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DiCinema: la nuova Hollywood

30/04/2009 7775 lettori
5 minuti

Negli anni sessanta, il cinema americano ha saputo convogliare gli elementi fondamentali capaci di fondere storicità, dramma e azione cari a una società capace di credere ancora in miti elaborati da attori in grado di sostenere ruoli impregnati di misticismo, fede, guerra e sentimento, rivalutando caratteri e registi immersi in quello stoicismo che ha generato entusiasmi d'importazione, cari alla cinematografia italiana, dove divinità e leggende sapevano spessorare una produzione non sempre all'altezza di giudizi migliori.

Allo stesso tempo, la tradizione che richiedeva il dramma accostato alla contemporaneità di temi più attuali andava a rafforzare quella comunione di stile che richiedeva storie tessute da trame dove sentimento e drammaticità si rivolgevano a un pubblico e una critica in grado di conciliare accordi e giudizi propensi a perseverare in saghe epiche o frammenti di commedie rosa che hanno fatto unico il patinato cinema hollywoodiano. Innalzando Cecil B. De Mille come re Mida assoluto di un cliché caro al cinema formato Kolossal americano, passando dai suoi autentici capolavori come I Dieci Comandamenti, Ben Hur e lo stesso John Huston con La Bibbia (primo esempio di una ricercata raffinatezza di stile che ha unito l'incedere narrativo con l'onirica visione di un regista che ha saputo rispettare il culto religioso nell'impatto visivo), i singolari eventi che hanno riunito la tradizione del grande cinema si possono rispecchiare negli stessi attori camaleonti, veri e propri caratteri scolpiti nella recitazione, in Kirk Douglas nel suo Spartacus, tra divagazioni in film quali Ulisse e 20.000 leghe sotto i mari e la stessa interpretazione capolavoro (forse l'unica meritevole), in Vincent Van Gogh nel Brama di vivere, diretto da Vincente Minnelli. Allo stesso modo Richard Burton, coprotagonista autorevole di una Liz Taylor all'apice della carriera, l'unica attrice dagli occhi viola nel suo indimenticabile Cleopatra, di Mankiewicz, passando poi per l'antecedente La Tunica diretto da Henry Koster o, ancora, La bisbetica domata, sempre in coppia con l'unica donna che abbia potuto amare, per poter concludere la propria carriera nel celebrato Orwell 1984 di Michael Radford.

Attori, quindi, che hanno saputo identificare quella virilità tormentata, forse più cara al mito incarnato da Marlon Brando e trasportato, oggi, nelle attendibili doti di un autentico attore in Russell Crowe, dai natali che lo accostano a quella inclinata ribellione riversata nel sangue Maori ereditato dalla bisnonna materna, che lo ha plasmato in quella radice Neozelandese, patria che lo ha visto nascere a Strathmore Park, il 7 aprile 1964. Una carriera cominciata giovanissimo, affascinato dai set cinematografici che lo hanno inizialmente battezzato in brevi comparsate, cominciando dalla serie televisiva australiana Spyforce per proseguire, a dodici anni, in un episodio di Young doctors.

La vera carriera cinematografica di Crowe inizia con Giuramento di sangue, per proseguire nello Skinheads, diretto da Geoffrey Wright; uno spaccato di cronaca dei primi anni novanta, in cui violenza e moralità sociale continuano a delineare il mito hollywoodiano degli anni cinquanta. Una drammaticità incline poi alla commedia drammatica, passando per il più veritiero Master & Commander di Peter Weir, garante di alta classe per onorare i fasti del Bounty interpretato da Brando. Non mancano le incursioni nella commedia sentimentale, trovando l'apice in Un'ottima annata, magistralmente diretto da Ridley Scott e affiancato dalla bellissima Marion Cotillard, per poi riaffiorare nel dramma biografico in puro old style nel A beautiful mind di Ron Howard, nelle vesti di un brillante docente (il Nobel John Nash) contrastato tra amori e schizofrenia, che ha valso l'oscar come miglior attrice non protagonista a Jennifer Connelly.

La consacrazione di Russell avviene nel 2000, con il Kolossal Il Gladiatore, diretto sempre da Ridley Scott e portatore del primo Oscar all'attore neozelandese. Una felice incursione in un genere dimenticato dalle nuove generazioni di cineasti e riscoperto proprio nel gusto di un crudo realismo rafforzato dai prodigi della computer grafica. La carriera di Crowe continua poi con un vero e proprio "gangster movie" in American gangster, affiancato da una spalla di successo come Denzel Washington (altra regia di Scott) e caro a uno spionaggio fedele al culto della malavita organizzata. Stesso giro di boa per il remake Quel treno per Yuma di James Mangold e il felice accostamento riversato tra i guantoni da Boxer nel Cinderella Man di Ron Howard.

Insomma, Russell Crowe è un autentico primo attore della nuova generazione hollywoodiana, consapevole di aver ridato valore a quel bisogno di cinema che deve soddisfare critica e pubblico, specchio di una crescita di forma e contenuti che devono rimandare a un cinema ricercato e all'altezza dei propositi, con glorie rispolverate e cineasti che segnano il tempo con la voglia di porre la loro firma tra i grandi di tutti i tempi.

Di seguito, la filmografia completa dell'attore:

Giuramento di sangue (Prisoners of the Sun), regia di Stephen Wallace (1990)

The Crossing, regia di George Ogilvie (1990)

Istantanee (Proof), regia di Jocelyn Moorhouse (1991)

Spotswood, regia di Mark Joffe) (1992)

Skinheads (Romper Stomper), regia di Geoffrey Wright (1992)

Tra l'incudine e il martello (Hammers Over the Anvil), regia di Ann Turner (1993)

For the Moment , regia di Aaron Kim Johnston (1993)

Love in Limbo, regia di David Elfick (1993)

The Silver Brumby, regia di John Tatouils (1993)

The Sum of Us, regia di Geoff Burton e Kevin Dowling (1994)

Pronti a morire (The Quick and the Dead), regia di Sam Raimi (1995)

Fino alla fine (No Way Back), regia di Frank A. Cappello (1995)

Virtuality (Virtuosity), regia di Brett Leonard (1995)

Miss Magic (Rough Magic), regia di Clare Peploe (1995)

L.A Confidential (L.A. Confidential), regia di Curtis Hanson (1997)

Heaven's Burning, regia di Craig Lahiff (1997)

Braking Up - Lasciarsi (Breaking Up), regia di Robert Greenwald (1997)

Mistery, Alaska (Mystery, Alaska), regia di Jay Roach (1999)

Insider - Dietro la verità (The Insider), regia di Michael Mann (1999)

Il Gladiatore (Gladiator), regia di Ridley Scott (2000)

Rapimento e riscatto (Proof of Life), regia di Taylor Hackford (2000)

A Beautiful Mind (A Beautiful Mind), regia di Ron Howard (2001)

Master and Commanders - Sfida ai confini del mare (Master and Commander: The Far Side of the World), regia di Peter Weir (2003)

Cinderella Man (Cinderella Man), regia di Ron Howard (2005)

Un' ottima annata (A Good Year), regia di Ridley Scott (2006)

Quel treno per Yuma (3:10 to Yuma), regia di James Mangold (2007)

American Gangster (American Gangster), regia di Ridley Scott (2007)

Nessuna verità, (Body of lies) regia di Ridley Scott (2008)

State of Play, regia di Kevin MacDonald (2008)

Nottingham (Nottingham), regia di Ridley Scott (2009)

Paolo Arfelli
Paolo Arfelli

Nato a Ravenna; ho avuto il piacere di aver frequentato un corso di grafica pubblicitaria tenuto da Umberto Giovannini, presso la T. Minardi di Faenza, dopo il quale intendo affrontare un discorso editoriale che possa completare il cammino professionale che voglio realizzare.

E' da qualche anno che ho il piacere di legare la mia capacità a Comunitàzione, in una collaborazione di testi e argomenti che valorizzano la serietà riposta da Luca Oliverio e il contesto in cui questo portale opera, tra pubblicità, marketing, informazione e tanto altro.

Ho in preparazione alcuni cortometraggi e la realizzazione di un magazine (DC DIRECTOR'S CUT) all'interno di Alphabet&Type®.