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I racconti delle risorse Umane

04/01/2011 09:00:00 32172 lettori
5 minuti
Era tutto pronto, finalmente.
Penso di essere nata sposata, cioè con il pallino dell’abito bianco e del giorno più delizioso del mondo!
L’avevo scelto semplice: un corpetto liscio, spalle scoperte, e tunica leggermente a campana. Era costato poco a differenza di tutto il resto.
A partire dai fiori: girasoli e spighe di grano avvolti in fasci di velo bianco.
Per finire alla musica: pianoforte e arpa in un angolo minuscolo della chiesetta.
I miei erano felici, anche i suoi, fino ai parenti di sesto grado che avevano confermato tempestivamente la presenza.
Io sapevo solo che amavo lui e impazzivo all’idea che l’avrei rivisto all’altare, pronto a dare inizio alla nostra famiglia.
Avevo aspettato, messo pazienza alle mie frette e placato le piccole inquietudini.
Oggi era arrivato, finalmente.
Mentre riponevo gli ultimi ricordi da nubile nel primo cassetto, sentii il telefono. Non doveva essere lui, forse l’avviso delle amiche che tutti erano arrivati in chiesa e che potevo muovermi.
No! Era una mia collega. Lì per lì, indugiai. Alla fine risposi.
 
-          Ciao cara… - una voce sottile e incerta provava a iniziare un discorso – spero di non essere inopportuna
-          Beh, diciamo che non sono del tutto libera ora ma…dimmi tutto
 
E lì ebbe inizio il primo capitolo della mia nuova vita.
 
-          Sì, hai ragione. Ti chiedo scusa…non avrei dovuto chiamarti proprio oggi. Ci ho pensato a lungo prima di farlo, credimi. Ma poi ho pensato che no, non potevi sposarti senza saperlo. Non sarebbe stato giusto…
 
Non risposi.
 
-          Sarò rapida, ma lo devi sapere. Quando oggi entrerai in chiesa, mentre ti avvicini all’altare, guarda in faccia la tua testimone. Lei, il nostro direttore generale, guardala bene…perché guarderai la tua peggiore nemica. La scorsa settimana, quando hai lasciato il lavoro per scadenza del contratto e hai approfittato per sposarti… beh…lei ti ha fatto credere che ti avrebbe aspettato e ti avrebbe fatto trovare il rinnovo del contratto sulla tua scrivania al ritorno. Lo credevamo tutti, infatti. Ma poi, due giorni dopo, abbiamo visto arrivare un tipo giovane e silenzioso.
Lei lo ha accolto nel suo studio e sono rimasti a lungo. Poi è apparsa da noi presentandoci questo tale Angelo e dicendoci che lui avrebbe preso temporaneamente il tuo posto, con un occasionale, perché le attività dovevano andare avanti e…molto probabilmente tu, dopo le nozze, avevi in programma di avere un bambino. L’ufficio non poteva pagare le conseguenze della tua scelta…
Quindi, ecco, sono stata combattuta se dirtelo o meno. Ma alla fine ho deciso di dirtelo perché lei oggi sarà la tua testimone ed è tuo diritto sapere che proprio lei ti ha appena tolto il lavoro…
 
Grazie, collega. Anzi, ex collega, per avermi confessato l’orrendo crimine alle mie spalle. 
Finii di sistemare il velo e andai con mio padre verso l’altare.
Ricordo distintamente la musica, come fosse la colonna sonora di un evento sbiadito.
Lui era lì, solare.
La mia testimone si asciugava le lacrime per l’emozione.
 
All’improvviso mi fu tutto chiaro.
Non era quello il momento del matrimonio, della famiglia né dell’amore.
Era il momento di appropriarmi di me stessa per scoprire quali risorse avessi da darmi per rivoluzionare quel mondo, seppur piccolo, delle aspirazioni.
Avrei dovuto imparare ad essere una risorsa per me stessa, come avevo tentato di esserlo per altri e sul lavoro.
Avevo permesso di farmi trattare come un numero, un oggetto. Avevo concesso fin troppo potere a terzi di muovermi come una pedina. Non ero solo una risorsa, dovevo imparare ad essere una risorsa Umana. E capii come questo avrebbe dovuto essere la mia missione.
 
Imparare ad essere una risorsa Umana!
 
Lo guardai fissamente per secondi infiniti. Glielo dissi con gli occhi: “Addio, amore mio…”
Poi mi girai e partii.
 
Non mi tolsi l’abito bianco, ormai era una divisa per la ricerca della mia identità.
Non volevo dimenticare da dove ero partita, dovevo ricordare che il mio viaggio aveva avuto un inizio ma che – prima o poi – avrebbe dovuto avere un termine. Sì, avrei finito solo quando avessi capito cosa volesse dire essere una risorsa Umana.
 
Cosa potevo essere per me stessa? E per il prossimo?
 
Ma soprattutto volevo conoscere chi, come me, aveva un vissuto da raccontare. Un’esperienza da testimoniare. Sì, insomma, volevo conoscere tutte le risorse Umane invisibili, quelle che scrivono il presente e che fanno la Storia del nostro Paese.
Perché attraverso loro, avrei capito finalmente me stessa.