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Cyberbullismo è la parola del mese di aprile

12/05/2009 7948 lettori
5 minuti
Il cyberbullismo è solo l’ennesimo fenomeno di emergenza di un disagio giovanile che parte da lontano, che affonda le sue radici nella violenza sempre più sfacciatamente esibita dai media. A causa della televisione un quattordicenne adolescente americano, come ha messo in luce un’indagine compiuta già alla fine degli anni Ottanta dalla newyorkese Columbia University, ha già potuto assistere mediamente a 8.000 omicidi e a 100.000 atti di violenza; e quando quell’adolescente ha raggiunto i 18 anni gli omicidi visti in tv sono diventati 40.000 e gli atti di violenza 200.000. Troppa, pericolosa e per tutti i gusti, la violenza si configura ormai non soltanto come violenza mostrata in televisione ma anche come violenza inferta dalla televisione.
Sul banco degli accusati, tempo fa, si è seduto il wrestling, tipico esempio di violenza spettacolarizzata che allora suscitò le reazioni della Commissione bicamerale per l’infanzia. E giovani e giovanissimi, intanto, emulano: non solo la violenza del wrestling ma anche quella diffusa da YouTube e mostrata nei tanti film e telefilm trasmessi dal piccolo schermo. Mi viene in mente un esemplare episodio accaduto a Mario Pirani, che lo ha raccontato in un articolo apparso su «Repubblica» (14 maggio 2005) e incentrato sui numerosi fenomeni di bullismo giovanile rimbalzati nelle cronache tra aprile e maggio di quell’anno. Corresponsabile degli episodi di violenza fisica e verbale di cui, sempre più spesso, sono protagonisti proprio i giovani sarebbe, secondo Pirani, il nostro attuale sistema educativo, il cui permissivismo avrebbe ormai abbondantemente superato il livello di guardia. La soluzione proposta da Pirani? Un «ritorno all’ordine che aiuti i ragazzi di oggi e di domani ad affrontare con consapevolezza responsabile le difficoltà della vita adulta»; non uno «slogan reazionario», dunque, «ma un appello alla più elementare virtù civica» (ibid.).
Ormai comincia però a patire gli stessi problemi della scuola primaria e secondaria anche l’università, che si vorrebbe trasformata, nelle intenzioni del legislatore, in una naturale, friendly, non traumatica prosecuzione degli studi superiori. Non sarà il caso di rifletterci, magari cominciando da qui?
 
    Massimo Arcangeli