Simone Weil: una vita per le regioni del sociale
Simone soffre, fin dall'adolescenza, di forti e ricorrenti emicranie; a quattordici anni si scontra con la sua prima crisi esistenziale. La ragazza si convince di esser stata avvelenata nel corso della prima infanzia, spiegando ai conoscenti che «per questo sono tutta da rifare». Come forma di ribellione, assume un aspetto trasandato e mascolino, decisamente contrario alle convenzioni borghesi. Anche per senso di competizione verso il fratello, si firma nelle lettere ai genitori con l'espressione «il vostro figlio devoto», e la madre Selma, stando al gioco, declina al maschile il nome di lei, chiamandola «Simon». Eppure la giovane è considerata, per la sua bellezza, un soggetto degno di Murillo, tanto che ai genitori viene consigliato di farle fare del cinema. Ricorderà così la crisi dei quattordici anni: «Ho seriamente pensato alla morte, a causa delle mie mediocri facoltà naturali. Le doti straordinarie di mio fratello [...] mi obbligavano a rendermene conto. Non invidiavo i suoi successi esteriori, ma il non poter sperare di entrare in quel regno trascendente dove entrano solamente gli uomini di autentico valore, e dove abita la verità. Preferivo morire piuttosto che vivere senza di essa. Dopo mesi di tenebre interiori, ebbi d'improvviso e per sempre la certezza che qualsiasi essere umano, anche se le sue facoltà naturali sono pressoché nulle, penetra in questo regno della verità riservato al genio, purché desideri la verità e faccia un continuo sforzo d'attenzione per raggiungerla».
Fra il 1919 e il 1928 studia in diversi licei parigini, dove ha come professori di filosofia René Le Senne e Alain. In particolare è il pensiero di Alain, Émile-Auguste Chartier, detto Alain, è stato un filosofo, giornalista, scrittore e professore francese, a influenzarla, come rileva la Pétrement, sua compagna al liceo Henri IV, secondo la quale, sebbene la Weil si distanzi dalla riflessione alainiana, sviluppa tuttavia la sua filosofia proprio a partire da quella di Alain «prolungandola anche quando sembra opporvisi». I primi scritti weiliani sono degli elaborati per il maestro Alain, propriamente dei topoi (τόποι), «saggi che scrivevamo spontaneamente per lui su argomenti di nostra scelta [...]. Simone ne consegnò spesso e senz'altro vi era particolarmente interessata». Come nota il critico Marianelli, «i due topoi, elaborati all'età di sedici e diciassette anni, mostrano chiaramente la familiarità della Weil per miti e racconti popolari che riempivano da bambina le sue giornate». Precisamente attorno al tema del mito si gioca la presa di distanza della Weil dal maestro Alain: «Mentre Alain vede nella mitologia, come scrive Durand, "solo l'infanzia confusa della coscienza", al contrario la Weil legge nei miti immagini del Divino che dà a pensare: il mito rimanda ad una realtà che da sempre si dà senza che sia l'uomo a porla».
Attratta dal senso formale di Cartesio, cui dedicherà la propria tesi ella mostra un rigore che la distingue dai suoi coetanei, dei quali, pur condividendo gli interessi politici, teme l'amicizia e gli slanci amorosi; pensa infatti che, proprio nell'amore, si annidino il desiderio di dominio, il narcisismo, l'impurità – e che esso, come la vera amicizia, debba restare segreto – avvertendo una vocazione alla verginità: «Il concetto di purezza, con tutto ciò che la parola può implicare per un cristiano, si è impadronito di me a sedici anni, dopo che avevo attraversato, per qualche mese, le inquietudini sentimentali proprie dell'adolescenza. Tale concetto mi è apparso mentre contemplavo un paesaggio alpino e a poco a poco si è imposto a me in maniera irresistibile».
«L'amicizia è guardare da lontano e senza accostarsi», annota in seguito, compenetrata dell'idea che la distanza sia la misura da rispettare in rapporto ai beni preziosi e che questi non debbano essere cercati, ma attesi. Introdotta da Alain ad amare Platone e Kant, dal cui pensiero non si sarebbe più slegata, viene soprannominata «la marziana» per la sua diversità, ed è presto ribattezzata «l'imperativo categorico in gonnella». La Pétrement riferisce, infatti, le parole di Simone «a proposito di quelli che non vivono in conformità coi loro princìpi: "Quel che non sopporto è che si transiga". Faceva a quell'epoca un gesto della mano, orizzontale e come per tagliare, che sembrava l'espressione stessa della sua intransigenza». Un esempio di tale atteggiamento è quando, avendo appreso della carestia in Cina, discute con una giovane de Beauvoir, all'epoca studentessa come lei, affermando di avere a cuore solo «la Rivoluzione che avrebbe dato da mangiare a tutti»; o quando, camminando per i giardini del Lussemburgo, Simone piange e afferra la giacca di un malcapitato studente, chiedendogli: «Come puoi ridere quando in Cina ci sono bambini che soffrono?».
Ella, d'altra parte, adora la fredda audacia della ragione e ne coltiva i paradossi: superata la tentazione di dedicarsi come il fratello alla matematica, sceglie di consacrarsi alla filosofia, affascinata dalla concezione determinista di Lucrezio, Machiavelli, Spinoza e Marx, anche se di quest'ultimo scriverà: «Quando, ancora nell'età dell'adolescenza, ho letto per la prima volta Il Capitale, alcune lacune, talune contraddizioni di grande importanza mi sono subito saltate agli occhi. [...] negli anni successivi, lo studio dei testi marxisti, dei partiti marxisti o sedicenti tali, e degli avvenimenti stessi non ha potuto che confermare il giudizio della mia adolescenza».
Fonte: Da Wikipedia