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Pandemia è la parola del mese di maggio

10/06/2009 7039 lettori
4 minuti
Ben note malattie tenute fino a qualche anno fa sotto controllo, debellate o in irreversibile declino, dalla tubercolosi al morbillo, dalla lebbra alla malaria, stanno riemergendo in molti paesi occidentali anche per il venir meno dei controlli sanitari; altre, come la “peste del Duemila” (Aids), si fa fatica a sconfiggerle; di altre ancora, fino a ieri del tutto sconosciute all’Europa, si comincia ad avvertire in un modo o nell’altro il pericolo: l’influenza dei polli e dei suini e la Severe Acute Respiratory Syndrome, la polmonite atipica (o anomala), meglio nota come SARS, hanno riempito le pagine dei giornali per lunghi periodi; la febbre causata dal virus del dengue, ricomparsa un po’ di anni fa anche in Florida, minaccia già l’area balcanica; le devastanti emorragie provocate da un altro virus, quello dell’ebola, prefigurano futuri scenari di guerre batteriologiche scatenate da bioterroristi senza scrupoli. Il vaiolo, il carbonchio (o antrace), la febbre gialla, la febbre emorragica di Marburg, la tossina botulinica e altri micidiali agenti microbiologici, o magari esiziali neurotossine (come quelle prodotte dalle piante in The Happening), le tante varianti e i tanti derivati dell’ebola e di analoghi virus assassini – esistenti in natura, geneticamente modificati, creati ex novo – rendono spaventosi i terribili scenari immaginati.
È da tempo che narrativa, saggistica e cinematografia affondano nella materia a piena mani: dal bestseller Hot Zone (1994) del giornalista Richard Preston, ai techno-thriller Executive Orders (1996) e Rainbow Six (1998) di Tom Clancy, a disaster movies come Fukkatsu no Hi (1980); Outbreak (1995); 28 Days Later (2002) e 28 Weeks Later (2007); I am Legend (2007), tratto dall’omonimo romanzo di Richard Burton Mateson che ispirò anche The Last Man on Earth (1964); Doomsday (2008). Lo stesso Preston, dopo aver illustrato in The Demon in the Freezer (2002) i concreti rischi di una possibile utilizzazione del virus del vaiolo a fini terroristici, ha romanzato in The Cobra Event (1997) la storia di uno scienziato criminale che vuole ridimensionare la popolazione mondiale diffondendo un superagente patogeno progettato in laboratorio.
È proprio l’ingegneria genetica la nuova frontiera delle armi di distruzione di massa; passa per le trasformazioni patite da un organismo esistente in natura sul quale siano stati impiantati geni esogeni, provenienti cioè da un organismo geneticamente diverso dal ricevente. Il risultato della manipolazione è un organismo transgenico, appartenente all’omonima categoria degli OGM. Gli obiettivi da raggiungere potrebbero però essere tutt’altro che pacifici; come al tempo del Biopreparat, il sofisticato progetto militare in cui l’Unione Sovietica, negli anni della Guerra Fredda, impegnò più di duemila scienziati perché riproducessero in laboratorio “supergermi” mortali, resistentissimi ai vaccini e alle terapie antibiotiche e assai più “longevi” ed esiziali di quelli esistenti in natura, e organismi “chimerici”, vale a dire agenti patogeni ibridi. Gli enormi passi avanti compiuti ultimamente nel campo delle biotecnologie e della manipolazione genetica, soprattutto in conseguenza del traghettamento in porto (2001) dell’impresa di “mappatura” completa del genoma umano (che si è scoperto ammontare a non più di 40.000 geni, assai meno dei 100.000 ipotizzati) e della decifrazione del DNA di virus e batteri, prefigurano foschi scenari specialmente in materia di sfruttamento delle tradizionali “armi biologiche”, destinate a evolvere in modelli genetici di inaudita potenza.
Nuove e vecchie malattie, destinate a turbare il sonno dell’uomo europeo e occidentale, che molti temono possano farci ripiombare nel Medioevo.
 
                                                        Massimo Arcangeli