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CELESTINO V- il papa che per viltà fece il gran rifiuto... ricordate?

03/09/2007 34979 lettori
3 minuti

 

 

 

immagine tratta da: "I Templari ed il Colle Magico di Celestino" di Maria Grazia Lopardi - ed. IdeaLibri

 

 

Perché Dante considerò papa Celestino V un "vile" (Inferno, III, 60)?

Dopo aver accettato il pontificato nel 1294, all'età di 79 anni, Celestino V -pressato dalle forze integraliste della curia romana- abdicò dopo  cinque mesi e morì assassinato nel 1296.

Era un benedettino. Le sue origini  erano contadine.

Perché dunque accettò l'incarico? Probabilmente per "spirito di obbedienza"o  perché s'illudeva di poter dare un contributo alla soluzione della crisi della chiesa

Anche  Petrarca lo considerò un "vile" (De vita solitaria, III, 27).

Tuttavia -a differenza di Dante,  Petrarca ritenne che quella rinuncia fosse stata "utile a lui per l'inesperienza degli affari, perché uomo di  contemplazione, per amore della solitudine".

Nessuno dei due mise in discussione che il papato dovesse avere un ruolo politico.

Dante  voleva un pontefice disposto a collaborare  coll'imperatore: quale delusione dovette subire quando vide che dopo Celestino salì al soglio Bonifacio VIII conservatore.

 Proprio Bonifacio VIII sarà causa del suo esilio da Firenze e causa della rovina della stessa città.

Petrarca voleva un pontefice "capace", come avrebbe dovuto essere nella  tradizione della chiesa cattolica.

Nessuno dei due seppe valorizzare, sul piano umano e politico, il rifiuto di Celestino V.

Dante non nominò il pontefice, pur essendo l'unico ch'egli riconosceva nel girone degli ignavi.Ciò è dovuto al fatto che, pur dovendolo condannare, come politico, alle pene  dell'inferno, come uomo  non se la sentì d'infierire su un personaggio la cui  colpa fu la debolezza di non saper regnare. Dante non poteva mettersi a parlare sul piano umano con una persona cui non riconosceva neppure il titolo di "avversario politico".Dante sta a Machiavelli come Petrarca sta a Guicciardini

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Celestino V, al secolo Pietro Angelerio da Morrone, nacque nel 1215 da contadini poveri. A 16 anni fu accolto dai Benedettini  di Santa Maria dei Fafoli, a Benevento.

Nel 1231 vestiva l'abito benedettino: tendeva ad isolarsi nell'ascetismo della vita eremitica.

 Per tre anni visse con un confratello in una grotta da lui stesso scavata nella roccia, sperduta tra i boschi, in  isolamento, presso il monte Palleno (oggi Porrara), dove poi sorgerà il santuario di S. Maria dell’Altare.

 Iniziò a predicare sul monte Palleno alla Maiella. Sospinto dalla gente dei luoghi vicini a farsi consacrare sacerdote, ma anche per sottrarsi alla frequentazione dei pellegrini, si recò a Roma.

 Dopo gli studi presso il Laterano, fu ordinato sacerdote da papa Gregorio IX, che gli permise di proseguire la vita eremitica.

Lasciò Roma, ma invece di tornare sul Palleno, si fermò presso Sulmona, a Segezzano,  dopo aver appreso che in quei luoghi aveva dimorato il famoso eremita Flaviano da Fossanova.

Alle pendici del Morrone, trovò riparo in una grotta presso la chiesetta di S. Maria di Segezzano sulla quale sarà edificato il monastero di S. Spirito.

In questa spelonca, Pietro cominciò ad essere avvicinato da quelli che saranno i futuri discepoli. Si trattava di centinaia di giovani provenienti dalle vicine casupole  attratti dalla sua vita eremitica.

Lui, taciturno e riservato non voleva condividere con alcuno la sua solitudine.Insofferente alla frequentazione dei fedeli che diventavano sempre più numerosi, abbandonò l’eremo di Segezzano per rifugiarsi nella vicina Maiella dove sulla parete dell’Orso, alla Ripa Rossa, trovò un primo rifugio.

Si sposterà in uno fra i più impervi dirupi di quelle montagne,  S. Spirito di Maiella dove  sarà edificato il  monastero che  sarà Caput Congregationis. Resterà per lunghi anni sulla Maiella,  in fuga dalle turbe di fedeli che insidiavano la sua solitudine e  alla ricerca di  caverne perché masse di pellegrini poveri, infermi e disperati potessero raggiungerlo per trovare conforto alle loro sofferenze

 Sui monti della Maiella, si consolidò  la sua fama di taumaturgo.

Ispirandosi al movimento di Gioachino da Fiore, decise di fondare la Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo o Celestini.

 La regola fu approvata da papa Urbano IV. L'ordine sfuggì, dopo il Concilio Lateranense del 1215, alla soppressione voluta da papa Gregorio X:

Celestino andò a piedi sino a Lione dove stava per svolgersi il Concilio Lionese II per chiedere al pontefice la tutela del proprio ordine e la ottenne poiché il suo movimento non veniva considerato politicamente ostile alla chiesa.

Celestino aveva sempre condotto una vita di penitenza, preghiera, silenzio, astinenza, durissimi digiuni, autofustigazione e mortificazione della carne

I celestini avviarono le pratiche per la costruzione sul Colle di Maio (oggi Collemaggio) di un'abbazia: l'anno successivo fu consacrata la basilica.

Sempre sospinto dalla sua  brama di solitudine, Celestino convocò il quarto (e ultimo) Capitolo Generale e comunicò la sua  decisione di volersi ritirare per sempre sul Morrone e qui morirvi.

A tale scopo farà scavare il famoso eremo di S. Onofrio dove vivrà per tredici mesi in  segregazione, recidendo tutti i contatti col mondo esterno, salvo quelli connessi alla sopravvivenza.

Intanto a Perugia, undici cardinali, dopo la scomparsa di papa Niccolò IV, si contendevano nel conclave, da 27 mesi, il soglio pontificio, incapaci di comporre un conflitto fondato  sulle bramosie di potere delle  famiglie degli Orsini e dei Colonna.

 Negli affari del conclave si era gettato anche Carlo II d’Angiò, il quale aveva  bisogno di un papa che ratificasse l’accordo raggiunto con gli aragonesi per la restituzione della Sicilia.

 Fu proprio in quella occasione che il francese misurò la grinta del Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, il quale lo invitò a starsene fuori.

Il re, indignato per l’onta subita, ma  disperato perché rischiava di veder vanificati gli effetti dell’intesa raggiunta, lasciò Perugia, ma invece di procedere per Napoli si recò a Sulmona dove, puntando sull'ingenuità di Celestino, lo indusse a scrivere una  lettera ai cardinali riuniti in conclave.

 In quella missiva Celestino sollecitava l’elezione del nuovo Papa, minacciando la collera di Dio se avessero protratto la vedovanza della "Sposa di Cristo".

Quelli individuarono proprio nell'eremita, l’agnello sacrificale al quale affidare, in uno dei momenti più drammatici dello scontro con il potere temporale, le sorti di una chiesa decadente.

 Era l'anno 1294. Celestino fu incoronato papa all'Aquila. Emanò  la Bolla del Perdono, con cui anticipò il Giubileo cristiano.

Però, la vittima sfuggì dalle mani dei cardinali elettori, perché il nuovo pontefice fu sequestrato dal re angioino che ne fece uno strumento dei suoi maneggi politici.

 Intorno a Celestino V c’erano  affaristi, trafficanti e "barattieri" d’ogni risma che utilizzano il suo nome e le pergamene papali bollate in bianco per concludere i loro affari.

Costretto a lasciare l’Aquila per seguire il re a Napoli, Celestino cominciò a meditare, nella cella che si era fatta costruire in Castel Nuovo, di deporre le insegne papali.

 Ormai vecchio e stanco, consumato dagli acciacchi e da una vita  di  privazioni,  trovò il coraggio d'imporre agli allibiti cardinali la sua rinuncia, incurante delle minacce del popolino napoletano che, sobillato dal re e  da alcuni suoi discepoli, lo aggredì devastando la sua dimora.

Dopo 107 giorni rinunciò al papato: il fatto non ebbe precedenti. Tra le motivazioni disse di non voler offendere la propria coscienza, di desiderare una vita migliore e di non aver sufficiente sapere.

 Il 24 dicembre del 1294, a soli dodici giorni dalla sua rinunzia, con l’ apporto dei voti francesi pilotati da Carlo d’Angiò, fu eletto papa Benedetto Caetani che assunse il nome di Bonifacio VIII.

 Nacque fra il nuovo pontefice e il re di Napoli l'intesa che cancellerà  la ruggine perugina e getterà lo scompiglio fra le file dei seguaci di Celestino,  dei "fraticelli".

Le polizie di Carlo d’Angiò e di Bonifacio VIII vollero catturare Celestino, il quale fuggì da S. Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone e  Vieste sul Gargano da dove tenterà l’imbarco per la Grecia.

Fu raggiunto dai soldati che lo rinchiusero nel castello di Fumone, presso Anagni.

La detenzione, nonostante le falsificazioni addotte dai partigiani di Bonifacio, fu durissima; il rigore  di quella cattività fu  documentato dai cronisti dell’epoca.

Nel 1296 fu assassinato.

Quattrocento anni dopo, Lelio Marini, Abate Generale della Congregazione dei Celestini, il  biografo del Santo (Pietro fu canonizzato il 5 maggio del 1313 da Clemente V) proverà a dimostrare, con una  disamina di numerosi reperti storici che Pietro fu  ucciso per ordine di Bonifacio VIII.

Le spoglie di Celestino si trovano nella basilica di Collemaggio a L'Aquila.

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Anche la salma di Celestino V subirà la sorte di quelle di Pico e Poliziano come già  detto in precedenza e così conosceremo le circostanze della sua morte avvenuta per assassinio.  Ve ne informerò non appena ne avrò notizia.

Potrei  denominarlo come il terzo giallo on-line della  serie.

A presto.

Maresa Baur
Maresa Baur

Sono una scrittrice conosciuta nel web per aver pubblicato sette libri con case editrici online. Il mio sito è http;//digilander.libero.it/biribanti.maresa Credo che cliccando sul link possiate apprendere molto di me,quasi tutto. Amo leggere, informarmi ed informare e scrivo come una forsennata come se non avessi il tempo sufficiente per farlo. Ho scritto libri di poesie, racconti, storie fantasy e "thriller". Anche il giornalismo mi affascina. Mi sono diplomata a Cambridge e adoro l'inglese che è sempre stato la colonna sonora della mia vita. Ho insegnato inglese e fatto traduzioni tecniche. La poesia è tuttavia il mio grande amore e ho invaso tutti i siti letterari possibili.La mia passione è scrivere e se non lo facessi più morirei. Mi definisco una folle-saggia con un pizzico di ironia e con questo mi presento. Maresa Baur