Santa Libertà, il nuovo disco di Roberto Santoro
Trasuda leggenda e ribellione.
Ricorda, neanche troppo vagamente, il Jim Morrison dei primi tempi, con il volto scolpito e i capelli scompigliati. E’ Roberto Santoro, classe ’72, vincitore del Premio Lunezia “Future Stelle”, per il valore Musical–Letterario dell’album "L'Elisir del passionario". Si tratta di uno dei riconoscimenti più ambiti del Premio Lunezia. Basta dare un’occhiata all’albo d’oro delle future stelle del Premio e salteranno agli occhi nomi come Gatto Panceri, Simone Cristicchi, Povia, Morgan, Tricarico e Lunapop. E’ uscito da pochi giorni il suo nuovo disco Santa Libertà (Target Music) e lo ha presentato in anteprima, all’Exquisite Shu, un animato locale di Milano. Un disco, diretto dalla produzione artistica di Mauro Pagani, Eugene Rutherford e Filippo Bentivoglio, che sintetizza rock e canzoni d'autore, con influenze folk ed etniche e con qualche nota pop. Sono canzoni di speranza, amore e desiderio, come nella tradizione dei grandi cantautori.
Roberto Santoro inizia giovanissimo a suonare la chitarra, affascinato dalle canzoni di Fabrizio De André e Bob Dylan e attratto dai suoni rock che arrivano dal mondo anglosassone (Smiths, Cure, Depeche Mode, Nick Cave). Milanese d’adozione, ha studiato Lettere e Filosofia e si è guadagnato da vivere suonando con diverse cover band, in giro per l’Italia e all’estero. Ha prodotto una rilettura in italiano di "Dancing Barefoot" di Patti Smith. Per anni è stato un’attrattiva costante delle serate musicali dei navigli milanesi ma è stato l’incontro con Angelo Carrara, nel 2006, che ha segnato una tappa importante nella sua carriera. Carrara decide di produrre il disco L’elisir del passionario, ama quel mondo di sonorità mediterranee che sfumano ora in ballate popolari e latine, ora al tango, ora in accenni jazz. E vede bene.
Santoro collabora come autore, con Francesco Baccini, per lui ha scritto alcuni brani dell’album “Dalla parte di Caino” e con lui ha suonato come chitarrista/bassista nel tour del 2008.
Sembrerebbe anche un cantautore maledetto, Roberto Santoro. Lo conferma una citazione di Baudelaire che campeggia sul suo sito ufficiale, “Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi.” Ed ebbrezza ed esaltazione non sono certo mancate al concerto.
La serata milanese si è rivelata una “botta d’energia”, una bella fusione di voci e musica che ha coinvolto tutto il locale. Ballate rock dal sapore vagamente ribelle, motivi interessanti che si sono lasciati canticchiare quasi subito. Dalle note malinconiche a quelle esplorative del viaggio, dell’amore e del sesso. Roberto Santoro chiacchiera con il suo pubblico, creando un clima amichevole e abbattendo quella barriera virtuale tra palco e spettatori. Si diverte insieme alla sua band, ride, scherza, canta e ci fa entrare nel suo laboratorio di cantautore. Racconta la nascita di un testo, come Hai preso casa in Mexico, dedicato ad un amico perduto. Ci sono posti lontani dove la vita è più leggera, dove si è veramente liberi. La canzone è l’immagine di un Messico ideale, dove un amico perduto ancora c’è. E magari se la spassa. Comincia la musica e tutto diventa energia, sogno. C’è poi la canzone della crisi, il folk della caduta e della scoperta, Non credo che sia stato Andrea. Ha un tono mitico, biblico e parodistico, alla Dylan. Un momento da accendini da stadio si crea poi con Navigante di te. Il mare come metafora del desiderio. Tra fado e sirtaki, è un canto d’amore inappagato: dopo il mare inizia l’oceano. Un altro momento di autobiografia è con Addio Milano, addio. Un saluto amaro ad una città importante, una tappa fondamentale per la formazione del cantautore di Vibo Valentia. Il testo contiene una citazione senza tempo di “Luci a San Siro” di Vecchioni. La serata si chiude con una ballad on the road, Il mio amico campanaro. Un ultimo slancio di libertà.
Un itinerario ideale ed esistenziale, insomma, quello presentato da Roberto Santoro, che ha conquistato il popolo milanese e che conquisterà il grande pubblico.
Elisa Giacalone - Milano