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Archistar - La parola del mese di Febbraio

08/03/2009 7989 lettori
5 minuti

Per tante città che erigono muri e barriere fra i diversi quartieri, impedendo ai loro abitanti d’incontrarsi e vietando l’accesso agli estranei, la rappresentazione sulla piazza mediatica di fiction mascherate da spaccati di vita vissuta diventa spettacolare mostra di quotidiane attività casalinghe nelle case-acquario di New York, lanciate da Richard Meier e moltiplicate dal nutrito seguito dei suoi imitatori: Jeremy Fletcher e Alejandra Lillo sugli altri, ideatori del più grande grattacielo residenziale in vetro (W Downtown) che dal 2009 svetterà nella Grande Mela.
È l’era delle archistar. Proprio come Meier, Fletcher e Lillo, che piacerebbero agli ideatori del Grande Fratello. Alla “vetrinizzazione” (Codeluppi) della società dei consumi, che per effetto della tempesta di griffes su capi d’abbigliamento e accessori (non importa se autentiche o contraffatte) sembra aver trasformato i loro veicoli umani in vetrine ambulanti – quelli non umani, auto private comprese, lo sono già –, fanno corrispondere la “vetrificazione” delle abitazioni private, nella triste illusione che una parete trasparente possa alleviare il peso della solitudine e aiutare a fingere di relazionarsi con un ambiente circostante ostile e traboccante di pericoli. L’ostensione liturgica di sé, e l’invito a spiare le azioni consumate fra quelle quattro mura un tempo gelosamente difese, innescano una nuova fenomenologia del sacro: dare in pasto al mondo parte della vita giornaliera che si trascorre in casa finisce per trasformare luoghi e momenti di deiezioni e copule – per ora sottratti all’occhio altrui – in un inviolabile tempio della propria intimità residua.
Resta, nondimeno, la “visione” di quei corpi impuniti, volontariamente sottratti alla protezione delle pareti domestiche. L’ultima frontiera dei reality?

E ora seleziona la voce che Massimo Arcangeli, direttore de LId'O, vorresti approfondisse per il prossimo mese: