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Dagli all'untore

08/06/2007 14451 lettori
5 minuti

Nel raccontare il terribile episodio[1] della peste scoppiata nel milanese nel 1630, il Manzoni descrive le superstiziose interpretazioni della sua origine: “arti venefiche, operazioni diaboliche, gente congiurata a sparger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malìe”. La paura scatenava una cieca caccia ai presunti autori, chiamati untori. Guai a chi fosse stato visto compiere un qualunque atto che potesse essere considerato “ungere” un muro, una porta o una colonna. Per costoro era la prigione o la morte. Bastava un nulla per scatenare il grido “Dagli all’untore”!

Sono passati quasi quattro secoli. Ora tutti sappiamo che le epidemie sono le conseguenze del mancato rispetto di norme igieniche e sanitarie. Sono virus e microbi a scatenare le malattie, non i malefizi. Però abbiamo ancora conservato, lungo gli anni, la nostra caccia agli untori. Non li accusiamo più di spargere sulle porte delle nostre case la peste. Nel ventunesimo secolo li accusiamo di spargervi… la pubblicità. Ed ecco che il grido “dagli all’untore” si è trasformato nel proliferare di proclami affissi sui portoni di edifici grandi e piccoli: “qui non è gradita la pubblicità” e “vietato introdurre pubblicità”. I cittadini meno infuriati, più garbatamente, pongono un contenitore vicino alle cassette della posta o fuori del portone sul quale è riportato un asettico “la pubblicità qui”. In pratica, essi non dicono al nuovo untore “non fare il malefizio sulla mia porta”, ma “metti il malefizio nell’apposito contenitore”. E secondo voi, dopo, questi cortesi inquilini si dividono tra loro, da bravi fratelli, il malefizio-pubblicità lasciato dagli untori?

Se si capisce facilmente la paura dei nostri bis-bis-bis-bis-bisavoli di trovarsi con la peste in casa, è difficile capire la paura dei nostri concittadini di trovarsi della pubblicità nella loro dimora. Hanno forse paura che depliant e volantini contengano un virus che susciterà in loro la voglia irrefrenabile di acquistare qualcosa di cui non hanno assolutamente bisogno? La graziosa ragazza ventenne correrà ad acquistare un dopobarba dopo che in casa sua è entrato un venefico volantino della Mennen? L’operaio cinquantenne sentirà l’irresistibile impulso di acquistare (e poi indossare) un paio di collant colorati semplicemente perché ha avuto l’irresponsabilità di appoggiare sul tavolino del soggiorno un depliant di Calzedonia? L’attivista della Lega Protezione Animali si troverà travolta da un insano desiderio di possedere una pelliccia di visone perché inavvertitamente, tra la posta era rimasto acquattato un buono sconto della Annabella Pellicce?

Qualche tempo fa mi sono soffermato a camminare sotto i portici di un grazioso complesso residenziale appena terminato. Al piano terra grandi vetrate lasciavano vedere i locali vuoti, in attesa di ospitare negozi ed altre attività commerciali, così come gli appartamenti dei piani superiori attendevano i futuri inquilini. La mia attenzione è stata attratta da grandi cartelloni affissi su ogni vetrata. Indicavano la metro quadratura del locale? Oppure un recapito telefonico ove potenziali acquirenti o affittuari avrebbero potuto rivolgersi? No, riportavano a caratteri cubitali la scritta: “Divieto di lasciare carte pubblicitarie nella residenza”. Sì, ormai “Vade retro pubblicità, è il grido che percorre le nostre strade e le nostre piazze. Possibile che la prima preoccupazione di un’impresa edilizia, appena smontate le impalcature, debba essere quella di preservare i propri futuri inquilini dal terribile flagello della pubblicità?

In diversi paesi nel Friuli non è raro trovare, su numerosi campanelli, una vetrofania che dice: “In questa casa i Testimoni di Geova non sono graditi”, oppure: “Testimoni di Geova, non suonate a questa casa”. Non sarebbe più semplice opporre un cortese rifiuto all’invito di altrettanti cortesi, anche se forse un po’ insistenti, Testimoni di Geova? Non è forse la consapevolezza della propria ignoranza religiosa a spingere tante persone a temere chi, invece, dedica del tempo a conoscere la propria fede?

Di questo passo non arriveremo forse ad esporre sui nostri campanelli una Lista di Proscrizione, tipo: “In questa casa non sono graditi i milanisti (o gli juventini), gli antiabortisti (o gli abortisti), i diessini (o i leghisti), i meridionali (o i settentrionali), ….?”.

Allo stesso modo chiediamoci: la gente ha davvero paura della pubblicità o, piuttosto, non è forse che ha paura di se stessa, della propria mancanza di autocontrollo, di non essere capace di distinguere tra desideri e necessità? Non svolge forse la pubblicità un servizio che serve proprio al normale cittadino? Come fa questi a sapere che una nuova lavasecco è stata aperta in un certo quartiere, permettendo ai suoi abitanti di farne uso senza bisogno di prendere la macchina per andare in quella che si trova ad un paio di chilometri di distanza? Come fa la famiglia che vuole comprare un computer per il proprio figlio a sapere che il modello che le interessa è in promozione presso un certo negozio, fatto questo che le permette di risparmiare alcune decine di euro? Come fanno gli automobilisti che amano lavarsi l’auto da soli a sapere che possono farlo con minore fatica grazie ad una idropulitrice se nessuno dice loro che questo prodotto esiste? Certo le aziende pubblicizzano i loro prodotti perché ne hanno un vantaggio, ma anche i consumatori hanno il loro. È evidente che nessuna azienda può sapere in anticipo quale coppia sta progettando una vacanza. Così, anche quelle che vi sono appena state, che hanno altri interessi o altre possibilità economiche, troveranno nella loro cassetta delle lettere la pubblicità di un’agenzia di viaggi. In questo caso, non sarebbe più semplice gettare il depliant nel cestino della carta da riciclare?

Invece di temere le idee degli altri (un partito, una fede, un’idea, un prodotto) faremmo molto meglio a imparare a selezionare, prima, e a difendere, poi, le nostre stesse idee, opinioni e scelte.

Benvenuto tu che pensi diversamente da me, perché mi aiuti a non fare della mia mente un corso d’acqua stagnante.

Benvenuta tu, pubblicità, perché mi aiuti a sapere cosa avviene attorno a me e moltiplichi le mie possibilità di scelta.

Gli untori, alla fine, siamo noi, con le nostre menti ferme.

Sergio Zicari, Amministratore unico di Akón, si occupa di organizzazione di reti di vendita, di formazione del personale commerciale e non, di iniziative di marketing, di progetti di e-commerce, di ideazione e gestione di start-up. Ha lavorato come formatore, consulente, temporary manager e amministratore delegato. Socio FERPI, scrive articoli per riviste, libri e per e-magazine sui temi della comunicazione, del marketing e delle vendite. (sergio.zicari@akon.it)


[1] “I Promessi Sposi”, cap. XXXI.