La responsabilità degli ISP, parte 2
Alcuni casi internazionali di riferimento (evoluzione della disciplina giurisprudenziale e normativa)(vai alla terza parte)
Stati Uniti d’America
Gli Stati Uniti, anche in virtù del loro vantaggio tecnologico, sono stati il primo paese in cui si sono verificate controversie e sentenze relative alla questione della responsabilità degli ISP, vediamone perciò alcune, tenendo presente che le figure di responsabilità possibili negli USA sono grossomodo assimilabili[1] alle tre presentate all’inizio di questa trattazione (pg.3).
Il diritto statunitense infatti riconosce tre tipi diversi di responsabilità: il primo tipo è quello della responsabilità attribuita al soggetto che ha direttamente compiuto la violazione (direct liability o liability for direct infringement). La responsabilità per fatti causati da terzi è invece distinta in due differenti tipologie: la responsabilità da concorso colposo (contributory liability ), che si ha quando il soggetto responsabile, pur non essendo il diretto esecutore della violazione, contribuisce in un qualche modo alla sua realizzazione e ne è a conoscenza (actual knowledge ) o comunque ha motivo di esserlo (reason to know ), e la responsabilità indiretta (vicarious liability ), che si verifica quando il soggetto responsabile ha il compito e la possibilità di controllare (the right and ability to supervise) l'attività svolta dal terzo che ha direttamente commesso la violazione e quando, a seguito di questa, tragga un vantaggio economico. In quest'ultimo caso nessun valore è dato al fatto che il responsabile indiretto conosca o no il comportamento illecito del terzo[2].
Rispetto al nostro ordinamento la direct liability è assimilabile alla previsione dell’articolo 2043 del Codice Civile, relativo alla responsabilità civile extracontrattuale. La contributory liability è a sua volta paragonabile all’art. 2055 del Codice Civile (Concorso di colpa) mentre la vicarious liability è assimilabile a quanto previsto all’art.2049 del Codice Civile (Responsabilità del padrone o committente).
Riguardo alla normativa applicabile, occorre anche ricordare che gli Stati Uniti partecipano alle varie convenzioni internazionali in materia di copyright, recepite mediante alcune leggi interne in materia. In particolare l'US Copyright Act , modificato nel 1976, riconosce come violazione del copyright il caso di trasmissione attraverso canali televisivi effettuata senza le necessarie autorizzazioni da parte del legittimo titolare dei diritti commerciali (U.S.C.A. 111 (c)). La stessa norma è oggi estesa al caso di comunicazioni via rete telematica. In particolare, l'US Copyright Act riconosce al titolare del copyright (U.S.C.A. 106):
il diritto di riprodurre l'opera protetta;
il diritto di distribuire copie dell'opera al pubblico;
il diritto di rendere pubblica l'opera protetta.
L'US Copyright Act definisce (17 U.S.C.A. 101) il concetto di "rendere pubblica" un'opera come l'atto di mostrare una copia di essa o direttamente, oppure attraverso un filmato, una fotografia, immagini televisive, od infine mediante altri "meccanismi o processi", comprese quindi le trasmissioni via rete telematica.
Il primo giudizio in materia di responsabilità di un ISP, Cubby v. Compuserve Inc. del 1991, riguardava l’invio, da parte di un utente, di messaggi diffamatori registrati poi sul server del provider Compuserve.
Nella sentenza si è avuta l’assoluzione del Provider che “viene equiparato ad una libreria il cui gestore non può essere considerato responsabile di ciò che è scritto all'interno dei libri esposti nello scaffale. Viene ipotizzata una responsabilità del provider solo ove si riesca a dimostrare che lo stesso provider si comporti da editore e non da distributore occupandosi di effettuare direttamente una revisione critica del materiale da pubblicare”[3].
Questo primo caso dunque tenderebbe a liberare da ogni responsabilità il Provider nel momento in cui esso si comporti da mero punto di distribuzione dei contenuti.
Nelle successive sentenze tuttavia, Playboy Enterprises, Inc. v. Frena del 1993 e Sega Entertainment, Ltd. v. Maphia del 1994, ai provider vennero attribuite delle responsabilità per violazioni del copyright, nel primo caso come diretto responsabile della diffusione del materiale, nel secondo invece “per aver messo a disposizione sul proprio server gli strumenti necessari per copiare i videogame protetti incoraggiando i suoi utenti a caricare e scaricare i videogiochi. Fu in particolare attribuita al provider una responsabilità di tipo concorsuale (contributory liability ) perché a conoscenza delle violazioni commesse dagli utenti del suo sistema”[4].
Nel caso successivo, Stratton Oakmont Inc vs. Prodigy (Supreme Court of New York, Nassau County, 1995) la società di consulenza finanziaria Stratton Oakmont aveva citato in giudizio il provider Prodigy affermando di essere stata denigrata da una serie di messaggi pubblici apparsi in un forum finanziario, in cui si asseriva che il presidente della Stratton era stato incriminato per vari reati[5]. La Prodigy si era difesa sostenendo che, nella sua qualità di distributore non poteva essere chiamata a rispondere di azioni intraprese da terzi, e ciò anche perché non aveva alcun controllo sulle notizie pubblicate, in conformità con la sentenza precedente (tra l’altro stiamo parlando di un sistema di Common Law).
Nell’indagine tuttavia era emerso che Prodigy operava un controllo, seppur parziale, sui contenuti della messaggistica pubblica attraverso agenti software che provvedevano ad eliminare tutti i messaggi osceni, per questo la Corte di New York ha stabilito che Prodigy o un altro Provider che compia operazioni di filtraggio “può essere citato in giudizio per rispondere dei danni causati da un atto diffamatorio come se si trattasse di una televisione, un giornale ovvero un editore”[6]. Nello stesso anno tuttavia, nella controversia Religious Technology Center v. Netcom On-Line Communication Services del 1995, No. C-95-20091 RMW (N.D. Cal. nov. 21, 1995), la Corte si è di nuovo mossa verso l’esclusione della responsabilità dell'internet provider.
Nel caso specifico alcune copie di materiale appartenente alla setta di Scientology erano state messe in rete, senza la necessaria autorizzazione, da parte di un utente di Netcom On-Line , Dennis Erlich. La comunicazione avvenne all'insaputa del provider che forniva l'accesso al proprio newsgroup senza aver predisposto alcun controllo sugli interventi dei vari utenti[7].
In questo caso la Corte si è mossa nella direzione di non considerare responsabile Netcom On-Line in quanto il provider non effettuava alcun controllo sul materiale e si comportava quindi da semplice vettore tecnologico neutrale.
Le due sentenze Stratton Oakmont Inc vs. Prodigy e Religious Technology Center v. Netcom On-Line Communication Services hanno dunque portato ad individuare una divisione fra “gli access provider, ossia coloro che forniscono semplicemente l'accesso ad un canale di comunicazione […] e i service provider , che oltre a fornire un accesso alla rete, eseguono varie forme di controllo o di monitoraggio sul materiale inviato sul loro server” [8].
La penalizzazione dei service provider, assimilati a editori, ha avuto come conseguenza, nel periodo immediatamente successivo, il fatto che “i consulenti legali statunitensi suggerirono rapidamente a tutti gli internet provider di evitare qualsiasi forma di controllo e di monitoraggio […] pubblicizzando chiaramente in rete la piena libertà e responsabilità attribuite dal provider ai propri utenti”[9].
Bisogna dire però che qualcosa è cambiato dal 1996, anno in cui è intervenuta una modifica del Telecommunications Act (che in tal modo è diventato il primo tentativo, su scala mondiale, di introdurre sanzioni nell'ambiente di Internet), “in base alla quale un ISP di un sistema interattivo non può essere considerato responsabile, al pari di un editore, delle informazioni fornite e comunicate da terzi”[10]. Nel Communication Decency Act inoltre si stabilisce il principio secondo cui nessun provider né utente può essere trattato, dal punto di vista della responsabilità, come un editore (titolo 47, U.S.C/230 C).
Gli effetti di questo provvedimento si sono avvertiti già nella sentenza sul caso Zeran v. American On Line del 1997, in cui si è esclusa la responsabilità del provider rispetto a dei messaggi diffamatori inviati da un utente sul server di AOL, anche se, aspetto importante, il provider era a conoscenza di tali contenuti ed anzi aveva avuto richiesta di eliminazione degli stessi da parte dell’interessato.
La situazione in alcuni Paesi europei
Il Regno Unito ha una normativa che prevede la responsabilità diretta dell’ISP che si qualifichi come content provider, ossia che non si comporti da mero vettore di diffusione di informazioni altrui. Inoltre il provider risulta responsabile dei contenuti diffusi da altri in caso effettui qualche operazione di monitoraggio regolare sul materiale che viene immesso sui suoi server[11].
Nel caso di violazione del copyright viene applicato l'UK Copyright, Designs and Patents Act , modificato nel 1988, che disciplina esplicitamente le comunicazioni televisive, ma viene esteso anche alle comunicazioni su rete telematica. Il primo tipo di responsabilità per violazione delle norme sul copyright è la cosiddetta primary liability che si ha in capo a colui che direttamente compie la violazione (una fattispecie analoga alla direct liability statunitense). Diverso è invece il caso del cosiddetto secondary infringement . In particolare, il par. 24 dell'UK Copyright, Designs and Patents Act stabilisce, anche se relativamente alle comunicazioni via fax, che colui che, senza l'autorizzazione da parte del titolare dei diritti, trasmette copia dell'opera protetta mediante un sistema di telecomunicazione è responsabile in via indiretta (secondary infringement ) purché conosca o sia tenuto a conoscere (knowing or having reason to believe) che la comunicazione comporta una violazione delle norme sul copyright. Tale norma può essere estesa al caso di responsabilità del provider che andrebbe quindi considerato responsabile sia se partecipa direttamente all'illecito (primary infringement ), sia se ne è a conoscenza o ha la possibilità di conoscere la violazione (secondary infringement ). “A parte quindi la responsabilità diretta del provider nell'illecito, la discriminante per un’eventuale responsabilità del provider per violazioni commesse da terzi è la loro conoscibilità (knowledge or reason to believe ). La norma va quindi interpretata nel senso di escludere comunque una responsabilità di tipo preventivo per fatti compiuti da terzi - il provider non può essere a conoscenza dell'illecito fintanto che questo non si manifesta - e di introdurre una responsabilità indiretta (secondary liability ) del provider salvo che questi non provi l’incolpevole mancata conoscenza dell'illecito”[12].
Rispetto a possibili violazioni del copyright citiamo un caso del novembre 1996, quando alcuni brani di due canzoni del complesso irlandese degli U2 furono "rubati" e pubblicati su un sito Web di un provider ungherese: la band riuscì a far chiudere il sito internet per violazione del copyright[13]. In realtà poi parte dei brani rubati ormai erano diffusi in Rete anche da altri soggetti, a testimonianza della difficoltà di controllare, con metodi esclusivamente repressivi, questo settore. A margine occorre ricordare che la disciplina britannica del copyright su Internet è una semplice estensione di quella prevista per le comunicazioni televisive, quindi non può considerarsi adeguata in tutte le situazioni[14].
Per quanto riguarda poi le comunicazioni offensive o diffamatorie, in Gran Bretagna chiunque partecipi alla loro diffusione è considerato responsabile al pari dell'autore. Per i meri fornitori però è ammessa la difesa della cosiddetta innocence dissemination : un fornitore non può essere considerato responsabile per il contenuto di ciò che vende o distribuisce se dimostra che, oltre a non aver partecipato alla creazione del materiale offensivo o diffamatorio (par. 1 Defamation Act 1996 ), non era a conoscenza del contenuto di tale materiale, né era in grado di conoscerlo avendo mantenuto un comportamento diligente (reasonable care ). Il par. 1 del Defamation Act stabilisce inoltre che il comportamento diligente (reasonable care ) del fornitore va considerato tenendo conto sia della eventuale partecipazione del soggetto nella creazione e pubblicazione del materiale offensivo, della natura delle circostanze che hanno dato origine alla pubblicazione, sia infine della precedente condotta o del carattere dell'autore del messaggio.
Il Defamation Act del 1996 esplicitamente si riferisce al responsabile di un sistema informatico al par. 1 in cui si afferma che una persona non può essere considerata né un autore, né un editore o un responsabile editoriale se viene coinvolto nella semplice trasmissione in formato elettronico del materiale offensivo o nella gestione del sistema elettronico attraverso il quale il materiale viene cercato, copiato, distribuito e reso accessibile agli utenti. Allo stesso modo un provider non può essere considerato autore o editore o comunque un responsabile editoriale, pur essendo il titolare del sistema di comunicazione attraverso il quale la comunicazione offensiva viene trasmessa, nel caso in cui questi non abbia alcun controllo sulle comunicazioni inviate al proprio server. In Gran Bretagna si riconosce quindi una responsabilità del provider per materiale offensivo prodotto da terzi nel solo caso in cui questi esegua una qualche forma di controllo o di monitoraggio sulle comunicazioni dei propri utenti, ovvero quando si comporta come un responsabile editoriale. Negli altri casi, sulla base del par. 1 del Defamation Act il provider può sempre ricorrere alla difesa della innocence dissemination che lo equipara ad un semplice fornitore di informazioni purché non sia a conoscenza del messaggio offensivo e abbia sempre mantenuto un comportamento diligente[15].
In Francia un primo caso di responsabilità extracontrattuale si è avuto nel febbraio del 1999, quando il provider Altern.org è stato condannato dalla Corte d’Appello di Parigi per la diffusione su uno dei suoi siti di foto ''ose''' di Estelle Hallyday, fotomodella moglie del figlio del rocker francese, Johnny Hallyday. Il caso risale al 1997, la fotomodella sporse denuncia e le foto non autorizzate furono ritirate ancor prima del processo.
Il provider ricorse comunque in appello e “il 10 febbraio il tribunale di seconda istanza, pur escludendo ''in generale'' una responsabilità del gestore del sito, ha condannato Altern.org a 120 milioni di vecchie lire di risarcimento. Gli specialisti affermano che l'ospitante dei siti e' responsabile dei contenuti delle pagine fin quando l'editore del sito in causa non e' identificato o non si manifesta con certezza”[16].
La Corte in effetti ha ritenuto che un provider che ospita anonimamente nel suo spazio persone che mettono in linea contenuti di varia natura “eccede evidentemente il ruolo tecnico di un semplice trasmettitore d’informazione e deve obbligatoriamente assumersi, nei confronti di terzi dei quali si sarebbero violati i diritti in tali circostanze, le conseguenze di un’attività che ha deliberatamente intrapreso”[17].
L’ISP dunque non ha obbligo di controllo sul contenuto dei siti ma è comunque responsabile, visto il suo consenso al mantenimento dell’anonimato da parte dei fornitori dei contenuti. Una sentenza del Tribunale di Nanterre (8 dicembre 1999) ha precisato questa responsabilità in un obbligo generale di prudenza e diligenza, ulteriormente esplicitato in informazione (ai creatori dei contenuti circa il rispetto dei diritti di terzi), vigilanza e azione (bloccare l’accesso al sito se viene segnalata una lesione). Questo provvedimento cerca di raggiungere un equilibrio tra “l’esigenza di assicurare l’individuazione di un responsabile e quella di non far gravare sui provider obblighi effettivamente inesigibili”[18].
Questo tipo di previsioni si è infine concretizzato nella legge 719/2000, che prevede per i Provider l’obbligo di informare gli utenti circa il rispetto dei diritti di terzi e a proposito della possibilità di restringere o bloccare l’accesso a determinati servizi in caso di comportamenti illegittimi.
In Olanda la giurisprudenza si è orientata a limitare la responsabilità dell’ISP alla sola partecipazione diretta alla fattispecie criminosa[19].
Le sentenze di riferimento sono due: la prima è del 1995, quando il Tribunale di Rotterdam si trovò a valutare la violazione delle norme sul copyright dovuta a scambio di software illegittimamente copiato tra gli utenti di un server. In questo caso “il provider fu riconosciuto responsabile in quanto aveva consapevolmente modificato il proprio server consentendo il caricamento e la riproduzione di file dal proprio sito internet . Il provider fu riconosciuto direttamente responsabile della violazione per negligenza in quanto avrebbe potuto e dovuto prevedere un comportamento illecito da parte dei suoi utenti”[20].
La seconda decisione è del Tribunale dell'Aia nel 1996, e riguarda invece la violazione del copyright di materiale appartenente alla Chiesa di Scientology attraverso il trasferimento di file su un newsgroup. La Corte sostenne che “il provider aveva semplicemente fornito agli utenti uno spazio dove poter discutere, il newsgroup appunto, e che nessun obbligo di controllo sul materiale in rete poteva essere riconosciuto in capo al provider per cui si escludeva una qualsiasi forma di responsabilità”[21]. Questa sentenza dunque ha stabilito che il provider non è responsabile di tutto il materiale presente sul server e che esso è obbligato ad intervenire in seguito ad una violazione ma soltanto se: “(1) questi sia a conoscenza del comportamento dell'utente, o se almeno questo comportamento sia verosimilmente conoscibile, e (2) che la violazione dell'utente sia inequivocabilmente chiara, ovvero che non vi sia alcun dubbio sulla illiceità del comportamento del terzo”[22]. Per questo un provider si può difendere sia sostenendo di non essere a conoscenza della situazione di illecito sia dicendo che, al momento del controllo, la violazione non era chiara ed esplicita.
Infine in materia di diffamazione, nel Codice Penale olandese esiste una norma (par. 53 e 54) che esclude la responsabilità dell'editore se questi non ha alcun controllo sul materiale pubblicato. Si può quindi ritenere che in Olanda in materia di diffamazione commessa su rete telematica la responsabilità del provider sia limitata alla sola partecipazione diretta alla fattispecie criminosa.
In Germania un caso di violazione delle norme sul copyright fu risolto da una corte locale nel 1996 con l'applicazione delle norme sul responsabile editoriale e con il riconoscimento della conseguente responsabilità penale del provider che avrebbe avuto l'obbligo di controllare la legittimità del materiale inviato dai propri utenti. Secondo la Corte tedesca questo controllo non solo era tecnicamente possibile, ma poteva essere preteso verso tutti i provider. In materia di diffamazione, l'orientamento della Corte federale tedesca era quello di limitare la responsabilità dell'editore, e quindi per analogia anche quella del provider , alle sole affermazioni "dichiaratamente" offensive. La Corte distrettuale di Stoccarda nel 1997 si trovò a dover discutere un caso di diffamazione commesso su un provider, sostenendo che sarebbe stato impossibile riconoscere in capo al responsabile del provider un obbligo di controllo di tutto il materiale inviato dai propri utenti. Una responsabilità quindi poteva soltanto ammettersi nel caso in cui il provider fosse a conoscenza o avesse potuto conoscere l'esistenza del materiale offensivo.
La legislazione tedesca per altro si è dotata molto presto, con la legge 22 luglio 1997 sui servizi di informazione e di comunicazione (Gesetz zur Regelung der Rahmenbedingungen für Informations- und Kommunikationsdienste o IuKDG), di una compiuta normativa espressamente concernente la responsabilità degli operatori su Internet[23].
Infatti l'art. 5 della suddetta legge dispone che:
1. I fornitori di servizi sono responsabili secondo le leggi generali dei propri materiali da essi resi disponibili.
2. I fornitori di servizi sono responsabili dei materiali altrui da essi resi disponibili solo se hanno conoscenza dei loro contenuti e sia tecnicamente possibile ed esigibile impedirne la disponibilità.
3. I fornitori di servizi non sono responsabili dei materiali altrui ai quali essi hanno fornito solo l'accesso. Un'automatica e di breve durata ritenzione di materiali altrui, conseguente alla richiesta di utenti, va intesa come fornitura di accesso.
4. Qualora, nel rispetto della riservatezza delle comunicazioni a distanza di cui al § 85 della legge sulle telecomunicazioni, il fornitore di servizi acquisisce conoscenza di contenuti illeciti e una chiusura sia tecnicamente possibile ed esigibile, rimangono salvi, secondo le leggi generali, gli obblighi di impedimento della disponibilità di tali materiali
La legge tedesca quindi pone una duplice distinzione: disponibilità vs. indisponibilità dei materiali e loro proprietà vs. altruità: il primo aspetto riguarda l’accesso ai materiali mentre il secondo, fa riferimento al titolare della loro proprietà, qualificando la “riconducibilità al provider (che può essere pure il titolare di una homepage), il quale si presenta come l'autore del materiale - anche in quanto se ne sia appropriato, non indicandone la paternità - ovvero, laddove eserciti un controllo preventivo di congruità e/o di liceità sui materiali da rendere accessibili, come responsabile della loro immissione in rete”. La IuKDG distingue inoltre due figure di provider : il fornitore di servizi, o service provider , e il fornitore di un accesso alla rete, o access provider . Il service provider è colui che, oltre a predisporre per i propri utenti un accesso alla rete, è un fornitore d’informazioni - direttamente o tramite terzi - sulla rete stessa. Si deve quindi intendere che qualsiasi provider che predisponga proprie pagine Web a cui gli utenti possono accedere debba essere considerato un service provider . Il service provider va considerato responsabile sia per il materiale illecito da lui creato o riprodotto e messo a disposizione per i propri utenti (par. 5 IuKDG,[24]), sia per il materiale illecito prodotto da altri e messo a disposizione sul suo server .La responsabilità per i materiali altrui risulta in ogni caso subordinata, anzitutto, alla conoscenza del contenuto illecito, inteso come dato effettivo e non semplicemente potenziale. Nei confronti del provider sussiste dunque “il dovere - esigibile e tecnicamente possibile - di sopprimere i materiali illegali contenuti nel server da lui gestito e dei quali egli in qualsiasi modo abbia acquisito conoscenza”[25].
Possiamo notare subito come questa normativa si trovi in accordo con i principi successivamente indicati dalla direttiva 2000/31/CE, di cui parleremo in seguito, che cerca di contemperare l’esigenza del controllo con la possibilità per i Provider di non essere gravati da oneri di controllo eccessivi, tali da bloccarne l’attività.
Questa normativa ha visto subito un’applicazione importante in un decreto d’archiviazione emesso il 13 febbraio 1998 dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione tedesca[26], relativamente ad un procedimento penale che vedeva coinvolti più provider come imputati d’agevolazione in istigazione e apologia di reati.
Nel provvedimento infatti si ribadisce il fatto che “la condotta del provider consistente nell'apertura d’accessi ad Internet per gli utenti non è antigiuridica in sé ma anzi, alla luce delle esigenze dell'attuale società dell'informazione e in particolare anche della scienza, risulta socialmente diffusa e auspicata” ma implica un onere di controllo per i provider, che devono essere considerati come destinatari di determinati “doveri per la sicurezza del traffico''. Questi doveri si concretizzano nel momento in cui diviene nota l’intenzione o il comportamento illecito, mentre non si può ipotizzare nessun controllo preventivo, che non risulterebbe né possibile né esigibile.
In sintesi la giurisprudenza europea sembra avviarsi verso una responsabilità del provider per violazione del copyright più estesa rispetto alla responsabilità per materiale offensivo o diffamatorio. Nel primo caso si ritiene che vi sia un obbligo in capo al provider di bloccare la violazione nel momento in cui ne venga a conoscenza, o, in alcuni casi, come in Gran Bretagna, nel momento in cui la violazione risulta essere conoscibile. Sia in Germania che in Olanda, ma non in Gran Bretagna ed in Francia, la responsabilità per diffamazione risulta invece limitata alla partecipazione diretta al fatto criminoso. Una ulteriore questione, affrontata soltanto dai giudici olandesi ma di fondamentale importanza, è il problema della riconoscibilità dell'illiceità di un comportamento. Al riguardo il Tribunale dell'Aia ha considerato esistente un obbligo d’intervento solo in presenza di una violazione inequivocabilmente chiara. Infine, in Germania, in Gran Bretagna e Olanda si esclude comunque una qualsiasi responsabilità in capo al "mero fornitore" d’accesso alla rete telematica.
GIANLUIGI ZARANTONELLOLa terza parte il giorno 11 agosto...(vai alla terza parte)
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[1] Cfr. Ruben Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, Padova 2002, pg.322
[2] Cfr.Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[3] Renzo Ristuccia e Luca Tufarelli, La natura giuridica di Internet e le responsabilità del provider, www.interlex.it, 19.06.97
[4] Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[5] Cfr. Renzo Ristuccia e Luca Tufarelli, op. cit., www.interlex.it 19.06.97 e Ruben Razzante, op. cit., Cedam, Padova 2002, pg.323
[6] Renzo Ristuccia e Luca Tufarelli, op. cit., www.interlex.it, 19.06.97
[7] Cfr. Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[8] Carlo Gattei, op. cit., www.interlex.it, 23.11.98
[9] Carlo Gattei, op. cit., www.interlex.it, 23.11.98
[10] Ruben Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, Padova 2002, pg.323
[11] Cfr.Ruben Razzante, op. cit., pg.324
[12] Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[13] Cfr. Carlo Gattei, op. cit., www.interlex.it, 23.11.98
[14] Cfr.Ruben Razzante, op. cit., pg.324
[15] Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[16] ANSA 24-FEB-99 18:09, Riportata in www.interlex.it, 01.03.98
[17] L.Bugiolacchi, Principi e questioni aperte in materia di responsabilità extracontrattuale dell’Internet Provider. Una sintesi di diritto comparato, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2000, pp.850
[18] L.Bugiolacchi, op. cit., pp.850
38 Ruben Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, Padova 2002, pg.323
[20] Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[21] Carlo Gattei, op. cit., www.interlex.it, 23.11.98
[22] Carlo Gattei, op. cit., www.interlex.it, 23.11.98
[23] Sergio Seminara, La responsabilità penale degli operatori su internet, www.jei.it
[24] Carlo Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell'Internet provider, www.interlex.it, 23.11.98
[25] Sergio Seminara, op. cit., www.jei.it
[26] Testo reperibile all’URL http://www.jura.uni-sb.de/jurpc/rechtspr/19980017.htm