Una Sicilia memore della sua antica dignità.
La mia Sicilia! Qualcuno dica basta: «L’autonomia sarà cosa santa e giusta ovunque, ma in Sicilia no, è un flagello e trascina nel baratro l’Italia.» È Pietrangelo Buttafuoco che con artificio del discorso, nel suo nuovo libro, volto a creare un particolare effetto, caratterizza con un epiteto la Sicilia nella sua autonomia regionale: «Fonte di sprechi e burocrazia in un flusso che nutre l’arretratezza economica e sociale in un pezzo importante del Mediterraneo». È un attacco duro e malinconico contro una terra che, dall’autonomia storica alla «gestione dell’ars di Crocetta, resta il simbolo dell’italico declino».
Finito di leggere il libro, da poco uscito, di Pietrangelo Buttafuoco, mi appresto a seguire man mano che si pubblicano le varie recensioni, peraltro divulgate in gran numero: indice di sentito interesse. Il fine? Potermene fare una ragione per avere lasciato la terra natia da giovinetto ancora inesperto e non aduso alla politica se non per la dipendenza delle letture per quell’età consentite. Riporto a seguire alcune citazioni di una certa efficacia ed uno stralcio del pamphlet di Pietrangelo Buttafuoco, appena letto: «Vi è una Sicilia “babba", cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta", cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode - e ancora - vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio».(Gesualdo Bufalino)
Nel suo stile del discorso Pietrangelo Buttafuoco usa, con l’insieme delle mosse linguistiche artefatte, la visione corrente della retorica: tiene conto della sua articolazione e comprende gran parte dei temi dibattuti dalle discipline logiche, filosofiche e linguistiche, della sua millenaria storia, nella quale essa coinvolge ambiti di sapere oggi distinti e specifici, come la filosofia, la politica e la dialettica, e perfino quelle che in epoca moderna si son chiamate comunicazioni di massa. Annoverandomi nella Sicilia «babba, cioè mite, fino a sembrare stupida», nel frastuono dei talk show:«spettacolo di parola che fa dell’opinione e della chiacchiera il suo centro spettacolare», isolo e riporto parte di uno dei capitoli del pamphlet «Buttanissima Sicilia» che più mi avvince, mi coinvolge e attrae. «La bellezza è bella, solo che certe volte sembra che la bellezza sia anche prepotente: si impone con una specie di forza, vuole subito tutta l’attenzione».
Confessatelo vedete la parola «Gattopardo» e vi scappa da dire: «Diocenescampi, basta!» Basta, è vero, basta più. il capolavoro di Tomasi di Lampedusa è ormai un automatismo e non c’è sussiego in tema di società, costume e politica che - con gli occhi al cielo - non concluda infine ogni blabla con la smorfia definitiva: «Proprio così, è gattopardesco tutto ciò.» Abbiate pazienza, ancora un attimo: qui nessuno dirà che dopo i gattopardi verranno le iene, gli sciacalli e i cani di mannera. Siamo pur sempre vecchi, vecchissimi, tutto ciò che odora di morte ci appartiene ma non si ripeterà, con Tancredi che tutto cambia per non cambiare, no. Seguiteci ancora per qualche riga e capirete perché facciamo nostro il fasto sbrecciato di un mondo che non c’è più: per scoperchiare un capitolo della nostra identità e capire tutti insieme cosa fummo fino ad appena ieri quando di un romanzo di «destra”, qual è quello di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, grazie a Luchino Visconti, la macchina culturale nazionale poté ricavarne un successo di «sinistra».
Ecco, fate mente locale sulle coppie che ancora ballano mentre l’orchestra è stanca, il pavimento è sporco e i capelli delle signore sono ormai in disordine. Osservate in dettaglio i boccolotti da cocker di Concetta, la figlia dolcissima del principe di Salina, sfregiata dal rancore verso il cugino. Guardate adesso Angelica, ovvero Claudia Cardinale. Ha il suo broncio tutto velato di bianca biacca e il conte Visconti le insegna il modo migliore, in assenza di rossetto, per darsi un po’ di rosso intorno al sorriso:«Mordi le labbra, mordi...» Ci sarà da ragionare in questo articolo intorno alla destra e alla sinistra ma leggendo il libro di Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice - Operazione Gattopardo. Come Visconti trasformò un romanzo di destra in un successo di sinistra (Le Mani) - un vero colpo di scena, lo ricaverete con una rivelazione di natura sentimentale: Tancredi, in realtà, pur sposando Angelica, Concetta non l’aveva mai dimenticata.Perdonate la parentesi ma l’amore è tiranno, padrone d’infiniti capricci.
Qui non si cede alle svenevolezze ma eros vince sempre, vince sempre chi fugge e così via e però è il cortocircuito destra-sinistra l’argomento più urgente da discutere perché poi, anche le «lucherinate» del grande Enrico Lucherini, intervistato dagli autori, tra le tante perle offerte (“arredatore”, così il press agent dei divi definisce Visconti), ce n’è una che proprio ci fa sobbalzare: «Trombadori non sapeva scrivere di cinema, però forse Visconti gli faceva leggere la prima stesura e lui gli dava dei cambiamenti: qui puoi mettere questa cosa, qui questa... Però proprio Il Gattopardo era molto legato al romanzo. Che è anche un romanzo di rottura.» Attenzione, adesso sobbalziamo: «Perché la parte di Serge Reggiani», racconta ancora Lucherini ai due autori del saggio, «è la parte di un uomo di sinistra; anche quando arriva Chevalley lì secondo me è intervenuto Trombadori.»…(Segue)