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Pubblicità: serve meno fantasia e più creatività

03/09/2007 17055 lettori
5 minuti
Se qualcuno si prendesse la briga di controllare le varie pubblicità apparse da inizio Novecento a oggi, dove si fa uso di una figura femminile, sicuramente noterebbe che la superficie di vestito utilizzata è andata costantemente e regolarmente diminuendo nel corso degli anni. Non è una semplice questione di cambiamenti nella moda perché questa, grosso modo ha visto sì una sua riduzione ma solo a grandi “scatti”: gonna alla caviglia (1900), al polpaccio (1930), al ginocchio (1950), sopra al ginocchio (1970). Nella pubblicità, invece, si tratta di una vera e propria curva discendente. Riduzione che non si riferisce solo alla parte “bassa” del vestito, ma anche a quella in alto, al centro, davanti e dietro.
La ragione è evidente: ciò che attira, che fa colpo oggi, domani sarà appena notato e dopodomani sarà ignorato. Così la pubblicità, per richiamare l’interesse del pubblico, ha dovuto man mano allargare i propri limiti e quindi restringere gli abiti delle modelle.
E questo, si badi bene, non è rivolto ad accaparrare l’attenzione del solo pubblico maschile, ma anche di quello femminile. Quest’ultimo vede in questi corpi così perfetti l’immagine che vorrebbe avere di sé. Non per nulla le pubblicazioni a più alto contenuto di nudi femminili (a parte le riviste porno) sono proprio quelle dedicate alle donne.
È ormai normale vedere in televisione, nei manifesti e sui giornali nudi (maschili e femminili) integrali sia dietro che davanti (in quest’ultimo caso salvo un piccolo specifico rettangolino). In attesa di far saltare anche quest’ultimo, la pubblicità sta utilizzando riferimenti sessuali sempre più espliciti. Ciò che dovrebbe appartenere alla sfera intima delle persone viene abbinato alla promozione di qualsiasi prodotto: dal liquore all’anticalcare, dal profumo all’automobile, dallo yogurt ai pneumatici.
Così quelle immagini che una volta erano considerate “da camionisti” e che passavano di mano in mano con una prudenza da cospiratori, ora vengono apertamente diffuse da molti pubblicitari nelle nostre case e nelle nostre strade, a colazione, pranzo e cena (e in tutti i tempi intermedi).
Assieme al dilagare dell’uso della sessualità nel campo pubblicitario (ovviamente non solo in questo) si diffonde sempre più l’uso della sua sorella gemella: la volgarità. Anche questa, infatti, non è mai sazia di se stessa e – come la droga – richiede dosi sempre più massicce. Ciò che era un tempo definito linguaggio da scaricatori di porto, ora è sulle bocche degli studenti di ogni ordine e grado, dei loro professori, degli uomini politici, degli uomini (e donne) di qualunque età ed estrazione sociale e, ovviamente, dei pubblicitari.
Ci troviamo così sovente di fronte a dei casi dove è chiamato a intervenire il garante della Pubblicità, il quale, in alcune situazioni, censura le stesse pubblicità. Ma per molti pubblicitari (e per le aziende che li pagano) l’unica cosa che conta è stupire. Pensiamo al caso di una ditta “seria” (o supposta tale) come la svedese Ikea che non ha saputo trovare di meglio che utilizzare per la sua pubblicità l’immagine di alcuni bambini che giocavano tra dei palloncini nei suoi centri babysitter, allestiti nei suoi negozi, abbinandole la scritta volgare ed offensiva: “Lasciateci i vostri bambini, che ce li teniamo noi tra le [xxxxx]”. Oppure quell’azienda nel Lazio che ha dipinto sulle fiancate dei tram un fondoschiena “naturale” e la scritta “Noi non vi prendiamo per il [xxxx]”. O, ancora, la giovane signora seduta sul water con le mutandine abbassate per reclamizzare l’arredo bagno.
 
Non vogliamo qui fare un discorso etico o moralistico, ma una semplice riflessione sullo “stato dell’arte” nella comunicazione pubblicitaria. E bisogna farla subito questa riflessione perché quando sarà stato fatto saltare anche il famoso rettangolino e quando si sarà fatto uso del sesso esplicito, cosa avverrà della pubblicità? Sì, perché ormai il confine dell’invalicabile è imminente. E non si tratta di un “invalicabile” secondo una qualche morale, ma tale semplicemente perché dopo non c’è più nulla.
Chiediamoci allora: l’uso progressivo del sesso e della volgarità non rivela forse una mancanza di idee? Non sono forse l’uno e l’altro semplici e immediate scorciatoie quando non ci viene in mente niente altro di interessante?
La pubblicità che punta sul sesso dimostra di non avere più idee, rivela che quanto vuole reclamizzare è senza alcun appeal, visto che punta tutto sul… sex appeal di qualcos’altro.
Non è forse vero che la volgarità nella normale conversazione, nei pubblici dibattiti, nella comunicazione in famiglia, nei discorsi tra colleghi al lavoro, nei salotti televisivi, non nasconde altro che una pochezza di pensiero, una scarsità di motivazione, una debolezza di convinzioni? Il linguaggio volgare non è forse tipico delle persone e delle situazioni aggressive? E non è forse assodato che l’aggressivo è un debole, il quale non trova altro modo per sfogare la propria frustrazione e debolezza?
La pubblicità, quando è volgare e aggressiva, dimostra di non avere altre ragioni da portare a sostegno del suo messaggio.
A questo punto la nostra riflessione deve toccare il punto centrale del problema: nella comunicazione pubblicitaria è stata data troppa enfasi alla fantasia invece che alla creatività. Tutto ciò in pieno contrasto con il termine “creativi” che è sempre stato dato agli esperti della pubblicità.
Chiariamo subito la differenza tra queste due caratteristiche. La fantasia permette ad una piccola azienda con un budget di cinquemila euro per la pubblicità di immaginare di scritturare Christina Aguilera come testimonial, di incaricare Martin Scorsese di realizzare un film dove la storia ruota attorno al proprio prodotto, di acquistare quattro pagine interne, a colori, per tre mesi di seguito, de IlSole24Ore e di dipingere tutti i treni della rete ferroviaria italiana con il marchio dell’azienda. La creatività consente di utilizzare quei cinquemila euro in maniera da risultare grandemente efficace nell’area di interesse dell’azienda. La fantasia è spesso irrealizzabile. La creatività mai.
Creatività batte fantasia cento a uno.
In realtà, il prevalere della fantasia sulla creatività è stato (e lo è tuttora) trasversale nella nostra società. Prendiamo, ad esempio, i fumetti di Walt Disney. Dai primi tempi del suo creatore, sino agli anni Cinquanta, le storie di Topolino e di Paperino erano veri racconti. Avevano un filo logico, una trama, infatti si prestavano anche ad essere raccontate anche senza l’ausilio delle immagini. Con gli anni Sessanta l’attrazione e la “sostanza” delle storie hanno cominciato a diventare sempre più deboli, per arrivare negli anni Ottanta, Novanta e primo decennio del Duemila ad una fragilità e inconsistenza ormai totali. Quelle che erano vere trame poliziesche del detective Topolino sono diventate fantastiche (non nel senso di “eccezionali”) leggende metropolitane di giganteschi coccodrilli che vivono nelle fogne della città o di aggressive lumache, delle dimensioni di un pianeta, che navigano nello spazio. Le vicende del simpatico anche se sfortunato Paperino, che facevano tanto sorridere un tempo, sono ora diventati episodi senza senso di un papero stupido, prepotente e disonesto.
Il problema? La scarsità di capacità creativa ha moltiplicato il ricorso alla fantasia.
Anche il cinema ha vissuto la stessa negativa evoluzione. I western americani degli anni Trenta sino ai Cinquanta, pieni di avventure, epica, eroi e insegnamenti positivi sono diventati i nostrani Spaghetti Western, dove la pseudo storia è un debole filo conduttore di una interminabile sequenza di violenze. E gli altri generi cinematografici hanno vissuto un’analoga parabola. Ormai gli effetti speciali hanno sostituito, in moltissimi casi, la forza della storia raccontata. Per non parlare anche qui della violenza, del sesso e dell’esposizione (quando non esaltazione) dei peggiori istinti e comportamenti umani.
Il problema? La scarsità di capacità creativa ha moltiplicato il ricorso alla fantasia.
Ritorniamo ora al nostro tema centrale della pubblicità e stabiliamo un nuovo comportamento: abbandoniamo i facili percorsi del richiamo del sesso perché battuti da tutti (per distinguerci dovremo dare sempre di più) e perché ormai più che abusati (ad ogni abbuffata consegue una repulsione).
Riprendiamo fiducia nella nostra capacità di poter produrre idee vincenti e convincenti. Il vero creativo ama le cose non convenzionali (il che non vuol dire essere “contro” le convenzioni). Troppi credono (anzi, si autoilludono) che usare il sesso nella pubblicità sia un’idea anticonvenzionale. In realtà, oggi, è semplicemente un’idea banale. Ricerchiamo quel lampo di genio che si ha quando fatti già noti vengono visti da una nuova prospettiva.
Fu il poeta statunitense Ezra Pound, personalità eccentrica e insofferente del mondo accademico, che disse: “Il genio… è la capacità di vedere dieci cose dove l’uomo comune ne vede una e dove l’uomo di talento ne vede due o tre”.
Quanta pubblicità attraente ed efficace potrebbe venire dall’applicazione di questi semplici principi. Faremmo più felici i nostri committenti, attireremmo di più i nostri pubblici target e saremmo professionisti più felici perché sentiremmo che stiamo facendo un buon lavoro e che c’è un futuro di idee davanti a noi senza limiti.
Sergio Zicari, Amministratore unico di Akón, si occupa di organizzazione di reti di vendita, di formazione del personale commerciale e non, di iniziative di marketing, di progetti di e-commerce, di ideazione e gestione di start-up. Ha lavorato come formatore, consulente, temporary manager e amministratore delegato. Socio FERPI, scrive articoli per riviste, libri e per e-magazine sui temi della comunicazione, del marketing e delle vendite. (sergio.zicari@akon.it)