L’Opera dei Pupi siciliani patrimonio dell’UNESCO
L'UNESCO ha dichiarato il Teatro dell'Opera dei Pupi Capolavoro e patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità. Tra settembre e ottobre si è svolto il primo seminario per fare conoscere il mondo dei Pupi siciliani a degli studenti: universitari della «Sichuan International Studies University di Chongqing» (Cina) che hanno trascorso una residenza di studio presso l’Università di Palermo. Gli studenti cinesi in questo modo non hanno solo avuto la possibilità di conoscere la tradizione siciliana, ma hanno potuto manipolare un Pupo dell’Opera d’Arte.
Nell’era della tecnologia e della multimedialità, parlare di pupi evoca immediatamente immagini d’altri tempi: spettacoli di piazza, fra il vociare di piccoli e grandi, col rumore delle armature nei minuscoli teatrini polverosi. Ancora oggi sopravvivono alcuni pupari che cercano di mantenere viva la tradizione, alcuni proponendo per rappresentazioni per turisti e altri hanno una vera e propria rassegna teatrale. Oggi i Pupi realizzati con una struttura di legno alla base, sono riccamente decorati e cesellati e spesso indossano un’armatura che varia a seconda che sia eseguita dalla scuola palermitana o catanese. I Pupi siciliani, le tradizionali marionette da teatro che impersonano i personaggi del ciclo carolingio, si affermano sull’isola tra seconda metà del diciannovesimo secolo e la prima metà del ventesimo, ma la loro origine affonda le sue radici in tempi molto più remoti.
Secondo ciò che riporta l’ateniese Senofonte, allievo del celebre filosofo Socrate, un puparo di Siracusa allietò con le sue simpatiche marionette il banchetto offerto da Callia in onore di Autolico, vincitore di una gara atletica nel 421 a.C. Anche Socrate partecipava al convito ed espresse al puparo siracusano il desiderio di fare ballare le sue marionette, ed egli accontentò il filosofo, eseguendo la danza di Bacco e Arianna. A conclusione dello spettacolo, Socrate gli domandò inoltre, che cosa desiderasse per essere veramente felice e il puparo siciliano, gli diede quest’arguta risposta: «Che ci siano molti sciocchi, perché essi, accorrendo allo spettacolo teatrale dei miei burattini, mi procura da vivere!».
L'Opera dei Pupi si affermò nell'Italia meridionale: nella prima metà del diciannovesimo secolo a Napoli, grazie a Giuseppina d’Errico, chiamata «Donna Peppa» e in Sicilia, tra la seconda metà dello stesso secolo e la prima metà del ventesimo. Nel 2008 l'UNESCO ha iscritto l'Opera dei Pupi tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell'Umanità, dopo averla originariamente proclamata nel 2001. È stato il primo Patrimonio italiano a esser inserito in tale lista. Riccamente decorati e cesellati, con una struttura di legno, i pupi avevano delle vere e proprie corazze e variavano nei movimenti secondo la scuola di appartenenza palermitana o catanese. La differenza più evidente stava nelle articolazioni: leggeri e snodabili i primi (comunque difficili da manovrare), più pesanti e con gli arti fissi i secondi (ma più semplici da manovrare).
Il puparo, curava lo spettacolo, le sceneggiature, i pupi, e con un timbro di voce particolare riusciva a dare suggestioni, ardore e pathos alle scene epiche rappresentate. I pupari, pur essendo molto spesso analfabeti, conoscevano a memoria opere come la Chanson de Roland, la Gerusalemme liberata e l'Orlando furioso. Le armature che ammiriamo nei pupi del teatro dell’opera, però, non sono aderenti all’epoca, non sono quelle che portavano i cavalieri di Carlo Magno. Ogni pupo rappresentava tipicamente un preciso paladino, caratterizzato per la corazza e il mantello e gli spettatori usavano parteggiare per uno.
Immagine: Sicilia opera dei pupi siciliani