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Sicurezza sul lavoro: urge azione per eliminare rischi.

21/06/2008 10619 lettori
4 minuti

«Un piano straordinario, condiviso tra Stato, Regioni, Sindacati e Imprese. Un piano teso a prevenire gli infortuni sul lavoro di origine comportamentale». L'approccio per arginare il fenomeno delle morti bianche deve procedere «per obiettivi, come diceva Marco Biagi, non solo per regole» poiché «le regole servono e vanno sostenute dalle sanzioni ma ulteriori adempimenti e sanzioni possono anche produrre l'effetto opposto». La proposta contenuta nel Piano presentato il 12 giugno alla platea dell'assemblea di Confartigianato, «investe invece in prevenzione, formazione e informazione», considerate dal titolare del Welfare le leve più efficaci per favorire comportamenti corretti nei luoghi di lavoro.

Il comportamento è il modo di agire e reagire di un oggetto o un organismo messo in relazione con altri oggetti, organismi, o semplicemente con l’ambiente. Il comportamento può essere conscio o inconscio e volontario o involontario. Il comportamento umano, cosi come quello di altri organismi, può essere comune, insolito, accettabile o inaccettabile. Gli uomini valutano l’accettabilità di un determinato comportamento usando norme sociali e regolando i comportamenti tramite mezzi di controllo sociale.

Comportamento corretto ed errore involontario. 
Scartando a priori l'eventualità che una trasgressione od omissione possa discendere da un atto volontario e cosciente, ciò che interessa in questa sede è la distinzione tra comportamento corretto ed errore involontario. La distinzione è chiara ma la differenza non è altrettanto percettibile perché l'errore involontario non sempre dà luogo a conseguenze negative, mentre, al contrario, in certe particolari condizioni, anche un intervento umano perfettamente a norma può causare eventi imprevedibili per accidentali interferenze con impreviste incompatibilità ambientali o tecnologiche. Un’adeguata preparazione del fattore umano deve avere anche lo scopo di rendere accettabili norme di comportamento presentate per quello che sono e cioè il prodotto di una conoscenza approfondita del rischio e non vengano sopportata invece come un obbligo imposto dall’organizzazione lavorativa ed avvertite come “estranee” o comunque “esterne” all’interesse dell’operatore.

La comunicazione.  
Secondoil filosofo americano Pearce (1989)[1] la comunicazione è il processo attraverso il quale le persone creano e gestiscono la realtà sociale coordinandosi tra loro: attraverso la comunicazione gli individui costruiscono i significati e gestiscono i significati creati attraverso questo processo. La comunicazione diventa così il processo primario attraverso il quale si costruisce la realtà sociale e questo processo si articola in una sequenza continua di gestione, interpretazione e costruzione dei significati da parte dei partners. Ogni azione viene interpretata sulla base di regole costruttive che divengono le condizioni antecedenti per una nuova azione. In questo modo la comunicazione viene “imbrigliata” e incanalata da processi che prefigurano la comunicazione stessa ma allo stesso tempo viene sottoposta a forze che operano per una modificazione dei significati. Ci troviamo così di fronte ad un processo dinamico che si articola attorno ad una lotta per il cambiamento e per il mantenimento dei significati. In questo processo continuo di conservazione e mutamento diventano importanti la coerenza ed il coordinamento che vengono prodotti nella comunicazione.

Perché lavoriamo? 
D’acchito viene da dire che lavoriamo per adempiere il principio fondamentale della nostra costituzione: art.1 l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Compiuto l’adempimento, da cittadino italiano essere in predicato per poter godere di pari dignità sociale: art.3 della costituzione medesima. Il lavoro è un’attività produttiva esplicata con l’esercizio di un mestiere, una professione ed ha come scopo la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi.

Qual è il significato del lavoro? 
Lavorare significa occupare il tempo nel fare qualcosa, traendone un vantaggio economico. Infatti, con il termine occupato si definisce lo status di lavoratore, e con il suo opposto, disoccupato, si definisce lo status – in verità poco voluto – di chi non ha lavoro. L’etimologia del termine lavoro riporta al latino labor con significato di fatica. Sono noti i detti della letteratura classica durar fatica e operar faticando. Ancora oggi in alcuni dialetti si utilizzano i termini faticare, andare a faticare, per intendere lavorare e andare a lavorare. Altro termine dialettale sinonimo è travaglio.

Ci si definisce con il proprio lavoro? 
A questo punto vale la pena retrocedere nella storia della filosofia, fino a quando la professione è diventata una componente essenziale della personalità. In proposito riprendiamo Gebaur[2]  che cosi risponde alla stessa domanda: «…se si segue per esempio Max Weber, ci si imbatte nell’etica protestante , questa concezione della professione basata sull’etica, inizialmente è stata il motivo di vita basilare (soprattutto per alcune sette protestanti), per poi diventare un aspetto tipico del mondo contemporaneo - ascetico, razionale, sistematico - e sempre compreso nel cosiddetto involucro del mestiere. Proprio per via di questa concezione, nel corso del XVII e del XVIII secolo la professione si è trasformata in un aspetto importante. Già allora, Weber è partito dal concetto che ciò potesse trasformarsi in un modello basilare per il mondo moderno – e ha sicuramente avuto ragione[3]. A partire dal XIX secolo, il significato della professione è indiscusso, quantomeno in paesi come la Germania. La seconda radice importante per i tempi moderni è stata probabilmente l’interpretazione del lavoro da parte dell’idealismo tedesco: comprensibile, se si considera che il lavoro non avesse un’accezione particolarmente positiva prima di esso e che per definirlo, si adottavano solitamente termini come „servitù“, „obbligo“ o „fatica“». Allora non lavoravano ancora tutte le fasce della società e il lavoro non era considerato particolarmente bene. E ancora Gebaur«Nella filosofia, esso assume un valore particolare con Hegel, che propone una rappresentazione estremamente positiva del lavoro (soprattutto quello non manuale). Il concetto di lavoro fu utilizzato per descrivere la produzione dell’essere umano sulla base della sua spiritualità. Il primo passo fondamentale è stato l’acquisizione dell’autoconsapevolezza attraverso il lavoro: questa, per esempio, è anche la considerazione del filosofo tedesco Fichte. Ci si riferisce concretamente alla quotidianità di esso e all’affermazione contro le difficoltà del mondo e viene subito concepito empaticamente come „autocompimento“ dell’essere umano. E’ interessante rilevare che il lavoro a quel punto guadagna tutte le caratteristiche precedentemente attribuite da Schiller al gioco[4]».

Come deve essere organizzato il lavoro?
Le Relazioni Umane vennero definite «il taylorismo dal volto umano». Malgrado certe idee fossero state largamente divulgate, la loro penetrazione fu appena superficiale. Era necessario un nuovo tipo di capo, qualcuno che avesse alla base delle proprie motivazioni personali, più che il piacere di comandare gli altri individui, il desiderio di favorire le produttività di gruppo. Sfortunatamente il fatto di avere potere sugli altri è spesso un'esperienza troppo affascinante per chi la possiede: solo un individuo con notevole autocontrollo può cedere una parte di potere deliberatamente. Se da un lato le teorie tayloriste avevano pressoché ignorato il ruolo del fattore umano nell'azienda, dall'altro la scuola delle relazioni umane l'aveva eccessivamente enfatizzato, facendone l'elemento prevalente dell'organizzazione e trascurando altri elementi essenziali. Sotto questo profilo, la teoria sistemica si propone come innovativa in quanto inserisce il fattore umano tra gli altri elementi che determinano le caratteristiche e il funzionamento dell'organizzazione.

Conclusione: determinare in anticipo i fattori capaci di influenzare il comportamento degli individui in situazioni complesse rappresenta una sfida estremamente impegnativa, in quanto i criteri di scelta di cui le persone si avvalgono per decidere quale adottare tra le varie alternative ipotizzabili (o per eseguire determinati automatismi) consentono l’esame di un ventaglio di possibilità straordinariamente più ampio di quello di qualsiasi macchinario, per quanto complesso. Pertanto non ci resta che concludere auspicando interventi che possano implementare la cultura della prevenzione, fornire al management strumenti di lettura psico sociale, valutare il “fattore umano” in modo strutturato e preventivo, effettuare interventi rivolti a singoli gruppi e mirati alla modificazione di variabili specifiche, ma soprattutto di rivoluzionare il concetto di “prevenzione”: da “onere” ad “onore”; da necessità indispensabile ad elemento di conoscenza e di ottimizzazione del funzionamento dell’organizzazione. L’incidente occorso nell’attività lavorativa cessa di essere un evento interpretabile solo in base a fattori tecnico organizzativi o da attribuire al caso, assumendo significato in quanto espressione di elementi psico-sociali identificabili e quindi , modificabili[5] .


[1] Communication and Human Condition (tr.it. 1998, Comunicazione e condizione umana, FrancoAngeli, Milano.)
 
[2]Dal 1978, Gunter Gebauer è professore di filosofia e sociologia dello sport presso la Freie Universität di Berlino.
[3] Questa concezione calvinista del valore del lavoro per il lavoro stesso trova riscontro per Max Weber in alcune caratteristiche che differenziano le due religioni: mentre il cattolico celebra la messa o prega per ottenere qualcosa, il protestante ringrazia Dio per quello che ha già ottenuto, la sua preghiera onora Dio, ha un valore in se stessa non serve per ottenere qualcosa. Mentre le chiese cattoliche manifestano nell’oro e nella ricchezza dei loro edifici e delle cerimonie la gloria di Dio, al contrario quelle calviniste hanno il senso di sé in se stesse, sono severi luoghi di culto costruiti soltanto per pregare. Infine come la fede nel protestantesimo vale per se stessa, è del tutto separata dalle opere così nello spirito capitalistico il lavoro e la produzione sono valori morali in sé separati da ogni risultato esterno: il profitto va reinvestito perché il beruf ha un valore in se stesso e non per i godimenti che possa procurare.
[4](Lettere sull'educazione estetica dell'uomo, 1795)
[5] Il fattore umano come elemento cardine del Sistema di Prevenzione e Protezione di Marco Picchi e Anna Maria Erba
 
Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.