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(1) La Ragazza con la Pistola di che Segno è? Introduzione

10/04/2007 13482 lettori
5 minuti

Ipotesi:

L’obiettivo di questo lavoro è di confrontare la figura della donna, così come è rappresentata in tre principali lungometraggi, con quella offerta da due fiction televisive (“Capri”, Rai1 – “Nati Ieri”, Canale5) e da due programmi d’intrattenimento pomeridiani (“La Vita in Diretta”, Rai1 – “Verissimo”, Canale5).

Il confronto avviene secondo due periodi:

· 1955 e 1968: l’arco temporale su cui si articola la riflessione sullo stereotipo femminile nel cinema italiano

· 2006 e 2007: la rappresentazione della donna nella televisione contemporanea

Circa trent’anni di differenza e di distanza tra lo sguardo di ieri e lo sguardo di oggi. Sguardo che, in bianco e nero o a colori, si è posato su un corpo, sul suo ruolo e sul non detto. Ha tracciato comportamenti e giudizi sociali. Ci ha restituito l’essere donna nell’immaginario collettivo, uscendo dal reale e dandogli una forma.

Il cinema di ieri ne descrive, in modo lineare, punti di forza e zone d’ombra. Ma la televisione di oggi che donna ci racconta? E, soprattutto, della donna cosa ci fa conoscere: profilo destro o profilo sinistro?

Tesi:

Il progetto dimostrerà che oggi è pressoché assente una descrizione lineare, obiettiva e corretta. La televisione rimanda a dei ruoli entro cui guardare e pensare la donna. La donna come madre, come moglie, come fidanzata. La donna ovviamente bella e ovviamente sorridente. La donna che aspira segretamente a formare una famiglia e che parla, poco o per niente, del lavoro. La donna, insomma, che sospira e ammicca alle stelle cercando risposte nell’oroscopo.

Ma non sembra un deja-vù?

DIMOSTRAZIONE

La scelta de “Il segno di venere”, “La fortuna di essere donna” e de “La ragazza con la pistola” dipende dalla fotografia che i tre rimandano della donna e del suo ruolo tanto nel privato quanto nel sociale. La figura femminile è analizzata nella forma dell’amicizia con lo stesso sesso, del dialogo col sesso opposto e del rapporto con sé stessa. È studiata nelle prese di posizione verso gli usi e i costumi di una società che la opprime, e negli stratagemmi che mette in atto alla ricerca di un lavoro gratificante.

Un condensato, quindi, di un’osservazione lunga, sottile e spietata che emerge ne “Il Segno di venere”. Girata nel 1955 da Dino Risi, questa commedia di costume – intrisa d’amarezza – fa perno sulla storia di due cugine, una meridionale giovane e bella (Sofia Loren), l'altra settentrionale non più giovane e non bella (Franca Valeri). La seconda cerca in ogni modo di trovare marito ma inevitabilmente gli scapoli che trova le sono 'soffiati' dall'altra. Il confronto è fra la bellezza e la sua assenza, i vantaggi di averla e i costi sociali di esserne priva. E la dimensione della solitudine diventa un peso che grava sulla signorina che, in età da marito, non trova un compagno e che sembra essere ingenua, sembra non accorgersi che gli uomini la usano per arrivare alla cugina o per estorcerle soldi. Sembra.

Tale presunzione resta fino all’ultima inquadratura. Ma l’occhio di Risi coglie la durezza della verità e sfida un luogo comune sulle donne, forte per quei tempi: non arrivare al matrimonio condannava ad uno status di “zitella”, commiserata dai parenti e senza prospettive future se non un umile impiego e una vita morigerata. Ne deriva il primo stereotipo: la donna è nata per essere moglie. Meglio dire che è nata per coniugare la sua “funzione” in dipendenza del ruolo maschile nella società, con l’illusione di esser libera di scegliere un percorso che si dimostra già tracciato e oltretutto previsto.

È il 1956 quando “La fortuna di essere donna” di Alessandro Blasetti racconta di una ragazza (Sofia Loren) che, per farsi lanciare nel mondo del cinema, cede alle attenzioni di un fotografo (Marcello Mastroianni). Resta delusa dalle aspettative mancate e cerca, comunque, di raggiungere prestigio sociale e fama attraverso l’amicizia di un nobile, amante della bella vita e simbolo della Roma “bene”. Indipendentemente dalla conclusione del racconto, indipendentemente dal lieto fine di un amore trionfante, il film tocca una questione sensibile: la donna, oltre alle proprie capacità intellettuali, possiede un’altra carta da giocarsi nella ricerca di un mestiere. È titolare, infatti, di un corpo sinuoso, spesso bello e che può diventare provocante all’occasione. Il famoso provino, che nella storia della narrativa cinematografica e televisiva passa per essere un momento delicato e particolare, è lo spazio ideale per giocarsi la carta della seduzione. Il compromesso tra l’intimità e il lancio di una folgorante carriera è così suggellato per meriti del tutto personali.

“La ragazza con la pistola” chiude il cerchio. Una ragazza siciliana, molto legata alle tradizioni, accetta tacitamente di farsi rapire da un compaesano perché spera in un matrimonio riparatore. Il seduttore, però, fugge spaventato in Inghilterra e lei lo segue armata di pistola per vendicare il suo onore. A poco a poco le idee più moderne della società britannica conquistano la giovane meridionale che, quando ritrova il seduttore, non pensa minimamente di usare l'arma e gli preferisce un medico inglese.

Ex art.587 del codice civile, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, se l’ “onore” viene ferito, la persona che punisce il colpevole sparandolo, vede ridursi la pena. Onere della prova: dimostrare di aver agito “sotto ira”. Assunta Patané (Monica Vitti) si affida al rituale di una Sicilia, arretrata e profondamente legata a un malinteso senso dell’onore: il corteggiamento fatto di sguardi distanti, dietro finestre chiuse e raduni maschili di piazza, con Vincenzo Maccaluso (Aldo Giuffrè). Il rapimento, tacitamente concordato, è un modo per consentire il matrimonio “riparatore” all’interno di una famiglia che non può sostenere le spese per un matrimonio ufficiale. La donna rapita ha l’obbligo morale ed estetico di dire di no ma che corrisponde al più adorabile dei sì. Ma, siccome l’integrità della donna dipende dalla sua integrità sessuale, allora – come suggerisce la colonna sonora – “Go with the gun”. L’inevitabile viaggio per riparare l’onore ferito è un percorso politico dentro sé stessa, è la conquista della coscienza di essere titolare di diritti. E’ l’emancipazione.

In antitesi con i messaggi e gli stereotipi emersi nei precedenti due film, “La ragazza con la pistola” restituisce un’immagine finalmente fresca e autentica[1]. Finalmente una donna, con le sue sicurezze e con la voglia di viversi il meglio che la vita ha da offrirle.

Conclusioni:

· Se una donna è brutta, quasi sicuramente non si fidanza. Non attira l’attenzione. Non se ne parla

· Se una donna è bella, è destinata a trovare l’Amore, a fidanzarsi. Sogna i fiori d’arancio e i confetti, e non le si chiede altro che di fare un bel matrimonio

· La donna bella, sia nel privato che nel sociale, per attirare l’attenzione, può sorridere un po’ di più. Essere compiacente, strizzando l’occhio, per ottenere favori

· Una donna di facili costumi è giudicata negativamente dalla società. Un uomo che ha molto donne è considerato una persona di successo e, spesso, attira invidie altrui

Quesiti:

· Che ruolo hanno le donne nella televisione contemporanea?

· Alle donne belle si pongono domande intelligenti? Si cerca di far emergere il loro spessore interiore o ci si limita a uno sguardo superficiale sulle “curve”?

· I progetti per il futuro sono orientati verso un’intensa carriera professionale?