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Design dell'interazione: Prefazione

28/09/2006 19540 lettori
5 minuti

Prefazione

Comunicare è la nuova sfida nella quale siamo tutti implicati.

Nell’introduzione al suo libro “le sfide della comunicazione” la Gambardella Piromallo dipinge l’importanza della comunicazione:

 

Comunicare è uscire dal proprio magico cerchio e stabilire con gli uomini rapporti brevi o lunghi, intensi o effimeri, ma il cui esito non è mai pre-definito; perciò la comunicazione è la grande avventura dell’esistere: rischiosa, infinita, dal ritorno incerto[1].

E se fino a qualche decennio fa comunicare voleva dire mettere in comune per mezzo della oralità, della scrittura, e dell’immagine i propri sentimenti, oggi, con le nuove tecnologie questa sfida si apre ad un nuovo e diverso universo. Le barriere spaziali e temporali vengono a frantumarsi, dilatarsi, estinguersi.

Sia nella comunicazione one to one, sia nella comunicazione uno a molti, l’universo si dilata prendendo nuove e diverse prospettive.

L’agorà delle antiche polis greche si trasforma in un blog dai confini temporali e soprattutto spaziali indefinibili. Quello che una volta rappresentava il salotto domestico, simbolo stesso e barriera delle chiacchierate con gli amici, adesso si trasforma in un nuovo salotto dove chiunque ha un invito[2] può entrare nella vostra cosa, indipendentemente dalla sua collocazione temporale e spaziale.

Per quanto riguarda invece la comunicazione uno a molti, sembra non rivestire più quell’importanza di una volta, quell’esclusività di produzione dei contenuti e delle informazioni, lasciate nelle mani di pochi editori. Adesso chiunque può diventare fornitore di informazioni, sapere, conoscenza.

Quello che una volta era l’unico centro di produzione dei contenuti (l’editore fondamentalmente) si trasferisce alla periferia del sistema. Infatti, con l’internet in modo particolare, si assiste ad un decentramento dei luoghi di produzione delle informazioni, spingendo molti autori a parlare di una quarta ondata, nella comunicazione. Così Maldonado:

 

[…] lo stesso Ong ha individuato un periodo di scrittura primaria che copre l’arco di tempo fra l’invenzione della scrittura (fase chirografica) e l’invenzione della stampa a caratteri mobili (fase tipografica). Curiosamente, Ong non ha preso in considerazione che, in concomitanza con l’oralità secondaria, esiste oggi anche la scrittura secondaria, ossia la scrittura risultante dall’uso dei mezzi elettronici di seconda generazione[3].

 

In modo particolare Maldonado si riferisce all’uso della posta elettronica:

 

è uno degli esempi più caratterizzanti di questo fenomeno. Dopo l’arrivo dei mezzi elettronici di prima generazione che sanciva un predominio assoluto dell’oralità e dell’immagine (si pensi solo alla televisione) molti disperavano sul futuro della scrittura. […] È la posta elettronica a riproporre, con forza e a vasto raggio, la pratica della scrittura[4].

Con la posta elettronica si ha uno strumento per comunicare, ad alta qualità e con velocità considerevole, tra un gruppo pressoché illimitato di persone. Ne fanno largo uso le comunità scientifiche, così come le comunità di pratica o le comunità fra pari.

 

Nulla di simile infatti è esistito prima, in grado di fornire in qualità e quantità, prestazioni comunicative di tale efficienza, ossia di tale accessibilità, celerità e affidabilità. E’ plausibile quindi assumere che, in un prossimo futuro, il suo uso generalizzato potrebbe, almeno in teoria, svolgere un ruolo importante nella gestione complessiva del sapere nella nostra società, tanto nella sua diffusione quanto nel suo approfondimento[5].

 

Le osservazioni di Maldonado si legano bene alle osservazioni di P. Levy sull’intelligenza collettiva, secondo cui:

 

L’intelligenza collettiva […] è un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze[6].

Per Levy, l’intelligenza distribuita è un assioma di partenza, poiché nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità[7]. Nella sua definizione di intelligenza collettiva è il caso di soffermarsi però, soprattutto sul concetto di coordinazione in tempo reale dell’intelligenza:

 

il coordinamento in tempo reale delle intelligenze implica dispositivi di comunicazione che, al di là di una certa soglia quantitativa, dipendono obbligatoriamente dalle tecnologie digitali dell’informazione[8].

 

I nuovi sistemi di comunicazione, secondo Levy dovrebbero permettere l’interazione decentralizzata all’interno di uno stesso universo di significazione.

I mezzi di comunicazione elettronici quindi permetterebbero un nuovo coordinamento delle informazioni non più centralizzato ma periferico, una distribuzione dell’intelligenza nel tempo reale e l’alta qualità delle informazioni trasmesse. Perché tutto ciò possa avvenire c’è bisogno anche di un codice comune di codifica e decodifica delle informazioni in forma digitale. Cioè la possibilità di superare le barriere spazio/temporali e i limiti implicanti l’uso di software e tecnologie diverse.

In questo contesto, gli artefatti cognitivi assumono un’importanza particolare in quanto strumenti che rendono visibile ciò che altrimenti sarebbe invisibile, ma anche sistemi simbolici con cui si manipolano e si trasformano le stesse rappresentazioni[9]. L’artefatto[10] dunque è uno strumento ma anche un medium.

 

Con il concetto di artefatto, inoltre, lo stile comunicativo si traduce immediatamente in un’azione – concreta o astratta – su di un evento fisico o mentale e ciò non può rimandare al multiforme universo mediatico[11].

 

Sembra nascere invece l’esigenza di una prospettiva biologica, per cui il futuro dell’uomo è legato indissolubilmente al futuro della tecnologia.

A pensarci bene però, ci si ricorda che l’uomo faber nasce prima o comunque contemporaneamente alla comunicazione umana. Fin quando l’uomo non ha imparato a costruire degli strumenti sembrerebbe non aver avvertito la necessità di comunicare con i propri simili. L’homo loquens è più o meno contemporaneo all’homo faber[12].

Rossi-Landi a tal proposito, affronta il problema del rapporto tra artefatti materiali e artefatti linguistici, evidenziandone le profonde omogeneità, derivanti proprio dal fatto che entrambe sono produzioni del lavoro umano in cui sono presenti aspetti naturali e insieme sociali[13].

 

L’uomo non avrebbe potuto lavorare ad alcun oggetto se non comunicando linguisticamente con altri lavoratori (e sia pure con lingue rudimentali, forse all’inizio ai confini del gestire[…]) e, per converso, la comunicazione linguistica presuppone un mondo di oggetti reali cui il discorso si riferisce[14].

 

Questa prospettiva di analisi, per cui gli artefatti e il linguaggio sono legati indissolubilmente, porta con se un substrato di significati impliciti, che ci spingono ad analizzare gli artefatti in quanto media, capaci di veicolare dei significati.

Ma come ben si sa, perché avvenga la comunicazione, tra il ricevente e il mittente è necessario che ci sia un linguaggio almeno in parte comune. Cioè il ricevente deve essere in grado di decodificare i segnali. Questi segnali possono essere decodificati per inferenza testuale o extratestuale.

Si parla quindi, di inferenza testuale quando la conoscenza risiede nel messaggio stesso (nel medium potremmo dire), ad esempio tra le righe di questo testo. Si parla invece di inferenza extratestuale se la conoscenza per decodificare il messaggio risiedono nelle esperienze pregresse come attore sociale[15].

Per tanto, gli artefatti devono poter comunicare il loro funzionamento o in modo esplicito (testuale) oppure in modo inferenziale-extratestuale. Cioè deve sfruttare le conoscenze che l’attore ha del mondo e di come funziona. Le metafore della scrivania, spesso usate negli artefatti tecnologici di natura informatica, ne sono un buon esempio: sfruttano la conoscenza del desktop che ogni uomo ha, e quindi strutturano l’artefatto cognitivo come suddiviso in cartelle e documenti. Forse esistono metafore migliori, che offrono una maggiore affordance all’utente, ma quello che qui ci preme sottolineare è la natura comunicativa e sociale degli artefatti, in quanto luoghi della significazione e depositari di un codice; l’uomo per poter interagire con gli strumenti ha necessità di decodificare il messaggio; gli artefatti hanno necessità di condividere con l’uomo, perché la comunicazione avvenga, il codice. Ecco perché molti strumenti non siamo capaci di farli funzionare: non condividono con noi nessuna parte del codice, e tanto meno ci è possibile scoprire come funzionino effettuando delle inferenze extratestuali.



[1] Gambardella Piromallo, A., Le sfide della comunicazione, Laterza, Roma 2001, p. XI.

[2] Parliamo di invito ad entrare in un blog, poiché per raggiungere un blog si deve conoscere l’url esatto, oppure trovare da qualche parte l’indirizzo. In oltre esistono diversi metodi per far sì che un sito o un blog venga protetto da sguardi indiscreti. Per tanto è utile parlare di inviti ad entrare nel blog.

[3] Maldonado, T., Memoria e conoscenza, Feltrinelli, Roma 2005, pp. 76-77.

[4]Ivi, p. 79.

[5]Ibidem.

[6] Lévy, P., L’Intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996, p. 34.

[7]Ibidem.

[8]Ibidem.

[9] Gambardella Piromallo, op. cit., p. 35.

[10] Per una discussione approfondita dell’artefatto, si guardi Rizzo, A., Interazione Uomo-macchina in Intelligenza Artificiale, a cura di Buratti e Cordeschi, Carocci, Milano 2005.

[11] Gambardella Piromallo, op. cit., p. 35.

[12]  Gambardella Piromallo, A., op. cit., p. 42.

[13]Ibidem.

[14]  Rossi-Landi, F., Il linguaggio come lavoro e come mercato, Bompiani, Milano 1968.

[15]  Come punto di partenza per l’analisi della conoscenza come processo cognitivo si veda: Livolsi, M., Il manuale della comunicazione, Carocci, Milano 2002.

Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.