Nella persuasione di riuscire ancora a «stupire».
«L’uomo fa più di quanto sa e spesso non sa quello che fa. Secondo Vico, ogni civiltà ha un suo corso fondamentalmente progressivo, il quale, giunto al suo apice, si arresta ed entra in crisi. La storia, per Vico, non è uno sviluppo ininterrotto e irreversibile, in cui non vi sia errore, male o decadenza, né la ragione è destinata per forza a trionfare». Per avere uno scambio illuminante sulle proprie convinzioni personali e culturali, sui valori e gli atteggiamenti attraverso i quali ci si mette in relazione con il mondo; nella ricerca di quella qualità che ci possa rendere speciali e migliori come già in altri tempi e circostanze; nel disperato desiderio di conservare e far vivere lo spiraglio di democrazia tuttora aleggiante, mentre sono molte le preoccupazioni per la sopravvivenza “politica”, una lettura riflessiva di alcuni concetti di filosofia classica e alcuni cenni di filosofia applicata alla pratica ci confortano e ci si sente partecipi.
Gli uomini hanno bisogno della cultura e dell'organizzazione politica perché sono creature prive di doti naturali, per garantire loro: incolumità e benessere. Tutti si deve partecipare a queste due virtù “politiche”. Esse non vanno viste come connaturate all'uomo, bensì come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che è trasmesso in maniera consapevole. Come nota G. Cambiano (Platone e le tecniche, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 3-13) Il mito narrato da Protagora rappresenta la società come un immenso apparato educativo: l'uomo si identifica con l'animale sociale, ed è tale solo perché possiede la “tecnica” politica. E in un ambiente in cui una determinata tecnica sia al centro dell'interesse sociale, tutti ne divengono almeno discreti possessori. Il sofista non insegna la tecnica politica, ma la perfeziona e fa progredire gli altri nella conoscenza - integrando dunque l'educazione tradizionale con una tecnica sofistica. Questo giustifica sia la struttura democratica ateniese, sia il compito del sofista: ma una simile giustificazione funziona solo nella misura in cui i valori della società sono compatti e non conflittuali. Soltanto con questo presupposto, infatti, è possibile pensare la tecnica politica come distribuita in tutti. Se questo presupposto viene meno, il rapporto fra tecnica e politica deve fare i conti con i problemi “prometeici”: come organizzare politicamente un sapere che fin dalla sua origine non è distribuito in modo uniforme?
Nota, ancora, G. Cambiano: Nella cultura greca arcaica le tecniche non erano un prodotto storico, soggetto ad essere inventato, ma una prerogativa di divinità. Ma l'accrescersi della divisione del lavoro mostrò che la tecnica è un insieme storico di procedure che si acquisiscono e si rinnovano nel tempo. Se concepire la divinità come portatrice di tecniche significa antropomorfizzarla, allora la critica all'antropomorfismo teologico conduce a dare agli uomini ciò che è degli uomini. Ma la visione tecnica del mondo presuppone una realtà imperfetta e mutevole… le technai sono il modello del sapere: la loro forza e la loro debolezza si fonda sulla delimitazione di un campo di competenza, connesso al loro oggetto. Questa delimitazione garantisce loro la possibilità di costruire, entro i propri ambiti, criteri univoci di correttezza, ma pone il problema del senso e del coordinamento complessivo delle tecniche. … Le tecniche si muovono in un mondo di conflitti possibili, cioè in un mondo che non è mai né tanto disordinato da non essere riconducibile a un ordine, né tanto ordinato da non poter diventare disordinato… Non siamo mai né nel sapere assoluto, né nella ignoranza assoluta: il nostro sapere è sempre un ricordare - un chiarire per se stessi e per gli altri - nel quale trasmissione, ricerca e apprendimento sono reciprocamente congiunti in un processo senza fine… il problema del sapere è inestricabilmente legato, in Platone, al problema della comunicazione del sapere.
Corsi e ricorsi storici: «Non c'è dubbio che la ragione fondamentale del successo della “Trilogia” sta nel fatto che si tratta di un libro di storia. Chi vi si addentra, può non conoscere Gibbon, Toynbee o Marx, ma la sua reazione sarà certamente quella dell'amatore di storia che si aspetta dallo “specialista” un racconto e insieme una spiegazione del racconto: lieto abbandono al possente fiume degli avvenimenti, ammirata gratitudine per l'autore che ha capito tutto e ci conduce con mano esperta nel labirinto, piacere per ogni nuovo groviglio che si forma dopo lo scioglimento del precedente, assoluta fiducia nella plausibilità delle connessioni, delle corrispondenze, degli incastri». Così Fruttero e Lucentini, due dei maggiori esperti di fantascienza italiani, introducono la saga della Fondazione (o Trilogia galattica) nella sua ultima edizione pubblicata (Mondadori 2004).