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Una qualità che ci rendeva speciali e migliori.

06/11/2011 7210 lettori
4 minuti

 

   

 

Stressato da una discutibile gestione condominiale: sterili dibattiti col tentativo di disquisire su argomenti per un certo verso impegnativi: appalti, subappalti, insolvenze, deficienze ecc… andati a sfociare nella polemica sulla linea di comportamento di chi amministra - sia comune, sia condominio -.

Un’apprensiva riservatezza mi ha portato a riconsiderare l’atteggiamento provocatorio, caratterizzato da una certa esperienza nella «gestione d’impresa». Continuo a rilevare esecrabili comportamenti di gestione del condominio che vanno dalla costrizione a rimanere con l’ascensore impedito all’uso per quindici giorni, alle iniziative più disparate nell’amministrazione con un agire dissennato senza tenere conto delle delibere delle assemblee documentate.

 Estenuato per il fatto stesso di non saper trovare via d’uscita o riferimento alcuno, (paradossale ma comune l’alternarsi di più amministratori) cerco conforto con un singolare passatempo: la lettura. Una stravagante circostanza mi porta a comparare una pagina del libro sottomano «L’Italia non esiste» di F. Rondolino che riporto integralmente con una sola interruzione.

 

La ragione di questo fallimento sta nell’ideologia italiana: cioè nel rifiuto, esplicito o implicito, dissimulato o esibito, della modernità e delle sue categorie economiche, sociali, culturali e politiche. (…) Fra i tanti paradossi della nostra storia patria, c’è anche questo: che gli stati italiani di primo Ottocento avevano avviato, seppur in maniera tutt’altro che omogenea, un loro processo d’industrializzazione e di modernizzazione. Il caso forse più eclatante (perché il meno conosciuto) riguarda l’abitualmente deprecato Regno borbonico.

 Nel 1856, il Regno delle due Sicilie fu premiato all’Esposizione Internazionale di Parigi come terzo stato più industrializzato d’Europa. Fra i vanti del Regno, la prima nave a vapore del Mediterraneo (1818), costruita nel cantiere di Stanislao Filosa al ponte di Vigliena presso Napoli, e, nel 1839, la prima linea ferroviaria italiana, tra Napoli e Portici (al tempo dell’unità d’Italia la tratta era giunta a Eboli). E ancora: il primo ponte sospeso in ferro dell’Europa continentale (1832), la prima illuminazione a gas in Italia (1839), il primo osservatorio vulcanico del mondo, sul Vesuvio (1841). L’anno prima era stata inaugurata la fabbrica metal meccanica di Pietrarsa, cui si affiancava una scuola per macchinisti ferroviari e navali, grazie alla quale il Regno poté sostituire, nel giro di pochi anni, le maestranze inglesi utilizzate in precedenza.

 I Savoia incamerarono nelle esauste casse piemontesi, divenute italiane, i 443 milioni di ducati-oro che giacevano nel Banco nazionale delle Due Sicilie (pari a due terzi del patrimonio di tutti gli stati preunitari messi insieme), e cominciò così la «questione meridionale».

 Anche (e forse soprattutto) dal punto di vista della modernizzazione del Paese, l’unità fu dunque una sciagura. L’arretratezza divenne rapidamente una specifica nostrana, una qualità che ci rendeva speciali e migliori, e che andava dunque tutelata e difesa dall’immoralità della nascente società industriale. L’ideologia antimoderna del Risorgimento italiano sta al cuore di questa scelta.

 È Vincenzo Cuoco l’«inventore – scopritore» (secondo le parole del Bollati) di un'Italia che trae salute e vigore dalle radici profonde dalla sua antica civiltà contadina, un’Italia anti-intellettualista sdegnosa dei decadenti raffinamenti culturali dell’età moderna, fiera di una sua nobiltà autoctona, di un suo primigenio costume morale.

 
 
Fonte

L’Italia non esiste (pgg.52 / 53)

L'ulivo e il mare guardiani di una antica civiltà. X, 2008 di  franco vieffeart 
Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.