Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

L’Opera dei Pupi siciliani patrimonio dell’UNESCO

10/02/2014 13375 lettori
5 minuti

L'UNESCO ha dichiarato il Teatro dell'Opera dei Pupi Capolavoro e patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità. Tra settembre e ottobre si è svolto il primo seminario per fare conoscere il mondo dei Pupi siciliani a degli studenti: universitari della «Sichuan International Studies University di Chongqing» (Cina) che hanno trascorso una residenza di studio presso l’Università di Palermo. Gli studenti cinesi in questo modo non hanno solo avuto la possibilità di conoscere la tradizione siciliana, ma hanno potuto manipolare un Pupo dell’Opera d’Arte.

Nell’era della tecnologia e della multimedialità, parlare di pupi evoca immediatamente immagini d’altri tempi: spettacoli di piazza, fra il vociare di piccoli e grandi, col rumore delle armature nei minuscoli teatrini polverosi. Ancora oggi sopravvivono alcuni pupari che cercano di mantenere viva la tradizione, alcuni proponendo per rappresentazioni per turisti e altri hanno una vera e propria rassegna teatrale. Oggi i Pupi realizzati con una struttura di legno alla base, sono riccamente decorati e cesellati e spesso indossano un’armatura che varia a seconda che sia eseguita dalla scuola palermitana o catanese. I Pupi siciliani, le tradizionali marionette da teatro che impersonano i personaggi del ciclo carolingio, si affermano sull’isola tra seconda metà del diciannovesimo secolo e la prima metà del ventesimo, ma la loro origine affonda le sue radici in tempi molto più remoti.

Secondo ciò che riporta l’ateniese Senofonte, allievo del celebre filosofo Socrate, un puparo di Siracusa allietò con le sue simpatiche marionette il banchetto offerto da Callia in onore di Autolico, vincitore di una gara atletica nel 421 a.C. Anche Socrate partecipava al convito ed espresse al puparo siracusano il desiderio di fare ballare le sue marionette, ed egli accontentò il filosofo, eseguendo la danza di Bacco e Arianna. A conclusione dello spettacolo, Socrate gli domandò inoltre, che cosa desiderasse per essere veramente felice e il puparo siciliano, gli diede quest’arguta risposta: «Che ci siano molti sciocchi, perché essi, accorrendo allo spettacolo teatrale dei miei burattini, mi procura da vivere!».

L'Opera dei Pupi si affermò nell'Italia meridionale: nella prima metà del diciannovesimo secolo a Napoli, grazie a Giuseppina d’Errico, chiamata «Donna Peppa» e in Sicilia, tra la seconda metà dello stesso secolo e la prima metà del ventesimo. Nel 2008 l'UNESCO ha iscritto l'Opera dei Pupi tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell'Umanità, dopo averla originariamente proclamata nel 2001. È stato il primo Patrimonio italiano a esser inserito in tale lista. Riccamente decorati e cesellati, con una struttura di legno, i pupi avevano delle vere e proprie corazze e variavano nei movimenti secondo la scuola di appartenenza palermitana o catanese. La differenza più evidente stava nelle articolazioni: leggeri e snodabili i primi (comunque difficili da manovrare), più pesanti e con gli arti fissi i secondi (ma più semplici da manovrare).

Il puparo, curava lo spettacolo, le sceneggiature, i pupi, e con un timbro di voce particolare riusciva a dare suggestioni, ardore e pathos alle scene epiche rappresentate. I pupari, pur essendo molto spesso analfabeti, conoscevano a memoria opere come la Chanson de Roland, la Gerusalemme liberata e l'Orlando furioso. Le armature che ammiriamo nei pupi del teatro dell’opera, però, non sono aderenti all’epoca, non sono quelle che portavano i cavalieri di Carlo Magno. Ogni pupo rappresentava tipicamente un preciso paladino, caratterizzato per la corazza e il mantello e gli spettatori usavano parteggiare per uno.

 

Immagine: Sicilia opera dei pupi siciliani

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.