La comunicazione come stile di vita
La comunicazione come stile di vita: Intervista a Rita Simeoni, responsabile Ambito Comunicazione del Comune di Portomaggiore (Fe) e coordinatrice scientifica di Punto.exe.
Rita Simeoni ha dedicato gran parte della sua vita alla comunicazione pubblica, anche se i suoi studi, di carattere scientifico prima e linguistico-umanistico poi, le hanno consentito di abbracciare, un ampio spettro di interessi ed impegni.
Nel 1988 entra in pubblica amministrazione, dove nel corso degli anni matura un interesse per i nuovi processi evolutivi della P.A. che va ben oltre i propri impegni istituzionali, e ne segue con slancio le tappe più significative, dalle prime avvisaglie di una modernizzazione iniziata negli anni ’90, all’evoluzione del rapporto di lavoro, all’imporsi delle tecnologie informatiche.
Di comunicazione pubblica si occupa professionalmente da diversi anni, integrando il proprio operato interno all’ente con attività come formatrice e scrittrice di articoli e pubblicazioni.
Tra le altre cose, ha da poco concluso una partecipazione in qualità di expert-trainer ad un progetto U.E. finalizzato al trasferimento di competenze a favore delle Repubbliche della ex Unione Sovietica, nell’ambito del Tacis City Twinning Programme.
E’ infine tra i fondatori e coordinatore scientifico della Rivista “Punto.exe – Informatica e Comunicazione per la Pubblica Amministrazione”, edita da S.E.P.E.L., che ha curato l'edizione del suo volume VIVERE L’URP. Vademecum dell'Ufficio Relazioni con il Pubblico, tra sogni e scrivania.” dedicato, come si legge nella prefazione dell’autrice, ai “comunicatori pubblici (di oggi… e di domani), testimoni ed artefici dell’inarrestabile cambiamento della pubblica amministrazione.”
Rita hai vissuto il lungo e tortuoso cammino che la Pubblica amministrazione ha percorso a partire dal d. lgs. 29/93 sino alla legge 150/2000: cosa è cambiato nel modo di fare comunicazione nella P.A.?
Se penso agli anni che hanno visto affermarsi la grande stagione legislativa della riforma della P.A. (1990-1997), e li metto in relazione con la realtà di questo avvio di millennio, più che di cambiamento, mi piace oggi parlare di metamorfosi evolutiva. Di un processo, cioè, che, lasciando in fondo inalterata la struttura genetica di un organismo (in questo caso, di un’organizzazione), ne stimola e consente l’adattamento agli stili di vita diversi e più complessi che di volta in volta l’ambiente (o il contesto) impone.
Cerco di spiegarmi. La Pubblica Amministrazione, organismo appunto “pubblico”, al servizio della comunità, ha sempre concettualmente ricompreso tra le proprie finalità l’individuazione dei bisogni espressi dalla collettività e l’approntamento delle misure attraverso cui darvi risposta. Il cambiamento di cui tanto si è parlato, e ancora si parla, non è quindi, a mio avviso, consistito in questo.
E’ invece chiaro come, a fronte del mutare della domanda, anche la P.A. abbia dovuto modificare tutta una serie di aspetti, di forme, di modi di manifestarsi, più adeguati all’ambiente circostante e certamente necessari anche per i termini della propria legittimazione.Per usare una metafora semplice e forse un po’ scontata, è come se, ad un certo punto, le forme tozze e i movimenti lenti e un po’ impacciati del bruco avessero esaurito le loro funzioni e lasciato il posto alla velocità ed all’armonia della farfalla.
E anche se questo processo, in pratica, non può certo dirsi concluso (poiché diversi “bruchi” ancora stentano ad affrancarsi dallo stato intermedio della crisalide), la comunicazione, o meglio, le attività di informazione e comunicazione pubblica come oggi le intendiamo, sono uno dei tanti frutti di questa evoluzione, un colore fra i tanti sulle ali della farfalla.
I cittadini, i moderni clienti, per mutuare dal mondo del privato, sono sempre più consapevoli dei loro diritti e chiedono maggiori servizi, hanno acquisito la centralità dell’azione amministrativa: la pubblica amministrazione è all’altezza di tale cambiamento, soprattutto considerando lo sviluppo delle nuove tecnologie?
La tua domanda contiene molte “parole-chiave” sulle quali ragionare. La prima citazione è quel riferimento al “privato”, dal quale indubbiamente molto la P.A. ha dovuto attingere per evolversi. Ma mi sembra opportuno rimarcare che non tutto ciò che viene dal mondo del “privato” può essere a mio avviso completamente sovrapponibile al modo di operare della Pubblica Amministrazione. In primo luogo, proprio perché le finalità del pubblico e del privato sono, per definizione, profondamente diverse, e, a discenderne, perché gli organismi pubblici non possono e non devono sottrarsi ai valori della condivisione, della solidarietà, del perseguimento del bene comune che ne fondano la presenza nella società civile.
La seconda riflessione è immediata conseguenza della prima. Amo pensare ad un cittadino che, nel suo percorso da “suddito” a “cliente”, diventi finalmente “persona”, nucleo centrale dell’attività della P.A. cui sono dovuti rispetto, attenzione, orientamento specifico.
La maturità e la consapevolezza con cui le persone oggi si avvicinano alla P.A. sono un dato fondamentale del quale tenere conto. Esse non chiedono soltanto di essere “informate”, ma, come loro diritto, di partecipare attivamente ai processi decisionali, impegnandosi anche a fornire indicazioni, dati, riflessioni che gli enti pubblici devono accogliere come strumenti preziosi utili alla sempre miglior programmazione delle loro attività ed iniziative.
Le tecnologie informatiche ed i grandi mezzi di comunicazione di massa, certo, molti progressi hanno consentito in questo senso. La capacità di informare in tempo reale quantità pressoché illimitate di persone, ma anche di riceverne, gestirne e trattarne agevolmente il feedback, ne sono esempi lampanti.
Ma, al di là dei mezzi che si sia scelto di utilizzare, credo che l’aspetto fondamentale di cui tenere conto per soddisfare veramente le richieste dei membri della propria comunità è, ancora una volta, quello di una “relazione” con l’altro che, sostenuta certo dai sempre migliori strumenti tecnologici oggi a disposizione, sia davvero corretta, seria, serena, orientata all’ascolto ed alla comprensione, condizione imprescindibile perché si realizzi uno scambio costruttivo in termini di incidenza sul miglioramento della qualità della vita di tutti.
Molte realtà pubbliche non solo sono pronte, ma da tempo hanno saputo attuare questa strategia, il cui presupposto fondamentale è la costruzione di quella fiducia reciproca fra cittadini e P.A. che non può che condurre ad azioni positive e vincenti.
Per le altre, mi auguro una veloce estinzione, come quella dei dinosauri, ma molto più trasparente sulle cause che l’avranno prodotta…
L’URP ha ancora il ruolo primario di ascolto e comunicazione?
Certo ! Ai giorni nostri, quando l’agire in termini di trasparenza, accesso, semplificazione delle procedure e del linguaggio amministrativi sembrano ormai potersi dire patrimonio acquisito, e non soltanto obbligo di legge, dei diversi uffici pubblici, il ruolo dell’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico deve sempre più essere orientato e riconosciuto in questo senso.
Ascoltare la comunità, saperne cogliere i bisogni e le necessità, rielaborarne la domanda espressa ed implicita in termini di concrete proposte di ri-organizzazione dei servizi e di ri-progettazione degli interventi, coinvolgerla con azioni di comunicazione appropriate, stabilire con essa quella relazione fiduciaria di cui parlavamo poc’anzi, sono abilità specifiche che i comunicatori pubblici possono garantire alle proprie amministrazioni, attraverso la sinergica e complementare piena realizzazione delle proprie specifiche attività di front office e back office.
E’ necessario però che tutte le amministrazioni, da quelle centrali alla più piccola comunità montana, comprendano e sappiano legittimare e valorizzare per prime le potenzialità di questi preziosi strumenti, dotando gli URP di adeguate risorse umane, finanziarie e strumentali, e soprattutto riconoscendone ed incentivandone la capacità di intervento trasversale sulla struttura. Non vi è nulla di più triste, infatti, di un URP ridotto alla distribuzione di volantini e informazioni come al supermercato o, peggio, allo svolgimento di attività e funzioni residuali che altri uffici hanno ritenuto di poter demandare in base alla sola logica di evitare il contatto con il pubblico ( e questo la dice lunga sul concetto di “cittadino persona”….). L’URP “spazzatura” non sta nella logica della riforma, né tanto meno di ciò che la società intera oggi chiede ai propri amministratori.
Comunitàzione è un sito che si rivolge soprattutto agli studenti di Scienze della comunicazione, cosa suggeriresti ai futuri comunicatori di domani che potrebbero scegliere di lavorare nella Pubblica amministrazione?
Rispondo con una breve riflessione che scambiai via e-mail qualche mese fa:
“Dei cento "mestieri" che ti possono capitare in P.A., questo che affronto è il più affascinante, il più stimolante, quello che può farti crescere ogni giorno perché non ti concede mai di fermarti alla superficie delle cose, dei fatti, delle persone, ma ti chiede di scavare, di capire, interpretare, e infine sognare e arrivare a creare sempre qualcosa di diverso, sempre un passo oltre verso ... il migliore dei mondi possibili. Ma ... è anche il più duro. E' quello che ti mette continuamente alla prova, quello dove non ti puoi mai nascondere dietro alibi "preconfezionati", quello che, se lo vuoi far bene, la cosa che ti insegna meglio a fare è riconoscere i tuoi errori, senza nemmeno il beneficio del dubbio.”
Se questo un po’ vi spaventa, non preoccupatevi troppo; in fondo, il merito di avervi un po’ preparato la strada, noi della “vecchia guardia”, ce lo prendiamo…. J