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Baarìa: ed è di nuovo cinema Paradiso !

08/10/2009 8635 lettori
4 minuti
In un momento intenso e drammatico di una Italia assorbita da una crisi che vuole testardamente divincolarsi, tra ricadute politiche e disastri ambientali che sembrano sancire un patto con la determinazione fatta di quotidianità lacerate e rinascite segnate sui volti della gente che ha visto la morte e il dolore troppo da vicino (il recente nubifragio di Messina sembra un paradossale epilogo del terremoto che ha colpito l’Abruzzo lo scorso 6 Aprile), Giuseppe Tornatore è tornato dietro la macchina da presa (il primo ciak ha debuttato nell’ottobre del 2007) narrando una storia che lo lega intimamente alla propria biografia, anche se non è la prima volta che l’artista, nato a Bagheria il 27 marzo del ’56, ha attinto nell’aspra poeticità delle sue radici per condire una narrazione fatta di richiami alla letteratura formativa del giovane Tornatore, tra i testi di Pirandello e Verga delle primissime rappresentazioni teatrali. Il risultato, oggi, è quel piccolo mondo antico di Baarìa (forma dialettale del nome stesso del paese natale), dove tutto è sempre immutabile, nei sapori popolari di una povertà che cerca di mantenere la propria dignità, tra lo scherno e la fatica di schiene piegate dal lavoro (la raccolta delle olive), dipinto da quella “scomoda” caricaturalità di uomini che marcano di dura disciplina le necessità di quella povera gente comune, di un mondo unico per tutti, con gli stessi bisogni, limiti e marcati da una ignoranza che solletica, divertita, le vicende dei “nostri” protagonisti, ovvero la famiglia di Mannina (una bellissima Margareth Madè volutamente spogliata dal trucco), condita dalle rigidità caratteriali ereditate dalla madre Sarina (una adeguatissima Nicole Grimaudo, che cede il testimone a una sofferta Angela Molina, nella versione adulta) e dalla nonna Tana, una disinvolta Lina Sastri, riuscitissima nel cameo iniziale di una madre che cerca di nascondere, con forza e dignità morale, le sofferenze di una famiglia “provata” dalla fame. Poi c’è la famiglia di Peppino (uno spigoloso e divertito Francesco Scianna), che cerca di maturare in un partito comunista che controbatte il regime fascista del periodo (siamo negli anni trenta), dove le sberle e le “spedizioni punitive” del Duce contribuiscono a segnare la forza morale di un ragazzo che cerca di imporsi, uscendo da una collettività che non sembra dare sbocchi a un futuro visto con sprezzante rassegnazione. Un affresco corale dalle tinte operistiche di una rinata Cavalleria Rusticana, dove l’arte è un cardine sottotono, ma sempre costante nell’evolversi della vicenda famigliare, vedi l’estro pittorico di un giovane artista che immortala i paesani in una rappresentazione evangelica nella cappella della chiesa del paese, condita poi da un bizzarro Vincenzo Salemme nei panni irriverenti di un capocomico teatrale, arrestato dal regime, in piena rappresentazione. Non mancano le divertenti e amare macchiette caratteriali rappresentate dalla coppia Ficarra e Picone, nei rispettivi panni di Nino, “svogliato” amico di Peppino e Luigi, padre di Mannina. Una ritrovata Monica Bellucci sembra voler far da tramite con le analoghe trame rivestite dal precedente Malèna , in un piccolo cameo, “sfacciatamente” coinvolta in un impeto di passione con un muratore, sotto gli occhi di una scolaresca ammonita dalla stessa accondiscendenza dell’insegnante. Roul Bova si scopre giornalista romano, impegnato nei fermenti politici di una Italia sessantottina, mentre Enrico Lo Verso (Minicu) incarna la magra saggezza popolare di chi, per vigliaccheria, cerca di fuggire dalle responsabilità di un’esistenza troppo scomoda. Comparsate di rilievo rimangono quelle di Michele Placido (un esponente del PCI in pieno comizio), Giorgio Faletti (Corteccia) nel capo della sezione del partito di Peppino e Leo Gullotta, improvvisato “mannequin” nel prestare un cappotto nuovo di sartoria all’accomodante protagonista. La storia di un matrimonio “conquistato”, nei quattro figli nati nell’incedere di cinquant’anni di vita, tra gli alti e bassi di una coppia che non può rinunciare a stare insieme (la fuitina, segregati in casa, suggella quel patto d’amore), confluiscono nel finale della storia, nel figlio di Peppino che osserva le vulnerabilità di un padre che stà invecchiando, mentre quell’amore per il cinema, tra i banchi di scuola, rimanda il legame dello stesso regista a quel tributo autobiografico che Baarìa vuole rappresentare. Ed è di nuovo cinema Paradiso!                    
Paolo Arfelli
Paolo Arfelli

Nato a Ravenna; ho avuto il piacere di aver frequentato un corso di grafica pubblicitaria tenuto da Umberto Giovannini, presso la T. Minardi di Faenza, dopo il quale intendo affrontare un discorso editoriale che possa completare il cammino professionale che voglio realizzare.

E' da qualche anno che ho il piacere di legare la mia capacità a Comunitàzione, in una collaborazione di testi e argomenti che valorizzano la serietà riposta da Luca Oliverio e il contesto in cui questo portale opera, tra pubblicità, marketing, informazione e tanto altro.

Ho in preparazione alcuni cortometraggi e la realizzazione di un magazine (DC DIRECTOR'S CUT) all'interno di Alphabet&Type®.