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Scienze della Comunicazione a Torino, e non solo...

28/12/2003 17195 lettori
4 minuti

Intervista di Gianni Bosio a Luca Console, tratta da www.scidecom.org

Il Preside del corso di laurea in Scienze della Comunicazione di Torino risponde alle domande della redazione di Scidecom.org


Come valuta la sua esperienza come Preside del corso di laurea in scienze della comunicazione, riguardo sia all'aspetto didattico sia a quello più propriamente organizzativo?

La didattica, intesa in senso lato (corsi, tesi ed altre attività) è senza dubbio uno degli aspetti più interessanti. E' una scelta che ho fatto e di cui continuo ad essere convinto. Quando mi è stata data la possibilità di rientrare ad Informatica ho scelto di rimanere qui perché mi trovavo molto meglio, per molte ragioni.

La gestione del corso di laurea è sicuramente molto più laboriosa di quanto immaginassi: in più, in un periodo di transizione come questo, la quantità di burocrazia da produrre va oltre ogni aspettativa: in particolare, i nuovi meccanisimi che richiedono che i corsi di laurea abbiano degli accreditamenti in base a dei criteri di qualità iso-like danno origine a quantità di carta spaventose.


In cosa consistono questi meccanisimi di certificazione?

Per potere ottenere i finanziamenti del Ministero o di altri enti pubblici i corsi di laurea devono dimostrare di rispettare delle norme organizzative abbastanza rigide, che rispecchino una corretta organizzazione per processi secondo alcuni parametri di qualità che vanno assolutamente rispettati. Tutto ciò deve essere inoltre ben verbalizzato e documentato, nonostante per alcune attività sia pazzesco pensare di riuscire a produrre una tale documentazione.


Un tema molto controverso è senz'altro quello dei finanziamenti: in che modo essi vengono effettivamente gestiti?

Si tratta di un contenzioso che esiste da anni fra le facoltà e la sede centrale: in realtà alle facoltà viene girata una percentuale molto ridotta, quantificabile intorno al 10-15%. Tutto il resto rimane in altri ambiti.


Qualora invece il nostro corso di laurea non risultasse appartenente alla facoltà di lettere e filosofia ma fosse indipendente la situazione potrebbe cambiare?

La trasformazione in facoltà non è un processo facile, per tutta una serie di ragioni.

Per quanto riguarda i finanziamenti, il passaggio a facoltà non contribuirebbe a migliorare la situazione: il problema sta nelle decisioni della sede centrale, che attraverso i suoi organi amministrativi gira alle facoltà i contributi; sarebbe quindi indifferente. Sicuramente ci sono delle facoltà che hanno dei contributi maggiori, ma perché anche le tasse sono maggiori, mentre la percentuale rimane la stessa.


Dove va dunque a finire la fetta più grossa dei finanziamenti?

Vengono impegnati per attività più o meno imprescindibili, quali le spese di mantenimento, (riscaldamento, luce, Internet) e quelle per l'edilizia. Insomma, la percentuale è da intendere “al netto”, ma vi sono poi tutta un'altra parte di finanziamenti che giungono alla facoltà in maniera indiretta. Anche se è indubbio che funzionare con le cifre attuali sta diventando sempre più difficile. Il problema sta comunque in buona parte a monte dell'Università: i finanziamenti che vengono erogati ad Università e ricerca stanno diventando davvero esigui.


Passando a temi relativi più direttamente al corso di laurea, quest'anno si è presentato il problema dell'“ipertrofia” dei corsi specialistici, con più di 400 iscritti a fronte dei 250 di tre anni fa. Come si sta comportando il corso di laurea riguardo a questo fatto?

Stiamo affrontado il problema. Siamo stati in parte colti di sorpresa, sicuramente non ci aspettavamo un numero di iscritti così alto alle specialistiche e ciò porterà senz'altro una serie di prolemi a contorno. Le ragioni sono diverse: per rimanere nell'ambito torinese, scienze della formazione non ha attivato nessuna laurea specialistica, e ciò ha spinto molti dei suoi triennalisti a passare alle nostre. Inoltre abbiamo ricevuto numerose iscrizioni alle nostre specialistiche da parte di sutenti provenienti da corsi di scienze della comunicazione sparsi in tutta Italia. Ciò da un lato ci inorgoglisce, perché sta a significare come il tipo di offerta che noi facciamo sia attrattiva; dall'altro ci atterrisce.

I problemi sono in primo luogo logistici: sarà fondamentalmente impossibile tenere corsi destinati a 200 persone in aule da 100 posti. In secondo luogo, un numero così alto di iscritti porta ad una contraddizione in termini col significato stesso di “laurea specialistica”, cioè relativamente elitaria e non destinata alle “masse”. Ciò anche relativamente al modo stesso di organizzare le cose; basti pensare ai laboratori, che dovrebbero essere una parte davvero importante della laurea specialistica: che senso ha farli per 200 persone?


Quale è stato l'esito di una proposta innovativa quale quella dei laboratori aziendali?


Mi sembra sia stata abbastanza apprezzata; forse anche troppo, a giudicare dai numeri. Anche le aziende hanno reagito molto bene: la quantità di imprese che hanno scelto di parteciparvi è molto significativa (circa 400), e nella maggioranza dei casi l'esperienza non si è per loro rivelata esclusivamente un passivo. Da queste interazioni alcune hanno ricavato idee, o anche persone che dopo i laboratori si sono fermati in stage. Alcuni si stanno ripetendo ormai da tre anni, altri si stanno aggiungendo, anche sotto richiesta delle aziende stesse. Il posizionamento rispetto alla realtà aziendale è insomma decisamente buono.

Sempre riguardo ai contatti col mondo del lavoro, recentemente abbiamo ricevuto da parte della Regione Piemonte il riconoscimento della nostre laurea triennale come “laurea professionalizzante”. Ciò ci consentirà, a partire dal 2004, di ottenere nuovi finanziamenti dalla Regione stessa.


Vi sono dunque degli indubbi segnali di un buon funzionamento generale del corso, anche rispetto ad altre realtà in cui le cose sono diametralmente opposte.

Sì, sicuramente siamo molto “attraenti”: non sono ancora disponibili dati precisi,ma la stima è che quasi la metà degli iscritti provenga da altre lauree triennali. Alcuni arrivano da lettere, con l'obiettivo di spostarsi verso una specialistica più specializzante dopo aver conseguito una laurea triennale “debole”. Vi è poi chi, non essendo riuscito ad entrare alla triennale, tenta di aggirare l'ostacolo rientrando dalla finestra, presentando spesso dei piani di studio triennali chiaramente indirizzati a questo scopo.

Vi sono poi gruppi significativi di iscritti provenienti da altre Università (Siena, Milano...) dove l'offerta specialistica non era evidentemente soddisfacente. In realtà, questo è un fenomeno che si sta verificando anche sulla triennale, per la quale sono già stati registrati diversi trasferimenti, provenienti da Catania, Lecce e Savona.


Vi è la possibilità di aumentare in futuro la soglia del numero chiuso, sia per la sede di Torino che per quella di Ivrea?

Per Torino, così siamo al limite. Ad Ivrea potremmo salire, ma la risposta da parte degli studenti è comunque scarsa; per certi aspetti ciò è incomprensibile. Se almeno per i primi due anni si riuscisse ad avere un pari numero per le sedi di Torino ed Ivrea, si potrebbero poi in seguito ridistribuire i posti per il triennio: ad Ivrea potrebbero rimanere certi percorsi ed a Torino altri, ma se la risposta sull'iscrizione al primo anno continua ad essere questa... Riusciamo a riempire i 150 posti, ma non ad andare oltre.

Abbiamo dei dati molto chiari sulla provenienza degli iscritti di Ivrea: la metà provengono dal Canavese o dalla Val d'Aosta, qualcuno si rassegna a diventare pendolare da Torino, mentre la percentuale di persone che arrivano da fuori è piccolissima, anche per via del sempre crescente numero di corsi di laurea triennali in scienze della comunicazione attivati in tutta Italia. Le ultime statistiche dicono che sono ben 76: alcuni possono essere definiti più o meno “veri”, altri sono semplicemente degli strumenti di marketing. Anche qui da noi verrà presa in considerazione qualche piccola riorganizzazione sulla laurea triennale, nonostante risulti già così dotata di un certo senso.


Ritornando all'aspetto amministrativo, pare che ci siano dei problemi riguardo al pagamento degli stipendi delle cattedre a contratto.

Ci sono una serie di ragioni, fra cui alcuni cambi imposti dalla Legge Finanziaria dal punto di vista gestionale che fanno sì che i nuovi contratti possano essere aperti solo da gennaio. Sicuramente c'è un problema serio legato al taglio dei fondi della finanziaria stessa riguardo al quale la protesta dei Rettori non è stata a suo tempo ascoltata.

Le università da un lato percepiscono finanziamenti grazie ad un fondo gestito dal dal Ministero, dall'altro possono reperire fondi in maniera indipendente da privati o da altri enti pubblici. Il problema è che il fondo di finanziamento ordinario è fermo al livello di tre anni fa, non essendo stato adeguato nemmeno agli indici di inflazione programmata. Siamo arrivati al ridicolo per cui il Ministero aveva stabilito lo scorso anno un aumento di tutti gli stipendi dell'1-2%, ma questa percentuale non è stata trasferita, per cui si è trasformata in un'ulteriore aggravio per i bilanci delle università. E non vi è modo di uscire da questa situazione, dato che le quote di finanziamento locali non possono eccedere una percentuale della quota che arriva dal Ministero.

Per quanto riguarda la nostra situazione, una volta tolte dal bilancio le spese fondamentali ed irrinunciabili, rimane veramente poco. La retribuzione dei docenti a contratto è stata ridotta progressivamente, fino a diventare assolutamente non competitiva: dai 3.000 ai 4.000 Euro lordi annui.

In più, vi è un altro problema comportato dal fatto che le università devono rimanere, dal punto di vista amministrativo e gestionale, come le altre aziende: in questo modo, la mancata distinzione fra anno accademico ed anno solare, a privilegio di quest'ultimo, obbliga a regolare le attività del primo semestre, e dunque a firmare i contratti, nell'anno solare successivo. Ciò porterà presto all'obbligo di dover programmare tutti i corsi tenuti da docenti a contratto esclusivamente nel secondo semestre.