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Spigolature di cultura.

30/06/2012 11115 lettori
5 minuti

L’annosa questione dello «scontro» tra le due culture ha, in Italia, un punto critico particolare nell’insegnamento scolastico, almeno dalla riforma Gentile (1923). Mentre l’insegnamento delle discipline umanistiche si basa su di una forte struttura storica che regge e inquadra la didattica, quello delle discipline scientifiche è offerto come un insieme di verità atemporali. Più che il metodo scientifico, la scuola italiana trasmette «ricette» estranee alla situazione storica e sociale.

 

Difficilmente la scuola offre percorsi di conoscenze proprie di diverse discipline che possano mostrare agli studenti l’unità della cultura e i continui travasi che caratterizzano l’evoluzione o l’involuzione del pensiero. Gli stessi studenti si trovano poi ad affrontare i corsi universitari dall’una o dall’altra parte di questa ideale «barricata», con il rischio di un impoverimento generale della cultura del nostro paese. Contestualizzazione e interdisciplinarietà possono invece essere offerte come chiave per aprire agli studenti una diversa visione che investe le stesse materie umanistiche, lette nei loro rapporti vivi con la scienza contemporanea. Con un’avvertenza: alla divaricazione delle due culture contribuisce anche la distorsione che l’idea scientifica subisce nel travaso verso altri campi del sapere.

Si tratta tuttavia di un meccanismo di comunicazione utile per ragionare sui processi, i canali e gli stili della divulgazione scientifica, e sulla ricezione del messaggio nella società. Verso la fine dell’Ottocento molti scienziati ritenevano che la maggior parte delle leggi che regolano i fenomeni fisici fossero stati scoperti. In particolare sostenevano che tutti i moti conosciuti potevano essere studiati attraverso l’applicazione delle leggi di Newton e che tutti i fenomeni elettromagnetici erano ampiamente descritti dalle leggi di Maxwell. Il 25 marzo 1915 Albert Einstein presentò ufficialmente la teoria della relatività: una data che ha cambiato il corso della storia, imprimendo una svolta nella ricerca scientifica.

È un evento che si ricorda «relativamente» poco, rispetto ad altre date importanti per la storia del Novecento, forse per la difficoltà di spiegare a un pubblico non specialistico in cosa consista la teoria della relatività. La ragione per cui di solito soltanto il nome di Einstein è legato alla relatività è che il suo lavoro del 1905 non rappresentò che il punto di partenza per l’ancor più fondamentale «relatività generale», nella quale egli enunciava una nuova teoria della gravitazione aprendo nuove prospettive alla comprensione della struttura dell’Universo. Di lì a pochi anni, infatti, il fisico statunitense Edwin Hubble arrivò alla formulazione della teoria inflazionaria: fu la scoperta dell’espansione dell’Universo, avvenuta circa duemila anni dopo che il poeta Lucrezio scriveva proprio dell’infinità dell’Universo nel suo poema didascalico-filosofico De rerum natura.

La formulazione e le successive conferme della teoria della relatività causarono grosse ripercussioni sia in campo filosofico sia in altri ambiti culturali, oltre che all’interno delle scienze stesse. Un vero e proprio dibattito si sviluppò solo dagli anni Venti, ma già prima della guerra si ebbe una prima interpretazione delle sue conseguenze. Si affermarono correnti irrazionalistiche che interpretavano la costruzione teorica einsteiniana come l’ultima fase della crisi del sapere scientifico, iniziata nella seconda metà dell’Ottocento, che comportava la conseguente crisi di ogni certezza. Una critica alla concezione dello spazio e del tempo che Einstein aveva introdotto arrivò dal pensiero del filosofo Bergson, soprattutto con l’opera Durata e simultaneità (1922).

La riflessione del filosofo ebbe un impatto notevole sulla cultura e sulle arti visive in particolare. Infatti, l’irruzione della dimensione temporale nello spazio della pittura è un elemento di poetica che accomuna in pratica tutte le avanguardie d’inizio secolo, il cubismo e il Futurismo in primo luogo: la prima, volta a una più completa rappresentazione dell’oggetto attraverso molteplici punti di vista; la seconda, legata ad un insolito tentativo di figurazione pittorica della «quarta dimensione», il tempo. La scienza, «spazializzando» il tempo, lo snatura; inaspettatamente, però, la pittura si rivela in grado di ribaltare questo rapporto: attraverso una deformazione delle immagini spaziali, essa inventa l’effetto visivo di un tempo «vivo».

In un’Italia angusta, provinciale, stoltamente convinta di poter fare parte delle grandi potenze; in un paese dove l’industria era concentrata solo al Nord e l’agricoltura era in crisi; in un contesto culturale disuguale e ambiguo; in una realtà così incerta e contraddittoria lo scrittore italiano Luigi Pirandello, uno dei massimi drammaturghi del Novecento, in linea con tutta la coeva filosofia irrazionalistica, elaborò una sua visione frantumata dell’individuo e riuscì a conquistare con le sue opere quella statura internazionale che nel 1934 gli fu ufficialmente riconosciuta con l’assegnazione del Premio Nobel.

Dal vitalismo pirandelliano scaturiscono importanti conseguenze sul piano conoscitivo: se la realtà è in perpetuo divenire, essa non si può fissare in schemi e moduli d’ordine totalizzanti ed onnicomprensivi. Non solo, ma non esiste neanche una prospettiva privilegiata da cui osservare l’irreale: le prospettive possibili sono infiniti e tutti equivalenti.

Ciò comporta un radicale relativismo conoscitivo: ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Da ciò deriva un’inevitabile incomunicabilità tra gli uomini, poiché ciascuno fa riferimento alla realtà come gli appare, mentre non può sapere come sia per gli altri. Nulla ebbe, dunque, tanti risvolti culturali e determinò così numerose speculazioni intellettuali nel Novecento quanto la formulazione della teoria della relatività di Einstein: le sue scoperte hanno avuto un impatto rivoluzionario, i suoi effetti sono visibili ancora oggi nella fisica, ma anche in tanti aspetti della nostra vita quotidiana.

 
 
Fonte:

Le culture si parlano

Relatività e relativismo

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.