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Verso un Urban Center a L'Aquila?

05/07/2011 10465 lettori
5 minuti

Sarebbe probabilmente poco lungimirante da parte della pubblica amministrazione non saper cogliere il rinnovato fermento che sembra pervadere la società civile, divenuta in grado, negli ultimi mesi, di creare dibattito soprattutto tramite i media sociali e trasformarsi in una sfera pubblica capace di generare opinione e, talvolta, di influenzare comportamenti. Discorso valido tanto più in un contesto come quello aquilano in cui la posta in gioco è evidentemente troppo alta perché si proceda con la faticosa gradualità cui siamo abituati. Il processo di evoluzione delle pubbliche amministrazioni teso a porre il cittadino al centro delle azioni e dei servizi pubblici, che affonda le sue radici negli ormai lontani anni '90, necessita cioè sul territorio aquilano di un'urgente accelerazione.

Ma un Urban Center a L'Aquila non dovrà nascere solo per questo. Dovrà piuttosto maturare, per rispondere a un'esigenza solo apparentemente duplice: quella dei cittadini di essere informati, di conoscere e di partecipare ai processi pubblici decisionali della ricostruzione e quella della pubblica amministrazione di garantire trasparenza e raccogliere e far fruttare tutte le potenziali risorse che il territorio offre. Due facce della stessa medaglia verso un unico obiettivo: mettere in comune le informazioni, far dialogare la città e attivare operativamente una ricostruzione efficace e partecipata.

Urban Center non solo luogo di informazione, quindi, ma anche di dialogo e di catalizzazione delle idee, delle competenze e delle risorse territoriali. E ancora, un soggetto in grado di promuovere e attivare quei percorsi di urbanistica partecipata che, dopo i primi esperimenti torinesi e romani di diversi anni fa, sono ormai divenuti in diverse zone d'Italia, come ad esempio a Bologna, una vera e propria modalità di lavoro sancita da norme comunali e/o regionali.

Un Urban Center a L'Aquila dovrebbe, quindi, da un lato, fornire una risposta concreta alle crescenti aspettative di cittadini sempre più consapevoli dei propri diritti e, dall'altro, essere un elemento di facilitazione nella gestione del capitale sociale del territorio. Un soggetto, cioè, aggregatore e moltiplicatore di quel “quarto istinto”, per dirla con la definizione di Rifkin, che spinge ad andare oltre i desideri meramente egoistici e d’ambizione includendo nella prospettiva d’interessi di ciascuno anche la comunità in cui si vive. Secondo la prospettiva europea si parla a questo proposito di innovazione sociale, intesa come la capacità di una società di affrontare e risolvere i suoi problemi socio-ambientali facendo leva sull’intelligenza collettiva che è presente in ciascuna di esse.

Questo “democratizzare” la democrazia si tradurrebbe innanzitutto nella capacità di generare open data, vale a dire trasparenza e coinvolgimento diretto dei cittadini, fino ad arrivare a un vero e proprio open government della ricostruzione. Con l'espressione “governo aperto” si identifica una nuova etica di governance che garantisce l'apertura e la trasparenza delle amministrazioni nei confronti dei cittadini mediante un ripensamento dei modelli e degli strumenti, primi fra tutti le nuove tecnologie, elementi imprescindibili per l'attuazione di una simile impostazione di co-working.

La promozione del confronto pubblico sulle decisioni da prendere e da portare avanti per ridare vita al territorio aquilano risulta quindi la tappa fondamentale per trasformare i cittadini da semplici destinatari di azioni e decisioni ad attori sociali di un processo realmente bottom-up, che si snoda e si sviluppa, cioè, dal basso verso l'alto: un grassroots movement, come alcuni preferiscono recentemente chiamarlo per evitare qualsiasi tipo di giudizio di valore e porre le istituzioni e la comunità locale sul medesimo piano.

In tale prospettiva ogni processo decisionale si fonderà su almeno tre elementi: la partecipazione dei cittadini, l'uso delle nuove tecnologie e l'attivazione di strumenti di verifica e di controllo.

Non è banale sottolineare che la precondizione a che ciò si verifichi è l'esistenza di un rapporto di fiducia tra istituzione e cittadino, dal momento che nessuna comunicazione può essere efficace a prescindere dalla credibilità della fonte della comunicazione stessa.

La ri-costruzione della fiducia a sua volta passa inevitabilmente, da parte della pubblica amministrazione, non solo in una consapevole assunzione del rischio insito nel concetto di apertura e disponibilità alla condivisione e quindi anche a forme di monitoraggio e di controllo, ma anche in un investimento di risorse verso la professionalizzazione e la creazione/modificazione delle strutture organizzative necessarie (es. Urban Center), elementi indispensabili a garantire la non episodicità della relazione con la comunità locale, ma anzi la continuità del partenariato.

Gli strumenti già esistono, ma è ancora necessario investire sull'abbattimento di quella barriera di natura culturale che ostacola la messa in moto del cambiamento di prospettiva.

Una ricostruzione efficace della città difficilmente potrà non fare leva su un'alleanza di risorse e di pensieri che si organizzano e che, sulla base di patti trasparenti e regole condivise, dia impulso a un serio e competente lavoro di pianificazione