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L'ultimo bacio

24/05/2003 9318 lettori
5 minuti
Se qualcuno vuole sapere dove è andata a finire la generazione figlia del ’68, quella degli adolescenti viziati, dei valori perduti, della confusione sessuale, affetta da un’inesauribile sindrome di Peter Pan, Gabriele Muccino ne fa un ritratto discretamente dettagliato.

Hanno ormai trent’anni, questi ragazzi, e proprio ora i nodi vengono, come si suol dire, al pettine.
In un intreccio di famiglie sfasciate, mogli petulanti da lasciare, figli che piangono troppo, incomprensioni, paure di crescere e di perdere qualcosa di importante, responsabilità da assumersi senza aver la voglia di farlo e bionde adolescenti invitanti, cinque amici sulla soglia dei trent’anni si giocano il passaggio all’età adulta.

Una volta si era portati a pensare che l’adolescenza fosse proprio quell’età di passaggio che, in una spesso ingestibile tempesta ormonale e confusione esistenziale, conduce al momento in cui ogni ragazza e ragazzo sono finalmente definibili donne e uomini.
Una volta, vent’anni o poco di più era l’età giusta per sposarsi, mettere su famiglia e fare dei figli.

Ma questi trentenni si ritrovano ancora a vagare in un limbo che non permette loro di tagliare i vari cordoni ombelicali e di intraprendere una propria strada.
Curiosamente, i cinque amici sono tutti uomini e solo uno di loro si sposa all’inizio del film senza particolari traumi o angosce: è sufficiente per lui un semplice rito di iniziazione, come il lancio con l’elastico da un ponte, per stabilire e dimostrare a tutti che ha sufficiente coraggio per cominciare una vita matrimoniale.
Gli altri quattro, invece, stentano a trovare una loro dimensione, a comprendere quello che stanno cercando e, soprattutto, a cosa sono disposti a rinunciare per ottenerlo.
Le donne appaiono, invece, nel bene o nel male più sicure, o perché opprimenti ed un po’ ottuse, o perché molto più forti e consapevoli.
Persino la bionda ed esuberante diciottenne ha più coerenza, più sincerità e coraggio di uno Stefano Accorsi che corre da lei solo per scappare dalla vita che lui, e nessun altro oltre a lui, aveva scelto.
Soltanto Stefania Sandrelli interpreta un personaggio femminile in profonda crisi, ma forse non a caso appartiene alla generazione precedente, quasi ci sia stato una sorta di passaggio di testimone.



Personaggi credibili e percorsi plausibili, fatta eccezione per questa cesura così netta nella suddivisione delle paure secondo i sessi, che risulta una troppo comoda semplificazione delle cose.
Ma cos’è che spaventa tutti così tanto? Come degli eterni ragazzini, si rifiutano di fare il gran salto, oppure si pentono di averlo fatto nel momento e nel modo sbagliati.
Nessuno di loro riesce ad evitare di commettere gravi errori, non rendendosi conto che, forse, è proprio questo il segreto del diventare adulti: quello di sbagliare e di assumersene la responsabilità, prima di potersi dire cresciuti.
Ma è una crescita che lascia l’amaro in bocca: in tre partono per un viaggio senza meta ed uno di loro lascia addirittura una moglie con cui non va più d’accordo ed un figlio con il quale faticherà a ristabilire un rapporto.
Il quarto, invece, (Stefano Accorsi) si sposa ed il racconto della sua vita da uomo adulto, marito e padre consapevole, perdono di smalto e di convinzione, assomigliando troppo ad un lieto fine quasi posticcio.
Incoraggiante solo la scena finale, in cui finalmente è lei, Giovanna Mezzogiorno, che impegnata a fare footing per non perdere la linea dopo le sue due gravidanze, viene affiancata da un aitante sconosciuto che la segue e che, correndo accanto a lei, le sorride.

Le debolezze non finiscono, gli errori si ripetono, forse il problema non è diventare adulti.
Forse la vita, nella sua interezza, è fatta di questo continuo interrogarsi, di questo non trovare risposte.
C’è anche la possibilità che questa generazione non sia banalmente più immatura, ma che sia piuttosto maggiormente abituata a mettersi in discussione, a non accettare gli stereotipi di vita felice che la società le vorrebbe imporre. Ed è ovvio che, a porsi domande, potrebbe volerci del tempo, prima di riuscire a darsi delle risposte.