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Lavoro: cambia il tuo punto di vista!

12/03/2011 17023 lettori
4 minuti

 

 

 

Con questo articolo dal titolo tra l’amaro e l’ironico vorrei esaminare i diversi punti di vista di aziende e specialisti per capire cosa davvero chiedono ai giovani (e meno giovani) per entrare nel mercato del lavoro. Vorrei partire prima dai freddi dati per poi andare a confrontare le richieste con le reali esigenze delle persone.

La disoccupazione

Dai dati Istat la disoccupazione resta stabile, ma quella giovanile aumenta e non solo per la crisi. Le altre cause sono la bassa qualità delle nostre università, sempre meno laureati (ne ha di più il Cile) e un forte riferimento all’ossessione del posto fisso.

Le indicazioni degli specialisti

In un lungo articolo letto pochi giorni fà, l’analisi dell’attuale situazione dei giovani parte da una considerazione:far capire ai giovani che il lavoro si conquista ogni giorno, mettendo alla prova il proprio talento anche essendo disposti ad accettare un contratto a termine, costruendo il proprio futuro puntando sull’esperienza accumulata.

L’articolo prosegue indicando anche i parametri fondamentali che le aziende devono avere per sollevarsi dalla crisi: investire sui talenti, maggiore flessibilità nella gerarchia, potenziare i lavoratori sopra i 50 anni e ancora rinunciare all’ossessione del posto fisso.

Il mio punto di vista

Si fà un gran parlare di abbandonare la chimera del posto fisso che tante certezze dà al lavoratore, ma molti problemi crea nelle grandi aziende. In effetti il raggiungimento di questo obiettivo per molte persone (soprattutto fino al decennio passato) significava il punto di approdo professionale, una “pace dei sensi” che ha generato improduttività e poco spirito di competizione. Ho sempre sostenuto l’idea (e quindi sostengo alcune delle idee descritte sopra) che il lavoro e la professionalità vanno dimostrate giorno dopo giorno senza nascondersi dietro le “garanzie” di un contratto di lavoro blindato. Sostengo anche la flessibilità, la disponibilità a viaggiare e lavorare nei weekend.

Tutte queste richieste da parte di piccole e grandi aziende non tengono conto però delle ripercussioni sociali che in Italia comporta il non avere il “posto fisso”. I contratti atipici sono stati gestiti male con poche garanzie per i lavoratori e (su tutto) un diverso trattamento per accedere a certi servizi, tra cui mutui e prestiti personali.

Continuo a vedere offerte in cui il datore di lavoro chiede flessibilità al candidato. Flessibilità in termini di: spostamento nella sede di lavoro (che di solito non è quella di origine del candidato), contratto temporaneo, determinato o addirittura di consulenza con partita IVA, flessibilità a spostamenti e trasferte, flessibilità nell’orario di lavoro. Tutta questa modernità cozza però contro la fruizione classica della prestazione della risorsa: presenza in sede, orari di ingresso e uscita bloccati, impossibilità ad attività parallele e magari mancanza di giorni di ferie o malattia. Mi sembra che come al solito si vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Tutta questa flessibilità io la vedo solo in un senso: quello delle aziende.

Il posto fisso

Non avere il posto fisso è un lusso che non possiamo permetterci visti i discorsi di cui sopra. Ai lavoratori viene chiesto uno sforzo di “rischiare” a fronte di stipendi poco superiori ai 1000 euro. Chi parla ai lavoratori è di solito un manager che supera i 50-100K euro di RAL oppure ....

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Articolo scritto da: Alessandro D'agnano

Silvia Foglia

www.twago.it