2 - La figura femminile nella pubblicità
Gender e pubblicità: le teorie di Goffman
Il primo ad analizzare il tipo di rapporto che si crea in pubblicità tra la figura dell’uomo e quella della donna, fu Erwing Goffman nel volume scritto nel 1976 intitolato “Gender Advertisements”. Al suo interno sono raccolti 508 annunci pubblicitari risalenti agli anni ’70. Goffman, analizzando questo campione, estrae cinque temi fondamentali.
La dimensione relativa. Quando due persone sono rappresentate in una qualsiasi immagine, la più alta delle due raffigura quella con maggiore autorità: le dimensioni relative delle due figure sono un indicatore di potere. In pubblicità, solitamente, gli uomini hanno dimensioni maggiori delle donne. Quando invece è la donna ad essere più alta dell’uomo è perché si vogliono rappresentare differenze di status sociale (P. Corrigan, 1999, p. 124).
Il tocco femminile. Goffman notava che le donne sono sempre rappresentate mentre cullano o accarezzano un oggetto, mai mentre lo afferrano o lo tengono saldamente in mano. Infatti mentre l’uomo regge in modo fermo un bicchiere d’alcool la donna si limita ad accarezzare la mano del compagno e/o l’oggetto. E’ come se le donne volessero trattare le cose come oggetti preziosi o come beni da ammirarsi dal punto di vista estetico (P. Corrigan, 1999, p. 124-125).
Ordinamento funzionale. In quasi tutte le illustrazioni raccolte da Goffman il ruolo del comando viene assunto dalla figura maschile: mentre un uomo mette a segno le vele, la donna, in bikini, si mette in mostra.
Ritualizzazione della subordinazione. Anche per quanto riguarda il posizionamento nello spazio della foto, Goffman notava che l’esibizione di inferiorità viene espressa dalla posizione sdraiata della persona. Donne o bambini vengono spesso raffigurati stesi in terra o su di un letto in quanto, in questa posizione, risulta molto più difficile difendersi da un eventuale attacco fisico e quindi è l’atteggiamento migliore per rappresentare sottomissione e arrendevolezza. Anche il ginocchio piegato in segno di timidezza o lo sguardo basso (Goffman,1976, p. 45) indicano una condizione di minor potere ma può anche essere interpretato come segno di impreparazione o di disattenzione nei confronti della situazione vigente (P. Corrigan, 1999, p. 125-126).
La famiglia. Solitamente i figli maschi e il padre vengono rappresentati come diversi tra loro e spesso in “conflitto” a differenza di ciò che avviene tra le figlie e la madre: queste raffigurano due momenti diversi della vita di una stessa donna. Ragazze e madri sono generalmente impegnate nella stessa attività, posizione e indossano abiti simili, condizione che non si manifesta tra padri e figli, i quali intraprendono attività diverse. Goffman notava anche che, nelle immagini di questo tipo, il padre occupa una posizione un po’ staccata dagli altri membri della famiglia, come se volesse tenere d’occhio l’ambiente circostante (P. Corrigan, 1999, p. 125-126). Il maschio sembra quindi voler controllare i suoi parenti e mantenere una posizione d’autorità e di sorveglianza nei confronti della famiglia. Il concetto di “pater familias” si perpetua nelle società fino ad arrivare ai giorni nostri per venire assorbito dalla pubblicità
L’analisi di Goffman porta quindi a descrivere la donna come “elemento succube nella comunicazione pubblicitaria”, sempre alla mercè delle decisioni di un uomo. Infatti la figura femminile deve fare i conti sia con il pubblicitario, che dà forma allo spot, sia con l’attore che la affianca nella rappresentazione. Questa interpretazione aveva sollevato le critiche di parte femminista. I pubblicitari dell’epoca seppero sapientemente incorporare le tematiche del femminismo sottraendo così la pubblicità a coloro che muovevano le accuse. Si venne a creare quello che Goldman definisce “femminismo delle merci”: un gioco di parole che ci ricorda come “[…] il discorso sulle donne viene trasportato e ri-diretto da oggetti identificanti.[…] Questi oggetti–segno sono utilizzati come simboli o come equivalenti degli obiettivi femministi d’indipendenza e di successo professionale. E’possibile esprimere la propria personalità e i propri interessi ed acquisire risorse attraverso le proprie scelte di consumo” (Golman, 1992, p. 131 citato da P. Corrigan, 1999, p. 127-128).
Grazie a questo tipo di nuova visione della donna e di prudente attenzione verso di lei e verso le sue necessità, si apre l’epoca della pubblicità contemporanea che la vede molto spesso protagonista e non più semplice comparsa all’interno della pubblicità e che si rivela attenta alle varie tipologie di esigenze.
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[1] Genere, inteso come maschio e femmina.