Il prezzo della libertà di stampa
Cinquecentottanta giornalisti morti in quindici anni in tutto il mondo, durante lo svolgimento del proprio lavoro, o in seguito alle loro inchieste, ai quali vanno aggiunti almeno altri duecento decessi sospetti.
Il preoccupante dato emerge dalle statistiche, in costante aggiornamento, del CPJ (Committee to protect Journalist), riferite al periodo che va dal Gennaio 1992 all’Agosto 2006, dalle quali è possibile ricavare importanti segnali circa i rischi che si corrono nello svolgere questa professione.
Come è facile intuire non tutte le mansioni del giornalista sono ugualmente rischiose. Quasi una vittima su tre era un inviato di guerra, una su quattro si occupava di politica, mentre una su cinque aveva svolto inchieste sulla corruzione. Significativo anche che una vittima su dieci ci occupasse principalmente del rispetto dei diritti umani.
Il medium più attaccato è di gran lunga la carta stampata, per cui lavoravano più della metà dei caduti, soprattutto reporter, ma anche, seppure in misura inferiore, editori e opinionisti. Seguono in questa triste classifica la televisione e la radio. Solo al quarto posto internet, complice una storia ancora breve, per cui lavoravano l’uno percento dei giornalisti.
Nella quasi totalità dei casi le vittime sono professionisti locali, un dato spesso ignorato vista l’eco mediatica suscitata dagli inviati morti in missioni all’estero; e nove su dieci sono uomini, sintomo di un panorama informativo internazionale che vede l’uomo in una posizione largamente maggioritaria.
In ben sette casi su dieci i giornalisti vengono deliberatamente assassinati. I committenti dell’omicidio sono soprattutto gruppi politici, organi governativi e gruppi criminali che ricorrono in un caso su quattro al rapimento preventivo.
Ma il dettaglio più interessante dell’intera ricerca è dove avvengono queste morti, un dato che fotografa in maniera eccellente la differente libertà concessa alla stampa nei vari paesi del mondo. Scontato il primo posto dell’Iraq con ben 78 decessi, che nel periodo 1992-2006 ha vissuto due guerre, una delle quali è ancora in corso; seguono l’Algeria con sessanta decessi, devastata da una sanguinosa guerra civile, e la Russia (42). Proprio la Russia è recentemente finita sotto i riflettori per l’assassino della celebre giornalista Anna Politkovskaja, solo l’ultima vittima tra i reporter che hanno indagato sulla corruzione dilagante della classe politica russa. Al quarto posto si trova la Colombia con 37 decessi, spesso collegati a inchieste sul cartello di produttori e trafficanti di stupefacenti, tradizionalmente molto forte nel paese Sudamericano. Tra gli altri stati che meritano una citazione vi sono le Filippine (29), l’India (22) e la Bosnia (19).
Dei cinquecentottanta giornalisti morti, solo sette sono italiani, sei dei quali inviati all’estero, come Ilaria Alpi in Somalia, Maria Grazia Cutuli in Afghanistan ed Enzo Baldoni in Iraq.
Ultimo e preoccupante dato è quello riguardante le conseguenze per gli assassini. Giustizia piena è stata fatta solo nel 7 percento dei casi; in più di otto casi su dieci vi è infatti la totale impunità del reato. E’ la beffa finale che si aggiunge al danno.
Fonte www.cpj.org