Il matto e disperatissimo studio d'un grande poeta:Giacomo Leopardi
VISTA DAL COLLE DELL'INFINITO
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798 dal Conte Monaldo e da Adelaide dei marchesi Antici.Era il primogenito di 10 figli e trascorse la sua fanciullezza con i fratelli a Recanati studiando prima con un precettore e poi da solo nella ricca biblioteca del padre.Fin da giovane, aveva una grande volontà di sapere e studiare; imparò presto il latino, il greco e l'ebraico.Era talmente bravo che presto il suo maestro pensò di non essere più utile per i suoi studi, lasciandolo da solo alle prese con i suoi libri nella biblioteca di famiglia, dove Giacomo trascorreva la maggior parte del suo tempo.Questi primi anni di studio così intenso senza nessuno svago o gioco, provocarono in lui problemi fisici ed una tristezza profonda che lo accompagnarono per tutta la vita.
A 14 anni aveva già composto due tragedie in greco (Pompeo in Egitto e Virtù indiana) ed aveva affrontato delle ricerche di carattere scientifico.Imparò l'inglese, il francese e lo spagnolo, leggeva e commentava libri difficili e poco conosciuti traducendoli in italiano.
A 15 anni terminò una Storia della Astronomia e due anni dopo con "il Saggio sopra gli errori degli antichi "mostrò una maturità personale ed una capacità di comporre molto forte
A 17 anni iniziò quella che lui stesso definì una conversione letteraria. Approfondendo Dante, Omero, Virgilio ed Esiodo perfezionò il suo stile nello scrivere e rivalutò questi autori che prima aveva disprezzati.
Aveva intanto continuato a comporre versi e prose sempre più importanti e di stile pregiato. Il suo più caro amico Pietro Giordani , si rendeva conto della sua grande bravura, ma non avvertiva che Leopardi, con le sue opere, stava entrando nella letteratura italiana come uno dei più grandi poeti dei sentimenti e della immaginazione.Il continuo lavoro di studio, la sua chiusura al mondo delle amicizie e degli affetti ed i suoi problemi fisici, fecero crescere in Leopardi una grande malinconia ed un forte pessimismo nei confronti della vita.
Nel 1822 venne a Roma ed invece di distrarsi peggiorò lo stato d'animo malinconico e la sua incapacità di gestire i rapporti umani.
Tornato a Recanati compose le Operette morali (una serie di prose sulla natura, la morte, il dolore , la felicità e la noia).
Pensava che la NATURA non volesse il bene delle sue creature, ma la loro sofferenza che lui provava fisicamente e moralmente.
I principali temi del suo pessimismo furono:
la giovinezza perduta, l'infelicità dell'amore e della vita. I suoi amori non furono mai ricambiati. Da ragazzo si innamorò della cugina Geltrude Cassi a cui dedicò la poesia Il primo amore; poi della figlia del fattore, Teresa Fattorini, alla quale dedicò la famosa poesia A Silvia ed infine, nel 1831 a Firenze, di Fanny Torgiani Tozzetti. Soffrì molto per questa donna che lo illuse e lo trattò male.
Intorno al 1823 cominciò un periodo di vita attiva; viaggiò in molte città italiane: Milano, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli. Iniziò a scrivere su alcuni giornali di carattere letterario e a partecipare ad alcuni incontri pubblici, soprattutto a Firenze.Quando fu a Napoli, nel 1833, iniziò ad avere delle forti crisi di asma che lo portarono fino alla sua morte avvenuta tra le braccia del suo amico Ranieri nel 1837, a 39 anni di età.
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Aggiungerò le notizie sulle cause della prematura morte del poeta, non appena ne avrò notizia in seguito alle indagini dal Ris di Ravenna.
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IL PENSIERO FILOSOFICO
ha radici, oltre che nella sua difficile vicenda esistenziale, in quel razionalismo illuministico che volle porre nella ragione ogni verità della vita. L'ipersensibilità del poeta unita all'idealismo è causa d’amarissime disillusioni, convincendolo che la realtà è la morte di tutto ciò che l'intelletto sogna ed il sentimento idealizza.
Inizialmente il pessimismo è personale, in seguito, crede che gli ideali ormai perduti abbiano illuminato la vita degli antichi e che soltanto la corruzione del tempo abbia svuotato gli uomini d’ogni ideale. Da tale concezione viene il rimpianto per le età antiche.
Ben presto però il contrasto tra ideali e realtà, tra aspirazioni e limiti imposti dalla vita, lo portano a concludere che l'infelicità non è conseguenza del progresso, bensì stato naturale di ogni essere vivente e che la natura è nemica dell'uomo.
Egli teme la morte, la vita è fragile cosa e più che dono è disgrazia La virtù morale è più preziosa della bellezza, ma un'anima sublime in un corpo sgraziato è derisa e misconosciuta (Ultimo canto di Saffo).
L’uomo aspira a cose infinite ed eterne, ma vivere è un continuo morire (infinito).
L'uomo è destinato a non godere d’alcun bene, si dispera, è afflitto da un tedio mortale che lo spinge al suicidio dal quale lo trattengono la paura della morte e la superstizione religiosa.
l'aspirazione all'irraggiungibile verità è il massimo tormento della vita ed è senza speranza, infatti, l'uomo è destinato a non sapere perché sia nato, viva, soffra, dove vada (Canto notturno di un pastore errante nell'Asia) e tale cecità uccide l'anima umana (L'infinito: "...e il naufragar m’è dolce in questo mare"), poiché questa è la legge inesorabile dell’universo.
L'infelicità umana non trova sbocco nella Fede. La poesia è intessuta di sogni ed illusioni, nonostante la disperazione che avrebbe potuto soffocarne il lirismo o renderla gelida.
Il pensiero si basa su due presupposti:
· L’uomo non può conoscere la verità (scetticismo).
· La realtà coincide con
Fasi del pessimismo :
1. Dolore personale - La vita è stata spietata con Leopardi (esperienza personale), ma altri possono essere felici.
2. Dolore storico - Questi due punti generano l’ironia ed il sarcasmo di Leopardi contro i filosofi idealisti e neocattolici che esaltano "le magnifiche sorti e progressive dell’umanità" (Ginestra) e contro l’ottimismo illuministico (Ginestra).
La vita è dolore, il male è nella razionalità.
L’origine dell’infelicità umana è nella contraddizione tra il desiderio di felicità e l’impossibilità di conseguirla ( teoria del piacere).
Dolore storico: non la natura, ma la società è nemica dell’uomo. L’uomo comune si consola del male quando lo riconosce necessario, l’uomo superiore non si rassegna, piuttosto si uccide, non maledicendo la vita, ma lasciandola con rimpianto (Saffo).
3. Dolore cosmico - Pessimismo universale.
Se l’uomo è creatura della Natura, è evidente la contraddizione fra tale affermazione e la reale condizione umana.
Tale contraddizione è spiegata daL POETA affermando che in ciò sta la perfidia della natura (Natura matrigna).
Non è infelice la società “adulta”, ma ogni società, in ogni tempo. L’infelicità non è retaggio solo dell’uomo,ma di tutte le creature (esiste solo la legge della continuità della specie).
Il dolore è fatale all’uomo che è dotato di intelligenza e quindi avverte il tedio ed il “senso della morte”. Tutto quello che è, è male (Zibaldone).
Leopardi vagheggia l’azione e le illusioni eroiche, creando il “mito della giovinezza” e quasi confutando le accuse di fatalismo e di misantropia
Rifiuta il suicidio (che in precedenza aveva considerato lecito), poiché lo considera una diserzione da tale disperata battaglia (dialogo di Plotino e Porfirio).
La condizione fondamentale dello spirito è l' incapacità di aderire alla vita che gli appare come uno spettacolo remoto ed alieno.
Tale atteggiamento lo porta al “taedium vitae (la noia lo fa sentire estraneo al mondo). Oscilla tra la necessità di appartarsi da un mondo che sente estraneo per immergersi nel proprio universo interiore ed il bisogno di consolare ed essere consolato.
LEOPARDI E IL SUICIDIO
Pur giudicando irrazionale il rassegnarsi alla vita e ragionevole il suicidio, inteso come liberazione dalla sofferenza, tuttavia ritiene che l'uccidersi sia atto inumano, poiché non tiene conto del dolore altrui e sebbene sia proprio del sapiente non piegarsi al sentimento e non lasciarsi vincere dalla pietà, tale forza d'animo deve essere usata per sopportare la triste condizione umana, usarla per rinunciare alla vita ed alla compagnia delle persone care è un abuso, non soffrire al pensiero di lasciare nel dolore le persone care è indegno del saggio.
Il suicidio è un atto d’egoismo, poiché il suicida cerca solo la propria utilità, disprezzando l'intero genere umano (dialogo di Plotino e Porfirio) ed agisce come un disertore che abbandona i compagni impegnati in una lotta impari contro la natura nemica (La ginestra).
Il problema della legittimità del suicidio, tormenta Leopardi fin dalla crisi esistenziale del 1819, ed ancora nel 1824 (Ultimo canto di Saffo), egli sostiene la tesi della legittimità del suicidio, ma già in quello stesso anno si notano le prime affermazioni sul dovere di subire il destino con animo forte, trovando conforto nella bellezza delle creazioni dello spirito umano.
Nel 1827,scrive il dialogo di PLOTINO
Porfirio difende il suicidio sostenendo che, se
Solo la noia, poiché nasce dalla coscienza della realtà, non è vana né ingannevole. L’evoluzione spirituale lo conduce a posizioni più equilibrate (Plotino) e svincolate dalle situazioni contingenti, infatti, l’uomo è condannato alla sofferenza, ma una legge di natura vuole che egli viva nonostante tutto. Solamente pochi si rendono conto della realtà, tutti gli altri combattono vanamente contro la natura. Tale lotta deve affratellare gli uomini, quindi il suicidio è una diserzione inammissibile. Inoltre la vita è degna di essere vissuta non perché sia felice, ma perché spiritualmente elevata. L’uomo deve prendere coscienza della propria vita interiore.