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Se la pubblicità tradizionale va in crisi.

04/09/2007 21467 lettori
4 minuti

Debole crescita dello 0,4% nei primi sei mesi del 2007 rispetto al 2006. Investimenti nella televisione in calo dello -2,6%. E’ quanto si legge da un’analisi di Nielsen Media Research relativa agli investimenti pubblicitari in Italia nei primi sei mesi del 2007.
Sono alcuni segnali che che denunciano la necessità di una profonda rivisitazione dei modelli di business finora utilizzati e del modo di fare comunicazione a cui ci eravamo ormai tutti abituati.

“Il fatto è che la pubblicità non funziona più come alle sue origini. Si presenta al pubblico come un monologo, mentre siamo da tempo entrati nell’era del dialogo, ovvero della comunicazione a due vie”. E’ quanto afferma Marzio Bonferroni, Presidente di UniOne srl – architetture di comunicazione e autore di diversi libri sulla comunicazione, fra i quali il suo ultimo volume “La nuova comunicazione di marketing” (Tecniche Nuove – 2007).

Quali sono, secondo lei,  le cause di questa crisi?


Marzio Bonferroni,
Fondatore e Presidente di Uni.One srl


Il perché di questo crollo di efficacia sul piano della brand awareness è certamente da imputare in buona parte anche al grande affollamento dei messaggi, alla grande proliferazione di media vecchi e nuovi, e alla progressive refrattarietà dei pubblici che vedono nella pubblicità vecchia maniera un “venditore a tutti i costi”. Questi pubblici non trovano un vero, attento ascolto delle loro reali necessità, sul piano emotivo ma anche razionale ed etico.
La pubblicità è figlia legittima del sistema industriale di massa e della customer satisfaction, visione che è da ritenersi ormai obsoleta e restrittiva. Il focus è stato sul customer e sui suoi atti, senza considerare gli aspetti molto più ampi in cui un essere umano si realizza, e che sono appunto gli aspetti non solo emotivi, ma anche razionali ed etici, che si possono analizzare quali necessità misurabili sia nelle esigenze che nelle soddisfazioni ricevute.
Pertanto un’altra causa della perdita di efficacia della pubblicità è da vedere proprio nella sua impossibilità a poter rispondere alle nuove esigenze dell’essere umano-cliente, che desidera sentirsi “ascoltato” in tutte le sue istanze, esprimibili in item definibili.

Invasività e ossessionante ripetitività sono altre due cause alle quali attribuire la perdita di efficacia della pubblicità e la scarsa considerazione che le viene accreditata, quando non si tratta di vero e proprio rifiuto.
Un altro “perché” relativo alla non funzionalità della leva pubblicitaria oggi, che personalmente ritengo di fondamentale rilievo, è la dissintonia sempre più evidente fra creatività pubblicitaria tendente alla pura brand awareness e la necessità di messaggi che si fanno ricordare nei contenuti e che siano ritenuti utili dai clienti.
Un’altra causa ancora credo sia da ricercare nel fenomeno della frammentazione dei messaggi e degli strumenti e mezzi di comunicazione, ognuno dei quali si riferisce spesso alle proprie capacità tecniche di indirizzarsi ai diversi pubblici, senza che prima venga effettuata la ricerca e la concreta produzione di una strategia unitaria.

Per uscire dalla crisi, serve allora un cambio di paradigma...

Bisogna “traslocare” in un nuovo territorio della comunicazione, prendendo in considerazione tutti gli aspetti progettuali, finanziari, tecnico-produttivi, organizzativi, interni ed esterni all’impresa, fino ad una profonda rivisitazione delle funzioni e delle motivazioni dei diversi stakeholder, nonché dei metodi di marketing e di comunicazione. Bisogna migrare sempre più decisamente dal concetto di “customer satisfaction” a quello della “human satisfaction”: la pubblicità dovrà entrare in un territorio in cui la centralità sia l’essere umano, e dovrà lasciare il campo ad una più ampia struttura comunicazionale il cui fine ultimo sia per un’impresa il giusto profitto, conseguenza indiretta della – human satisfaction – dei propri stakeholder.  

Quale potrà essere un  nuovo metodo di comunicazione?

Innanzitutto, bisogna considerare gli obiettivi di attenzionalità e di notorietà non più come dei fini ultimi da raggiungere e da misurare quali cause di effetti sul consumo di prodotti e servizi, bensì quali mezzi che permettono di arrivare con immediatezza nell’area della ragione. E’ in questa area che si determinano, su basi appunto razionali e non soltanto emozionali, i comportamenti di acquisto a medio-lungo termine, mentre nell’area dell’emozione si determinano atteggiamenti più collegabili all’impulso emozionale che, se non sostenuto anche dagli elementi razionali, non sostiene la fedeltà del cliente.
E’ anceh da considerare un’altra area che oggi ha assunto significati di grande rilievo socio-economico oltre che individuale: l’area etica. In questa area, anch’essa da valutare in sinergia con le aree dell’emozione e della ragione, si rivelano elementi  umani definibili in item, quali le necessità di conoscere la composizione dei prodotti per motivi salutistici, la compatibilità delle materie prime con il rispetto dell’ambiente, il rispetto del lavoro minorile, la considerazione per azioni di portata sociale da parte della marca e dell’impresa, ecc.
E’ dunque evidente come per raggiungere le tre aree che determinano la psiche e l’esperienza  di un essere umano nella sua completezza, non sia possibile affidarsi esclusivamente alla leva pubblicitaria dell’emotività, dell’impatto e del posizionamento, ma a un metodo più completo da identificarsi quale metodo per la comunicazione di marketing, che consideri in modo unitario, a partire dalla creatività dei messaggi, le tre aree da raggiungere in modo consequenziale.

Questo nuovo metodo funziona anche per le imprese B2B?

Ogni impresa, nelle aree sia del B2B sia del B2C, dalla più artigianale e personale alla più strutturata ed estesa internazionalmente, potrà entrare nel nuovo territorio della comunicazione, valendo per ognuna di esse lo stesso principio che vale per ogni singola persona, ovvero che un’idea se non è ben comunicata, non si diffonde, non permette lo sviluppo intellettuale ed economico di chi l’ha creata e, in pratica, è come se non esistesse.

Quali sono, secondo lei, i principali ostacoli alla diffusione di una nuova cultura della comunicazione? 

Sicuramente la pigrizia, il condizionamento, la cecità, la mancanza di coraggio e talvolta anche la malafede. Il manager, chiamato a gestire progetti, programmi e risorse, quasi mai si pone l’esigenza di mettere in discussione ciò che l’impresa gli mette a disposizione, sia per mancanza di tempo sia soprattutto per il fatto che l’innovazione è compito riservato all’imprenditore o a chi ne fa le veci come Amministratore Delegato o Presidente.

Per superare questi ostacoli, occorre che l’imprenditore e coloro che ne hanno la delega, si assumano la responsabilità di valutare l’efficacia dei vecchi metodi e di sperimentarne dei nuovi ad integrazione o anche in alternativa. Le ricerche a mio avviso devono essere commissionate e valutate sotto il controllo diretto dell’imprenditore poiché talvolta chi deve essere giudicato tende a favorire o a condizionare a priori l’esito delle ricerche, a favore delle proprie scelte, per non apparire criticabile e quindi passibile di decisioni negative per la propria posizione.

Ecco quindi un altro ostacolo: la talvolta scarsa qualità delle ricerche sull’efficacia della comunicazione. Ho avuto dirette esperienze con responsabili di Istituti di Ricerca che, per evidenti motivi di business, mi hanno confidato con grande chiarezza come non sia possibile sempre dire la verità per non “offendere il committente”, privilegiando quindi l’ottenimento del lavoro di ricerca e del business collegato, alla norma etica e deontologica che prevede il rispetto della verità.

Il considerare la comunicazione e i suoi investimenti come elemento di business personale e comunque nel non rispetto della verità, è a mio avviso un grande ostacolo.

Sta parlando di corruzione?

Ho avuto esperienze dirette molto significative, in cui se da una parte un certo progetto e programma veniva approvato dai responsabili diretti, successivamente veniva bloccato da alti vertici o addirittura da Presidenti e Amministratori Delegati che avevano l’obiettivo di alimentare strutture di comunicazione in cui lavoravano figli e parenti. 
Per ridurle o eliminarle l’unico modo è il diffondere sani principi di etica, di onestà e di giustizia. Anche se il fenomeno della mancanza di etica in politica e in economia ha raggiunto livelli talvolta macroscopici, determinando sfiducia e reazioni di varia natura, non bisogna mai rinunciare a pensare che lavorando con serietà ed onestà, per l’interesse dei diversi pubblici, sia sempre il modo più giusto e più sicuro per contribuire al successo delle imprese e per ottenere ottimi risultati personali, vincendo la tentazione delle “scorciatoie”.

Qual è l’importanza della misurazione nel nuovo territorio di comunicazione dal lei prospettato?

E’ fondamentale. Se da una parte è decisamente motivante e soprattutto necessario per le imprese del futuro puntare ai nuovi territori della comunicazione, d’altro canto è sempre importante analizzare e misurare a fondo i risultati della nuova comunicazione di marketing a partire da approfonditi test.
Accettando la visione della Human Satisfaction, le imprese dovranno considerare sistemi di ricerca innovativi indirizzati a cogliere tutti gli item relativi alle necessità da evidenziare nelle aree dell’emozione, della ragione e dell’etica, presenti negli stakeholder che l’impresa considera essenziale soddisfare per ottenere i risultati di profitto.
Senza addentrarsi in considerazioni relative ai metodi sia qualitativi che quantitativi, voglio soltanto considerare di grande rilievo il poter contare su ricerche che evidenzino a fondo sia il grado di necessità esprimibile item per item, sia il grado di soddisfazione che l’impresa in realtà determina, ottenendo così un confronto fra necessità e soluzione, sempre item per item, evidenziando inoltre la distanza, ovvero il gap eventualmente da colmare per ognuno di essi.
In questo modo, già in fase di test preventivo e poi in fase di analisi consuntiva, l’impresa potrà in comunicazione realizzare risultati sempre più soddisfacenti per l’ottenimento della Human Satisfaction, che comprende anche la soddisfazione relativa all’atto di consumo di un bene economico, e che sarà causa essenziale dell’ottenimento dei risultati di vendita e di profitto che l’impresa si è dati, considerando le potenzialità e le caratteristiche dei propri mercati e dei propri stakeholder.