Il Principe dei Draghi
Quella mattina Frà Eridor aveva convocato me, mia madre, mio padre e mia zia nell’antica cittadella medievale per spiegarci cosa stesse accadendo e per coinvolgerci nel progetto di ricostruzione di alcuni edifici. E aveva iniziato a narrarci la storia antica di quel posto magico e misterioso…
Era nota in questo borgo la fama dei draghi, i quali dai tempi più remoti erano stati nemici e carnefici degli abitanti, e per alcuni secoli anche loro padroni e persecutori.
Essi avevano avuto sempre grossi dissapori con i feudatari del posto, sia per il commercio delle pietre preziose, di cui le cave di quella zona erano ricche, sia per la loro forza, intelligenza e prepotenza, che costituivano una minaccia per l'amministrazione dei reggenti locali. Anche tra i draghi c'era un reggente ereditiere chiamato rispettosamente dagli altri Principe, e proprio di lui s'era persa ogni traccia da qualche tempo, tanto che tutti gli altri draghi erano migrati in lontane vallate e si erano dispersi per il mondo, non avendo più alcun punto di riferimento in quei luoghi.
Ma da un po’ di tempo a questa parte, anche se della minaccia dei draghi non c'era più traccia nella valle, accadevano cose strane all’interno del borgo, e il nostro frate, che conoscevamo da sempre ed era un caro amico, volle coinvolgerci in questa impresa di ricostruzione affinché lo aiutassimo a capire da cosa dipendessero alcuni strani accadimenti che si stavano verificando.
In più, assieme ai draghi e al loro Principe, ultimamente erano spariti in circostanze misteriosissime alcuni lotti di gemme preziose che, con la loro vendita, avrebbero invece costituito un valido sostentamento per la popolazione, la quale, sempre più povera e indigente, per sopravvivere e con molta rassegnazione aveva dovuto riscoprire le attività agricole a scapito di quelle commerciali.
Per questo motivo il feudatario locale aveva deciso di avviare una grossa opera di ricostruzione del borgo, sperando che potesse allo stesso modo ricostruire case, mestieri e animi e dare a se stesso una certa popolarità che gli sarebbe stata utile in futuro, in caso di un possibile ritorno dei terribili draghi.
In particolare, tutti erano preoccupati dalle recenti stranezze occorse in una piccola casa diroccata situata sulla destra oltrepassato il ponte levatoio che dava accesso al borgo, nella quale erano stati ritrovati alcuni rubini e smeraldi impastati nei vecchi mattoni e che, nella sua ricostruzione ancora non compiuta, pareva conservasse ancora una forte instabilità tale da tremare tutta e ondeggiare sotto i piedi degli sventurati operai al lavoro nei momenti più imprevisti...
Raccontatoci questo, il frate ci accompagnò personalmente alla casetta in questione, dato che noi eravamo coloro i quali avevamo accettato, al cospetto del feudatario solo per venali ragioni, di portare quei famosi lavori a compimento…e nel darci questo incarico Frà Eridor pareva turbato…come se non volesse o potesse dirci di più, ma sperasse che scoprissimo noi quel qualcosa celato nelle viscere della terra e ancor di più nei suoi occhi...
Entrammo nella casa dopo esserci congedati dal frate, che aveva espresso la sua risoluta volontà di non voler in alcun modo valicare quella soglia.
Intorno a noi trovammo pietre, mattoni e calcinacci disordinatamente sparsi ovunque e alcuni attrezzi del mestiere. Mia madre e mia zia iniziarono subito a darsi da fare per avviare i lavori, mentre mio padre eseguiva alacremente quanto veniva da loro disposto.
Sapevo di non essere lì per compiacere il tracotante feudatario, quindi volsi lo sguardo e l’attenzione altrove, investigando i veri motivi della mia chiamata.
Passarono le ore e passarono i giorni, il terreno appariva placidamente stabile sotto i nostri piedi, ritrovammo alcune gemme preziose che consegnammo ai tesorieri del borgo e i lavori proseguirono con grande ammirazione da parte di tutti,e con grande ma celata delusione da parte di Frà Eridor e mia.
Poi improvvisamente una mattina qualcosa accadde. Lo sentii ansimare e muoversi sotto il peso dell’odio e del potere, e capii. Non avevo molto tempo:dovevo aiutarlo a liberarsi. D’altronde ero lì per quel preciso motivo: Lui era il mio Principe.
Mi sforzai di trovare un passaggio nella casa, un modo per sentirlo e farmi sentire, doveva sapere o forse già sapeva che ero arrivata per salvarlo dalla bramosia e delle mire del feudatario, che l’aveva ignobilmente intrappolato in quel sepolcro fatto di volgari pietre e meravigliosi cristalli.
Il Nostro Principe, il Mio Principe era li sotto, sotto quella insignificante e traballante architettura, catturato con l’inganno di un’alleanza e incatenato sotto le fondamenta, coperto da metri e metri di mattoni e calce.
Ora che sapevo, lo riconoscevo in tutte le venature del pavimento, in tutti gli interstizi e le screpolature delle mura. Potevo vedere il suo corpo e le sue membra stanche e aggravate da quel peso, che nonostante tutto erano ancora forti e chiedevano libertà e terribile vendetta.
Corsi di nuovo e arrivai alla casa, feci uscire gli altri e iniziai finalmente a distruggere le mura che i miei avevano costruito in quei mesi, frantumai tutte le mie paure al sordo rimbombo del crollo di quei vincoli che attanagliavano con fiera sopportazione il mio magnifico Principe e me stessa.
E finalmente lo trovai…eccolo! Era lì…era lì da tanto, troppo tempo, ma era ancora vivo e pervaso dalla sua solita dignità che lo aveva sempre contraddistinto e fatto di lui il Capo tra i Capi. Lui era la casa….era stato sempre sotto di noi, aveva sorretto il peso dei nostri corpi oltre a quello della pietra…Dovevo trovare la sua testa, farlo respirare e poterci finalmente parlare per interrogarlo e salvarci.
Quando finalmente giunsi al suo maestoso capo, mi resi conto con mio sollievo che il feudatario aveva dei nemici tra i suoi fedelissimi nel borgo,non abbastanza temerari, ma ne aveva. Coloro che avevano iniziato i lavori avevano creato una stanza intorno alla sua testa di drago, per permettergli di respirare. Per questa ragione era ancora vivo, e poteva, seppur con fatica, parlarmi.
Mi disse “Sei tu”. Ed io risposi “Sempre”.
Mi avvinghiai alla sua testa e piansi mille lacrime per lui e per i nostri compagni, per la gioia di averlo ritrovato e perché la vita ed il suo sangue blu scorrevano ancora in lui, nonostante tutte le angherie subite.
Ma ne piansi altre mille solo perché lo amavo,e non avrei sopportato di perderlo e passare il resto della mia vita senza di lui.
E mentre dissetavo con le nostre afflizioni le sue squame pervinca d’acciaio, sentii che la nostra stirpe si stava riconducendo a quei luoghi da tutte le parti del pianeta e capii che era finalmente arrivato il nostro tempo, era giunta