Le comunità virtuali e il marketing
Articolo tratto dal sito Connecting-Managers© |
Durante i momenti di massimo entusiasmo per la cosiddetta “New Economy” a molti era sembrato che la stessa parola Internet fosse sufficiente a generare guadagni veloci e business giganteschi.
Poi un periodo di “grande freddo” ha fatto diventare il Web un mezzo guardato con sospetto dalle aziende, che vi destinano le briciole dei propri investimenti di marketing e comunicazione.
Eppure la Rete oggi è più matura e sa offrire molti vantaggi a chi la sappia usare nel modo giusto, a livello di profilazione dei clienti, nella creazione di relazioni personali e commerciali, nella promozione e lo sviluppo della propria brand image, nella verifica immediata delle proprie promozioni, nei test di prodotto e in molto altro ancora.
Uno degli ambiti che sembra avere le maggiori opportunità è quello delle comunità on-line, cui oggi le aziende iniziano a guardare con crescente interesse in un’ottica di marketing (cfr. S. Micelli, "Comunità virtuali di consumatori" in Economia&Management, n. 2, 1997).
Lanciare nuovi prodotti infatti è sempre più complesso e costoso poiché i consumatori hanno accresciuto, anche grazie alla Rete che permette di confrontare le diverse offerte, la propria cultura sul mercato e, contemporaneamente, hanno aumentato le loro richieste di personalizzazione.
A questo punto le comunità virtuali diventano importanti fonti d’informazione: esse infatti permettono di aggregare la domanda, magari molto dispersa geograficamente, di persone che condividono determinati interessi, anche molto settoriali.
Da tale aggregazione discendono poi usi diversi: vi sono aziende che usano questi siti come canali di vendita alternativi, un esempio è la Triumph, che riesce addirittura a vendere moto on-line proprio attraverso l’e-commerce promosso dalle comunità d’appassionati del settore.
Vi sono poi siti come Gardenweb, dedicato al giardinaggio, sul quale alcune aziende di nicchia che vendono piante e sementi rari hanno trovato un loro canale di vendita privilegiato a fronte dell’impossibilità, per motivi di costi e di scarsa dimensione del mercato, di creare una rete distributiva tradizionale estesa sul territorio.
Altre imprese invece si riferiscono alle comunità come a fonti informative: all’interno dei dialoghi che si sviluppano in queste forme associative infatti spesso emergono esigenze, bisogni, spunti e critiche che permettono di cogliere le tendenze emergenti a proposito del settore di riferimento, tendenze che le aziende possono poi utilizzare per lo sviluppo dei nuovi prodotti.
Il caso più evoluto in tal senso è quello del mercato dei software o dei videogiochi, in cui i membri di comunità d’appassionati ricevono dalle aziende versioni beta dei prodotti che poi sono restituite testate e, spesso, implementate. Tutto a costo praticamente zero.
Infine ci sono le comunità professionali, in cui esperti di vari settori interagiscono con colleghi instaurando relazioni e, spesso, anche proficui accordi commerciali.
Oltre agli aspetti produttivi poi l’ingresso o la relazione con una comunità è rilevante anche per l’immagine dell’impresa che vi si lega, che può verificare la propria brand awardness e mettere in atto strategie e iniziative che contribuiscono a creare quella forza della marca (brand equity) che nel marketing moderno non solo è parte integrante del prodotto ma addirittura lo anticipa e lo rafforza.
Gli investimenti, soprattutto per comunità già avviate, non sono particolarmente rilevanti, certo la comunità in sé, con l’eccezione di quelle professionali, non genera introiti significativi in modo diretto ma le sue ricadute si avvertono, molto spesso in modo molto proficuo, al di fuori della Rete.