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la politica comunicata

11/03/2003 16:05:00 20250 lettori
6 minuti
  In Italia esiste una chiara distinzione tra le discipline della comunicazione pubblica e della comunicazione politica. Molto meno chiara, risulta invece in Francia e in altri paesi Europei.
Da noi, Paese con una scarsissima tradizione di comunicazione pubblica (ma anche di una breve storia repubblicana), si è venuta a creare una distinzione forte tra i due ambiti, dove con comunicazione pubblica si intende soprattutto il modo che ha la pubblica amministrazione di entrare in contatto con la comunità, mentre con il secondo, la comunicazione politica, si vuole indagare il fragile e complicato rapporto tra media e politica e società.

Grossi definisce il campo della comunicazione politica, inteso come “quell’ambito di rapporti e pratiche comunicative, organizzative e simboliche che riguardano la diffusione, la rappresentazione e la percezione dell’agire politico in una società di massa”. Il campo è individuato dalle inter-relazioni fra i tre attori principali:
1. istituzioni politiche (partiti, governo, e diverse articolazioni dello stato)
2. le istituzioni comunicative (radio, tv, giornali, rete)
3. i cittadini-audience (considerati sia come portatori di comportamenti politici - dal voto al sondaggio e alla manifestazione - sia come fruitori-consumatori della comunicazione politica).
Il campo, quindi, della comunicazione politica è il luogo degli scambi tra questi attori.
La relazione che si crea tra le parti in causa, dicevamo è davvero molto fragile, ma non solo. E’ anche molto complessa; riflette in parte la complessità sociale della post-modernità, in parte per effetto del rumore o per il pericolo di un deragliamento di senso, ma soprattutto perché mette in gioco interessi, codici, simboli e identità diverse.

Dall’altro lato è una risorsa strategica perché tende ad assumere valore decisivo.
Anche in Italia, dopo decenni di altri modi di comunicare, la politica ha fatto il suo ingresso nei media (anche se sarebbe meglio parlare di ritorno, poiché nell’uso dei mezzi di massa, Mussolini fu davvero un precursore).
E allora il politico non deve più solo preoccuparsi di fare, ma di far sapere, di farsi conoscere, di controllare eventuali voci contrarie… Insomma un grande puzzle di posizioni, umori e rumori.
Ma quali sono i modi per comunicare la politica?
Tanti, troppi, forse.
Potremmo iniziare l’elenco dalla carta stampata, dove troviamo i giornalisti che appellandosi al diritto-dovere professionale di fare informazione raccontano giorno dopo giorno ciò che avviene nel teatro nazionale della politica. Ma la carta stampata non si esaurisce certo con la figura del giornalista. C’è l’intellettuale con i suoi commenti. Ci sono i fumettisti e gli umoristi…
Le stesse figure le ritroviamo in televisione e in radio.
Poi ci sono i mezzi diretti o personali: il mailing, e-mailing, la pubblicità ecc.

Ci sono i comizi di piazza, i manifesti…
Insomma una pluralità di mezzi tutti atti alla comunicazione. Ma di cosa?
Orami che la realtà sia una costruzione sociale non c'è alcun bisogno di ribadirlo. Le idee di Berger e Luckmann sono da tutti conosciute e riconosciute. Niente, più della narrazione contribuisce a questa "creazione";


         la «costruzione della realtà si ottiene
tramite la conversazione continua»
[Youngblood (in F. Colombo)].

La narrazione è uno dei primi modi del comunicare; è per mezzo della narrazione che la civiltà orale ha potuto trasmettere i propri pensieri, le proprie leggi, le divinità, i miti.
Ed è il dialogo la forma primitiva e semplice della comunicazione. Ed è proprio di questa forma semplice, pura che in passato si è servita la politica per comunicarsi, almeno in Italia.
Il nostro paese è sembrato per lungo tempo lontano dalla tele-politica; questa politica distante, centralizzata, che interessa poco la gente comune.
L'Italia, invece, fino a poco tempo fa, si è servita di forme più semplici, decentralizzate, locali di comunicazione politica. La "casa del popolo" o le varie sezioni di partito "DC", "PSI" ..., erano delle fucine all'interno delle quali certamente programmare, ma anche raccontare e discutere la politica con il popolo, la gente comune, gli operai, gli imprenditori ... E non a caso i due partiti più importanti del sistema politico italiano della Prima Repubblica (PCI e DC) vantavano il maggior numero di "sezioni" decentrate. Organizzazioni a tutti gli effetti riconosciute anche legalmente.
Poi, nel 1994 avviene l'inversione di tendenza. "L'ascesa" in campo del Cavaliere Berlusconi, cambia le carte in tavola, sposta l'ago della bilancia dalle sezioni ai media.
«Popper e Chomsky, Bobbio e Virilio, liberali e radical-marxisti» sono accomunati da «quella vera e propria "antropologia negativa" del piccolo schermo, nei cui confronti le (pre)visioni orwelliane appaiono ben poca cosa», come scrive Amoretti nel suo "La comunicazione politica".
La politica (e il politico) si sposta dalle periferie per centralizzarsi in luoghi di potere, si disincarna dal popolo per diventare una sorta di mausoleo da venerare o da subire, a seconda il punto di vista.
Subisce quello spostamento contrario al cammino di Dio che da mito intoccabile, pura evanescenza si incarna prima nella terra, poi nell'uomo; la politica fa il cammino inverso, spostando il centro d'azione sempre più in alto, salendo sul piedistallo del mito: mi racconto, ma non sto a sentirvi, anche se ci sono.
Se ne avverte la presenza, ma non si riesce a raggiungerla, perché ha scelto di abbandonare il dialogo per entrare in uno dei pochi mezzi di comunicazione che non permette, per sua natura, una reale interazione, la chiusura del circuito comunicativo che prevede la trasmissione di un messaggio, la ricezione, ma soprattutto un feedback.
E i partiti politici si accontentano di ricevere questo feedback solo all'atto delle elezioni.
Paradossalmente, proprio nel momento in cui la politica avanza sui media perde di vista la comunicazione non permettendo il completamento di quella circolarità, poiché esclude il ritorno; è come parlare con qualcuno senza dare il tempo per la risposta, senza guardarlo negli occhi e carpire dai minimi gesti se il mio atto comunicativo è andato a buon fine oppure no.
I girotondi, le centinaia di migliaia di persone che intervengono allo sciopero generale organizzato dalla sola CGIL sono la prova della repellione che la gente prova per questo sistema che vuole farsi raccontare ma non vivere.
E pensare che in Italia abbiamo già avuto una triste esperienza con la politica raccontata attraverso i mezzi di comunicazione: il fascismo.
Sicuramente «Mussolini (che aveva fatto il maestro di scuola e poi il giornalista) sapeva quanto è importante la comunicazione. Ma la usava in senso repressivo, togliendo respiro a ogni voce di dissenso». (da un intervista con Giancarlo Livraghi su comunitazione.it)
Quindi l'uso dei mezzi di comunicazione da parte della politica non ci ricorda nulla di buono, anzi; ed è forse questo spettro diffuso che l'Italia intera (ma non solo) ha una gran paura della distanza della politica dal popolo.
Quando Berlusconi scese in campo si levarono alte le urla degli intellettuali contro uno dei maggiori azionisti di quasi tutti i mezzi di comunicazione italiani. Una paura lecita non verso l'uomo in quanto tale, ma verso ciò che egli rappresenta: ovvero verso l'editore-politico. Un editore sceglie i direttori dei propri mezzi, quindi può tenere sotto scacco il direttore, la redazione e di conseguenza il pubblico.
Ma forse la gente comune ha ancora più paura dell'essersi vista privare dei punti di confronto e di contatto con la politica. Il comizio elettorale, la tribuna politica, il libero confronto... spariti.
Perché di modi per comunicare la politica ce ne sono tanti ed è inaccettabile che vengano surclassati tutti da uno solo: la televisione.
Se, come sostiene Neveau, quella attuale è la società della comunicazione, dove esiste ciò che viene comunicato ed è solo attraverso la rappresentazione che un avvenimento, un personaggio o anche la nostra stessa storia, si rappresenta e quindi esiste; possiamo allora dire che la politica non rimane fuori da questo cerchio. Il bisogno di comunicazione che avverte la società si rifrange sulle istituzioni, spingendole a “darsi”. Gli atti divengono pubblici e la trasparenza non è solo un principio teorico, ma un modello da raggiungere, poiché previsto anche dalla legge.
E’ in questo contesto che si muove il politico oggi: una società che vuol divorare l’azione per conoscerla, essere informati per evitare soprattutto le cattive sorprese.

Così i giornalisti, eletti a paladini della verità raccontano ogni giorno lo scenario politico. Ed è qui che il politico deve fare attenzione. Deve essere pronto a cogliere al balzo la palla, l’assist servitogli dal giornalista e creare, in qualche modo, un evento, per mantenere la notiziabilità il più a lungo possibile e sfruttare a proprio vantaggio la logica dei media (media -events).
Quando ciò accade si possono utilizzare due strategie di controllo:
1. orientate alla chiusura;
2. orientate ad assorbire l’evento secondo 2 principali modalità:
a. elaborandolo e quindi imparando dall’ambiente;
b. nascondendolo in un polverone di reazioni politiche.
La scelta sarà data da una serie di fattori e di relazioni. Ad esempio il tipo di sistema politico e la relazione tra politico e sistema dei media.
Infine, possiamo parlare dei diversi modi che hanno i media di raccontare la politica e, indistricabilmente, dei modi con cui i politici riescono a sfruttare la logica dei media-events.
Ma prima un breve accenno è doveroso anche nei confronti dei manifesti politici.
Anche qui ci troviamo di fronte a un mezzo di comunicazione di massa, forse addirittura il più tradizionale.
Secondo i pubblicitari, il manifesto non ha perso la propria efficacia, anzi. Negli anni si sta rivalutando e si stanno riscoprendo soprattutto nella forma del 6m x 3m (utilizzatissimo, ad esempio da Berlusconi prima, e da Rutelli poi).
E’ un modo di comunicare delle idee in modo veloce, rapido. Il passante o il guidatore, non deve distrarsi e impiegare troppo tempo per leggere. Quindi messaggi spot, riassunti in poche righe. Il più delle volte sono delle semplici frasi ad effetto che riassumono il programma politico, la personalità dell’uomo, il valore del partito.
Un mezzo che non permette interazione di alcun tipo, ma che colpisce l’immaginario collettivo e se ben architettato può essere cambiato spesso e adattato alla logica dei media con facilità.
Il costo non è neppure elevato, quindi tutti, dai partiti più piccoli ai più grossi fanno la gara per accaparrarsi gli spazi messi a disposizione dai comuni.
E naturalmente può essere “coadiuvato” dagli altri mezzi.
Un mezzo nuovo è sicuramente il mailing-diretto, tra i più promettenti secondo gli esperti di marketing, poiché consentirebbe un alto grado di coinvolgimento emotivo dovuto dall’intestazione della lettera inviata a me personalmente e dalle prime righe in cui ci sarà scritto
“Egreggio Signor Rossi Antonio”.
Di tutt’altra portata, invece, la comunicazione per mezzo della radio, con un target preciso e diversificato nell’ascolto delle varie emittenti.
Anche sulla radio la comunicazione politica trova posto soprattutto durante i telegiornali, gli spazi concessi dalla Rai, oppure trova posto sulle bocche di vocalist che la usano come pretesto di ironia.
Resta la televisione, il più tradizionale dei mezzi di comunicazione di massa. Ma anche qui la politica ha spazi ben precisi e limitati.
Oltre la comunicazione giornalistica, troviamo l’approfondimento, il talk show e la satira.
Abbiamo deciso di dedicare a questi tre modi di comunicare la politica il resto della tesina, prendendo ad esempio tre casi limite che hanno scosso non solo la coscienza dei comunicatori, ma anche quella dell’opinione pubblica.
Il talk show ha il grande merito di mettere a confronto le idee, le posizioni e le convinzioni dei politici di diverse correnti, l’intellettuale e il popolo medio; di portare in scena una parte del retroscena, dell’intimità dei personaggi.

L’approfondimento, invece, vuole puntare su un solo argomento, trattato nel profondo, andando a scovare le reazioni del mondo politico e sociale.
La satira, invece, vuole semplicemente giocarci su, ridere e far ridere un popolo che ne ha bisogno oggi ancora più di ieri…

Bibliografia:
Amoretti F. (1997) La comunicazione politica - un’introduzione, Carrocci Editore
Berger, Lukmann (1969) La realtà come costruzione sociale, il Mulino
Casetti, F. (1988) (a cura di) Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neo-televisione, Torino, Vpt/Eri.
Costanzo M., La televisione è piccola
Gambardella Piromallo A., Le sfide della comunicazione – Roma, La Terza
Grossi, G. (1980) Il campo della comunicazione politica in G. Pasquino (a cura di),
Mass media e sistema politico, Milano, F. Angeli.
Habermas, J. (1970) Towards a Theory of Communicative Competence, «Inquiry», 13, n. 4 [tr. it. in Linguaggio e società, a cura di P. P. Giglioli, Bologna, il Mulino, 1973].
Habermas, J. (1981) Theorie des kommunikativen Handelns [tr. Teoria dell’agire comunicativo , Bologna, il Mulino, 1986].
Shannon, C. & Weaver, W. (1949) A Mathematical Theory of Communication, in «Bell System Technical Journal», n. 17 [tr. it. La teoria matematica delle comunicazioni,

Siti internet
www.comunitazione.it/leggi.asp?key=189 - Intervista a Giancarlo Livraghi

Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.