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Raccontare la paura dopo l’11 settembre

29/03/2004 7769 lettori
5 minuti

Raccontare la paura dopo l’11 settembre

NB Il pezzo è stato scritto anche da Emiliano Germani

Il tragico attentato ai treni di Madrid insegna che si cade in errore nel pensare che tanto più un evento sia sconvolgente e spettacolare, tanto più facile sia raccontarlo. Negli ultimi 2 anni e mezzo, i mass media hanno in vario modo sperimentato la difficoltà di individuare la formula giusta per "mettere in scena" davanti all’opinione pubblica un fatto al tempo stesso spaventoso e affascinante come un attentato terroristico.

Il disagio è stato grande soprattutto nel caso della televisione, il medium che fonda la sua potenza narrativa sulla forza e sull’immediatezza dell’immagine e che più degli altri si è trovata alle prese con la fatica di proporre rappresentazioni efficaci dei terribili eventi di morte e distruzione che si sono succeduti a partire dalla data fatidica dell’11 settembre 2001.

Il nucleo del problema è nella natura stessa dell’attentato alle torri gemelle, un evento anomalo e straordinario non solo nella sua tremenda portata distruttiva, ma anche e soprattutto nel suo carattere mediatico.

E’ lecito pensare che gli stessi autori dell’atto l’abbiano concepito "a tavolino" per ottenere la massima audience di pubblico e il massimo impatto sull’immaginario e sulle paure collettive.
Il crollo delle twin towers crea uno straordinario corto circuito tra stereotipi immaginativi già sedimentati nella cultura mediatica del mondo occidentale (si rabbrividisce nello scoprire che la scena è descritta in modo paurosamente simile in Fight Club, un film del 1999, a sua volta ispirato ad un libro best seller del 1997) e una totale ridefinizione degli schemi cognitivi di interpretazione del reale, o meglio del "possibile". Due palazzi di 110 piani si sbriciolano avvizzendo su se stessi come fossero fatti di gesso.

Un avvenimento di tale portata era al tempo stesso temuto e ritenuto impossibile.
Eppure è accaduto, suscitando negli attoniti spettatori l’esperienza kantiana del "sublime". Sublime è lo spettacolo che affascina e terrorizza al tempo stesso, senza rappresentare un pericolo di morte immediata per colui che guarda.
Gli spettatori televisivi, comodamente seduti in poltrona e senza rischiare nulla direttamente, hanno visto cadere le torri sperimentando una forma di eccitazione collettiva per la grandezza dell’evento e un terrore profondo per la possibilità di essere coinvolti prima o poi in un evento analogo di morte e devastazione.

L’attentato dell’11 settembre ha lo stesso potenziale spettacolare di un disaster-movie, ma contiene in nuce l’orrore e l’angoscia della possibile riproducibilità nella normale realtà quotidiana di ognuno di noi.
Un tale effetto è raggiunto anche perché l’avvenimento è concentrato nel tempo e nello spazio, quasi obbedisse ai canoni della tragedia aristotelica: si esaurisce in poche ore, in un unico luogo, all’interno di un perimetro ristretto.

Assume così un carattere "esemplare", nel senso che tutti possono vederlo, comprenderlo e derivarne una lezione, in modo semplice e senza mediazioni di sorta..
Con le twin towers è stato quindi fissato una sorta di standard, anche mediatico, del terrore. Uno standard che condiziona, inevitabilmente, i modi per raccontare e far comprende re un attentato terroristico.
Se guardiamo alla tragedia di Madrid, è facile capire come la possibilità di rispettare tale standard non sussista. L’evento non avviene in un unico luogo, ma in più luoghi corrispondenti alle stazioni e alle tratte ferroviarie coinvolte; si svolge in contesti visualmente dispersivi, come sono appunto le zone ferroviarie, con il loro dedalo di binari e infrastrutture; coinvolge un mezzo, il treno, difficile da rinchiudere nell’occhio della telecamera perché si sviluppa orizzontalmente (mentre le tecnologie grandangolari consentivano interessanti ed efficaci tecniche di riduzione della verticalità dei grattacieli di Manhattan); malgrado tutto si svolga nell’arco di meno di mezz’ora, l’unità di tempo è rotta dalla scansione temporale delle esplosioni, ognuna delle quali diventa un micro-evento.

Di fronte a tale complessità, la televisione ha cercato di adottare una tecnica narrativa centrata sulle persone, sulla sofferenza dei corpi e sul dolore degli animi. La spettacolarità dell’evento nella sua interezza è stata sacrificata alla necessità di renderlo comprensibile riducendolo allo schema "banalizzante" ma drammaticamente familiare dell’esibizione dei morti e dei feriti

Proprio in mancanza di nuove immagini video identificative di quest’ultimo attentato (niente deflagrazioni in diretta o gente che scappa terrorizzata) i mass media hanno inteso comunicare l’evento tragico riproponendolo in scala rispetto a quello dell’11 settembre.

Non a caso, in primo luogo, è stato messo in evidenza il collegamento temporale tra i due eventi: 11 settembre - 11 marzo.
La storia insegna che ogni evento che ha apportato un significativo cambiamento per la società civile viene sempre identificato con una data, in questo caso si è voluto dare risalto alla coincidenza numerica dei due casi.

Come se il numero sfortunato non fosse più 13 o 17, ma 11.

In secondo luogo si è voluto puntare sulla tragicità reale dell’evento riproponendo collegamenti telefonici tra le vittime e i propri parenti durante quei drammatici attimi. Stessa cosa avvenne nell’attacco alle twin towers.

Inoltre c’è da considerare che New York e Madrid sono entrambe il fulcro economico e politico delle nazioni colpite di conseguenza il numero di vittime è stato proporzionale all’estensione del territorio considerato; in poche parole si è voluto riprodurre l’evento in scala… tranne la paura e il terrore che si è ritrovato nuovamente sui volti delle persone.

Resta da verificare se questa proporzione è stata una strategia comunicativa per catturare l’attenzione delle persone, cercando di far riaffiorare l’angoscia e il terrore, oppure se il raffronto è stato spontaneo nella mente di coloro che sono rimasti per la seconda volta attoniti di fronte a tanta drammaticità.

E’ come se nella comunicazione contemporanea le immagini fossero le protagoniste, come se parlassero da se come accompagnati da una voce fuori campo che spiega l’accaduto.

I mass media stanno quasi assumendo una mera funzione di mezzo, di intermediari di sole immagini, il loro compito sarà solo quello di montare le immagini e renderle più realistiche possibili.

Guardare un evento drammatico ha la stessa valenza che raccontarlo.

Tale compromesso è stato accettato a malincuore dalla televisione che, non a caso, si è poi subito gettata sullo spettacolo potente e suggestivo delle imponenti manifestazioni di piazza. Solo nella visione straordinaria di una folla di inconcepibili dimensioni lo spettatore televisivo ha potuto cogliere, seppur di sfuggita, il sublime dell’evento madrileno.