Creare e condividere conoscenza
Ogni qualvolta che si intraprende un nuovo progetto o a seguito di nuove disposizioni per mutare strategia, inizia la fase di studio con l’impegno di apprendere la concezione, conoscere il complesso di elementi ed assimilare i contenuti. Una propedeutica atta a fissare lo scopo, definire le discipline e formare i gruppi per svolgere le rispettive competenze. Una consuetudine contemplata nella buona pratica, disciplinata dai protocolli di qualità e regolamentata nei decreti legislativi in ambito di sicurezza sul lavoro per l’identificazione delle fonti di pericolo e la valutazione del rischio. In pratica un buon processo di creazione di conoscenza. In questo modo di procedere, insieme con altriattraverso la pratica del lavoro, ho potuto permeare la mia esperienza operativa.
Ora senza voler essere didascalici – nel qual caso non si avrebbe titolo – riporto alcuni concetti relativi alla creazione di conoscenza ripresi dalla rete. «Non esiste vera conoscenza già codificata e disponibile per essere passivamente appresa dagli individui. La conoscenza dipende dall’ambito in cui si produce. Per altro, se si accetta il fatto che debba essere creata, per definizione diventa dipendente da chi la crea e dal processo che a tale scopo è utilizzato». Da qui l’idea insistente che non si possa prescindere dal processo di creazione di conoscenza, per ogni attività o iniziativa che si va ad intraprendere. «Gli individui, i gruppi le organizzazioni, le città, sono tutti esempi di sistemi sociali, cioè sistemi viventi che hanno caratteristiche evolutive comuni. Essi mostrano un’innata tendenza a produrre nuova conoscenza (nuovi modelli di comportamento e di sviluppo) per co-evolvere insieme all’ambiente: in una parola, per sopravvivere». Sono organizzazioni che apprendono. «L’organizzazione che apprende preserva il mantenimento della propria continuità riflettendo continuamente sul (e nel) proprio contesto, in modo da poter fare affiorare un “circolo ermeneutico” una continua ridefinizione ed interpretazione dei significati delle proprie attività in relazione a tutti i livelli – da quello macro dell’ambiente di cui è parte, a quello meso dei sistemi in cui la società si organizza, e a quello micro in cui l’essere umano come singolo, insieme ad altri singoli, partecipa con le proprie azioni, cognitive e comportamentali, alla costruzione dei luoghi in cui abitare e vivere – coinvolgendo ogni componente nel miglioramento esistenziale cui ogni essere umano si appella, potendo attuare questo attraverso la pratica del lavoro».
Sicuramente l’introduzione dell’argomento - creazione della conoscenza - evidenzia un modo esplicativo alquanto personale; il fatto stesso che come supporto ho dovuto far ricorso a concetti chiarificatori di maggior spessore non fa altro che manifestare un ulteriore concetto riferito alla conoscenza tacita (tacit knowledge): « è stato chiarito da M. Polanyi, il quale evidenzia l’esistenza di un modo "personale" per la costruzione della conoscenza, influenzata dalle emozioni ed acquisita alla fine di un processo di creazione attiva e di riorganizzazione delle conoscenze di ogni individuo. Quando un individuo conosce tacitamente, egli fa e agisce senza una chiara consapevolezza, usa il proprio corpo ed ha una gran difficoltà a spiegare in parole, regole e algoritmi il processo nel quale è coinvolto. Conoscere tacitamente significa conoscere senza distanza dalle cose e dagli atti; l'interazione conoscitiva tra le persone è caratterizzata da osservazione inconsapevole e da vicinanza sociale e "comunitaria"».