui di seguito i loro pensieri, così da continuare con tutta la comunità la nostra discussione.
Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.