"Il seme della discordia" rivendica la 65° mostra del cinema di Venezia
E' tornato il cinema di Corsicato, architetto virtuale di quel cinema creato da Almodòvar, dedito alla rappresentazione visionaria di quella struttura onirica di anime e corpi, rinfacciati a una mediterraneità che sembra voglia solo rivendicare lo spirito libero di una carnalità che è inscindibile con la natura dell'uomo; concetto già elaboratamente espresso nel precedente I Buchi neri, regista e pigmalione di una Iaia Forte che riunisce un universo femminile in continuo contrasto tra desiderio e remissività, dove la bellezza gioca con chi può solo inseguire un ideale di perfezione, rimanendo forse un pò delusi dalla realtà di una condizione facilmente scomoda ma pur sempre rigeneratrice di ruvidi e atavici incentivi alla vita, nelle stesse forme femminili come diritto e privilegio di un bene unico e non solo fatto di sesso.
Il seme della discordia è il completamento di una evoluzione di stile dello stesso Corsicato, ritoccando un cast rafforzato da camei (l'androloga interpretata dalla Guerritore e la stessa coprotagonista Isabella Ferrari) che vogliono pretendere un'attenzione degna di un cinema italiano conosciuto per quella transizione che ha dato lustro e celebrità ai cineasti e attori che hanno definito il meglio di una cultura artistica definita negli anni sessanta, da Fellini, DeSica, Antonioni e gli stessi Mastroianni e Gassman, solo per citarne alcuni.
Un film che nasce e cresce regalando leggerezza e impegno, senza mai distaccarsi da quel soggetto che vuole consacrare la bellezza intrisa di forza e carattere, impersonata dalla stessa Caterina Murino, immersa in quel ruolo di moglie e donna-complice, dove l'autorità vuole essere cullata dalle braccia della tradizione, ricercando conforto e sicurezza nelle radici che ci appartengono (la madre impersonata da Valeria Fabrizi), senza mai voltarsi indietro per non rimanere delusi da una realtà che può riservare delusioni e imprevisti, vedi la stessa scoperta della sterilità del marito, un Alessandro Gassman solido e passivo, rinchiuso nel proprio ego maschile che facilmente si rimette alla scoperta della propria incapacità di essere padre, senza però annullare una maschilità fatta di abulica ostinazione a una vita che deve essere ritoccata o forse aiutata da chi può dispensare consigli migliori.
La maternità viene riveduta in quel gioco di sceneggiatura che deve essere la chiave umoristica che non vuole mai concedersi troppe divagazioni allo stesso clichè proposto, dove il dramma avvolge la stessa durezza di una commedia che si immerge e riaffiora, negli stessi volti degli attori che sono consapevoli di dare consistenza a caratteri non troppo stereotipati, ma che sanno indossare con naturalezza la cruda realtà della vita.
La religione diventa una porta aperta che facilmente viene richiusa dallo stesso regista, dove lo stupro subito non viene macchiato da quella violenza che forse vuole essere la conciliazione con un dogma facilmente discutibile, ma non per questo allontanato dai valori necessari alla vita.
Fotografia e scenografie (Ennio Guranieri e Antonio Farina) si alternano più concrete che mai, quasi a dare sostegno alla forza di una donna comune e unica, protagonista consapevole di quella bellezza che stravolge i canoni stessi del regista, coreografo più che mai di un film che non impone, ma offre un momento di autentica devozione alla commedia fine a se stessa, dove Martina Stella e Michele Venitucci sanno rappresentare la subordinata condizione di chi vuole accostarsi a chi sa essere realmente protagonista di una vita appagante, in quella loro ossessione che li accomuna ma che li distingue nelle proprie piccole banalità.
Insomma, Pappi Corsicato ha regalato un film per la 65° mostra del cinema di Venezia, conciliando critica e pubblico, restii a demolire un film che sa porsi all'attenzione senza mai pretendere un eccesso di consensi che nessuno vuole negargli, tra eterei gigli che sanno evocare piaceri densi di quella sensualità che continua a essere "fieramente" donna, come in quel prologo fatto di corpi femminili immersi nella propria condizione frenetica di femmina in carriera... e così sia!