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La comunicazione politica secondo Nuccio Fava

01/03/2006 15583 lettori
5 minuti

Nuccio Fava è uno dei più prestigiosi giornalisti italiani. Già direttore, tra le altre cose, del Tg1, attualmente guida “Il campanile”, quotidiano dell’Udeur. Comunitazione lo ha incontrato per parlare di comunicazione politica. Un tema molto scottante in questo periodo di campagna elettorale. Per Fava, il comunicatore politico «non può fare il piazzista», e l’efficacia del messaggio è ancora più importante di ciò che si comunica.

 

 

 

Dott. Fava, che legame c’è tra comunicazione e politica?

 

«C’è un legame stretto. Prendiamo il Comune: specie nell’esperienza italiana, esso è stato, prima della nazione, un elemento molto forte di identità dei cittadini rispetto all’emergere di un vincolo della cosa pubblica, cioè di ciò che è “comune” a tutti. La stessa radice etimologica del termine si lega a “comunicazione”. E la comunicazione implica uno scambio vitale che non può essere unidirezionale, ma comporta reciprocità nel percorso comunicativo. La politica non ha molto senso se non coinvolge le persone dialogando direttamente con loro».

 

Come si sfrutta la comunicazione politica in campagna elettorale?

 

«Le caratteristiche della campagna elettorale restringono il discorso della comunicazione politica ad una mera trasmissione di messaggi, che dev’essere diretta. Si rende necessaria una dimensione comunicativa costante nei confronti dei cittadini. Il momento elettorale è fortemente condizionato da una dimensione emotiva, soprattutto per quanto riguarda l’impatto sugli elettori. Negli anni ’60, con l’irrompere della tv nel dibattito pubblico, ci fu un’importante svolta: John Kennedy vinse le elezioni e divenne presidente degli Stati Uniti perché, parlando in televisione, seppe comunicare meglio degli altri. La tv, insomma, fu determinante per il risultato finale. È stata un elemento decisivo anche per la vittoria di Bush, che ha saputo continuare ad esprimersi come il garante dei valori americani più di Kerry, che pure era dato per vincente».

 

Anche in Spagna la comunicazione politica si è rivelata importante…

 

«Aznar ha perso credibilità quando, in seguito agli attentati di Madrid, ha cercato di attribuire la colpa ai separatisti baschi. Con quel gesto, ha commesso un grave errore. La tv lo ha criticato, e la gente non lo ha ritenuto più affidabile. In quel caso, la possibilità di disporre di tutti i mezzi di comunicazione si è rivelata per lui un boomerang. E alle elezioni ha vinto Zapatero».

 

In Italia la tv, e in generale l’esposizione ai media, è importante?

 

«Senza dubbio sì. “Porta a porta” è stata definita la terza camera del Parlamento, e non c’è da stupirsene se si pensa che Giuliano Amato ha dato proprio in quella sede l’annuncio della candidatura di Francesco Rutelli alle politiche del 2001. Per la politica, la tv è uno strumento fondamentale, che negli anni è andato acquisendo sempre più peso. L’esposizione mediatica, che in alcuni momenti può sembrare inopportuna, dà sempre i suoi frutti. Clemente Mastella ne è una dimostrazione: anche quando va in tv a mangiare gli spaghetti o a prendere le torte in faccia, trae un vantaggio da quello che fa».

 

In che misura ciò che dicono e fanno i politici può influire sul voto finale?

 

«Dipende da tante varianti. Gli indecisi, quelli che fino all’ultimo non sanno per chi votare, ci sono dall’inizio della campagna elettorale. È ovvio che ogni parola e ogni gesto di un politico abbia il suo significato e le sue conseguenze, ma tanto per fare un esempio, se la vicenda Calderoli fosse accaduta poco prima del 9 aprile, avrebbe avuto di sicuro un’incidenza maggiore sulla campagna elettorale».

 

Come fa un messaggio elettorale ad essere efficace?

 

«Deve saper interpretare i bisogni di una comunità, il sentire diffuso nell’opinione pubblica. La sua efficacia sta in questo. Nella comunicazione politica bisogna confezionare un messaggio persuasivo, ma soprattutto riscontrabile in quanto concreto e rispondente ai bisogni dell’elettorato. È così che si vince la campagna elettorale».

 

Per la comunicazione politica si può dire, parafrasando Mc Luhan, che “il mezzo è il messaggio”?

 

«Io credo che conti più l’efficacia dei messaggi che non ciò che si comunica. È importante che i messaggi siano indirizzati a settori specifici della società. Tuttavia, oltre al target (giovani, famiglia, ecc…), il messaggio politico – lo ripeto – deve offrire una risposta che sia percepita come valida dall’insieme dell’elettorato. Il comunicatore politico non può fare il piazzista: le agevolazioni per gli ultrasettantenni di cui parla Berlusconi vengono viste come un elemento propagandistico, perché si trascurano temi più importanti, che non sono affrontati né spiegati in termini semplici e chiari».

 

Berlusconi è o no un bravo comunicatore politico?

 

«In campagna elettorale è stato bravo a dire cose che sono state percepite come credibili, ma è chiaro che oggi Berlusconi abbia fallito e che il suo governo si sia dimostrato inadeguato. Romano Prodi, invece, non è il massimo della comunicatività, ma ad ogni modo è un personaggio credibile».

 

Per essere credibili, nei messaggi elettorali non bisogna raccontare bugie, giusto?

 

«Esatto. Il muro di Berlino è crollato per la distanza che c’era tra l’autorappresentazione che il regime comunista faceva della propria situazione e il confronto che la gente operava con il sistema della comunicazione esterna. È l’effetto della comunicazione globale, in cui siamo immersi sempre più».       

Massimo Giuliano
Massimo Giuliano

Ho collaborato con varie testate cartacee, tra cui Il Tempo e Intercity. La musica è il mio interesse principale: ho recensito cd e concerti per vari siti Internet (NotizieNazionali.net, L'isola che non c'era, Musicalnews.com) mentre oggi sono redattore di IlPescara.it, gruppo editoriale Citynews-Today. Mi sono occupato per anni anche di uffici stampa e comunicazione, collaborando inoltre da esterno con agenzie ed emittenti tv per realizzare servizi ad hoc.