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La pubblicità, dunque, muore

16/08/2005 16171 lettori
5 minuti

Ed ecco che il settimanale generalista più venduto al mondo, Newsweek, annuncia per la prima volta salta un numero ad agosto a causa della mancanza di pubblicità.

Terrorizzati, riferisce il numero corrente di Prima Comunicazione, i boss della pubblicità americani si sono riuniti a Princeton per discutere la crisi della pubblicità: gli spot da 60 secondi non funzionano più, e le grandi imprese hanno iniziato la fuga dalla televisione.

Così, scrive Guido Vitale in un articolo che dovrebbe essere riletto, Dave Verklin di Carat Americas, Rick Seirvidis di General Motors Mediaworks, Burt Manning di J. Walter Thompson e Mike Kubin di Ionic Marketing hanno dovuto prendere atto che le profezie dei guru di Internet e delle tecnologie fatte appena qualche anno fa sono divenute -- ahiloro -- realtà: 'L'audience è finita in pezzi'.

Attento come sempre, il capo dei pubblicitari italiani Giulio Malgara -- fondatore nel 1984 (e presidente a vita) di Auditel -- citava proprio il dialogo con Antonio Tombolini pubblicato da questa colum, come ispiratore del suo intervento al convegno ('Protagonismo televisivo e nuovi consumi') promosso a Roma da Mediaset lo scorso 29 aprile.

La fine del 30-second spot e il target squagliato

A preoccupare un altrimenti raggiante Malgara -- che nonostante la crisi economica più grave dal dopoguerra -- assiste ai profitti record delle aziende concessionarie della pubblicità televisiva nazionale -- Sipra e Pubblitalia -- è l'osservazione di Tombolini per cui:

La pubblicità non è viva se fa vendere di più, ma se fa guadagnare di più; perché il costo pagato dagli inserzionisti necessario a ripagare l'investimento è sempre più elevato col risultato che i costi finiscono per superare i profitti generati dalla pubblicità.

Ovvero, gli fa eco Ken Auletta: 'Oggi, per ottenere lo stesso risultato di un tempo uno spot dovrebbe essere martellato per 125 volte'.

Quindi, nella società della comunicazione in cui i cittadini vengono bombardati senza sosta da immagini e suoni tutti tesi a stimolarne gli acquisti, le persone ormai sature di informazioni non reagiscono più agli stimoli se non a dosi da società orwelliana.

Nel frattempo però che si raggiungano questi livelli, i 412 cittadini su mille della ricca Germania che hanno ormai accesso ad Internet fanno compagnia a voi che leggete questa column nel ritrovare on-line (e gratis) gli oggetti del proprio interesse: amici, musica, news, dibattiti, sport, politica, viaggi, cultura.

E con loro i 160 italiani su mille, inclusa la pressoché totalità dei giovani, target così tanto agognato dalle agenzie pubblicitarie che invece se n'è andato a Nikki Beach.

Naturalmente, il pubblicitario Malgara crede che 'imprese e tv abitano galassie eguali e che in tempi di portafogli molto riflessivi (i.e. con i budget decurtati dalla crisi)' le imprese debbano imparare 'a drizzare le orecchie perché il sentiment, la percezione delle cose, il modo di sentire del consumatore è, ancora una volta, la chiave di tutto'.

In pratica, spiega ancora il presidente di UPA (Utenti Pubblicità Associati), questo significherebbe 'che lo spettatore non sia più disposto a vivere soltanto un ruolo passivo, ma reclami un ruolo di protagonista nella società della comunicazione'; per cui 'vi sono segnali forti che fanno pensare che non occorrerà aspettare una più larga penetrazione del digitale terrestre, ma che l'interazione col pubblico avviene già oggi, nella vecchia tv generalista, semplicemente con l'avvento degli sms'.

In breve, conclude il mancato presidente della Rai, 'la comunicazione dovrà capire presto quali saranno le sue carte vincenti. Contenuti nuovi per riempire i palinsesti. Prodotti nuovi per nuovi profili di consumatore' dato che oggi 'il consumatore-telespettatore non è più disposto a ridiventare un numero di abbonato, un codice di smart card, anonimo riferimento statistico: la tv della parola deve restituire voce alle vecchie masse indistinte'.

Infine, 'si costituirà una comunità frastagliata che vuole contarsi e contare. Partecipare'.

La pubblicità non funziona più: Parmalat e Barilla

Ma la distanza fra la realtà e queste parole dette a un convegno, la rendono bene i numeri del conto economico di Parmalat prima e di Barilla oggi.

Entrambe le maggiori imprese italiane dell'alimentare hanno alimentato -- e continuano a farlo, inclusa la nuova Parmalat commissariata dal governo -- una pubblicità massiva su tutti i mass media e ovunque siano presenti i loro prodotti.

Le vendite erano enormi; eppure Parmalat non pagava il latte ai fornitori ed è fallita per 14 miliardi di Euro; mentre Barilla affronta la più grave crisi dalla fondazione con la chiusura di impianti e licenziamenti che non lasciano sperare nulla di buono anche per la multinazionale italiana della pasta.

Che fare? Tornare a comunicare

L'ironia, pensando al livello della programmazione televisiva nazionale di Rai e Mediaset e alla banalissima e indistinta pubblicità modello 'sesso&mare' in onda sulle reti nazionali, sarebbe facile.

Ma si finirebbe solo per contribuire al cinismo tutto italiano che vorrebbe fare della qualità nella comunicazione un lusso per nordeuropei o, come le chiama Malgara, per le 'teste d'uovo' (ovvero, gli inutili intellettuali).

E invece, le imprese italiane devono tornare a comunicare.

Ma comunicazione significa dialogo: confronto.

Non certo il pulsantino su cui cliccare sbeffeggiato da Beppe Grillo nelle sue invettive contro il digitale terrestre.

I mercati sono conversazioni. E nel libero mercato bisogna imparare a conversare.

Ora, le imprese -- specie le più grandi -- odiano la comunicazione. E ad essa dedicano team di specialisti dediti giornalmente all'elaborazione di un'immagine artefatta che va dalla pubblicità -- interamente affidata ad esperti esterni: le agenzie pubblicitarie -- alle attività di relazioni pubbliche: un modo elegante per significare manipolazione del pubblico e attività di lobbying presso le autorità politiche.

Ed è questo, Giulio, che al tempo di Internet non funziona più.

La mancanza di autenticità. E l'incapacità di interagire con gli individui portatori di interesse nelle attività aziendali: i clienti, che le imprese non sanno ascoltare. E tutti quelli che, per un motivo o per l'altro, hanno qualcosa da dire sull'azienda, sui suoi prodotti e su tutto quello che un'azienda fa o omette di fare.

Lo scopo dell'impresa è realizzare profitti; e non regalare il denaro faticosamente conquistato a concessionari ormai inutili che speculano sulla rendita di posizione garantita dal fatto di essere in due o in tre a farsi 'concorrenza'.

Che senso ha regalare alcuni miliardi di euro ai canali televisivi nazionali e alle pagine di quotidiani e riviste ormai privi di ragion di vita, quando basterebbe aprirsi un sito web realmente interattivo e trasparente per comunicare con gli utenti?

Che senso ha restarsene chiusi negli stabilimenti e negli uffici, quando basta andarsene in giro per le piazze a parlare di sé con le persone -- le persone, Giulio, e non la 'gente'?

Eppure, non è questo che ha fatto Sky quando vide che la pubblicità televisiva non funzionava, e affittati dei tir se mandò in giro le persone a spiegare alle altre persone che cos'era la televisione satellitare?

Che senso ha aver dimenticato in due anni la lezione di Fulvio Zendrini e dei suoi Palatelecom con cui l'impresa, invece del delirio di onnipotenza trasmesso dalle immagini del Mahatma Gandhi e di Marlon Brando, portava le persone vicino all'impresa?

Un senso, naturalmente, ce l'ha.

Ed è che i proprietari delle reti televisive; gli editori della carta stampata; i comuni affamati di denaro che licenziano le loro città alla pubblicità; e le migliaia di dipendenti della tv pubblica in eccesso rispetto a qualsiasi dimensione razionale dell'organico, sarebbero tutti ben felici di potersi continuare a spartire ogni anno i miliardi di una comunicazione d'impresa che -- semplicemente -- non è tale.

E che invece si chiama pubblicità. E che, lo dico all'intelligenza degli imprenditori che vogliono far vivere le loro imprese negli anni che abbiamo di fronte -- sta morendo.

Anni che giustamente Giulio Tremonti chiama 'di ferro'; ma che invece, imponendoci di cambiare tutto, portano in grembo un'evoluzione ecologica che libererà gli spazi tanto delle nostre città che dell'etere che tornerà ad essere utilizzato per far crescere -- informare e formare -- gli individui.

Mentre le imprese torneranno nella piazza del mercato dove sono nate.

Come dice Jack Hayes di American Express citato da Prima: 'Non abbiamo la sensazione di ottenere l'impatto desiderato, ma solo quello di produrre un annuncio pubblicitario fra gli altri. Stiamo cercando nuove strate per raggiungere i consumatori'.

Mario Pagliaro
Mario Pagliaro

Mario Pagliaro

Ricercatore chimico al Cnr presso la sede di Palermo dell'Istituto dei materiali nanostrutturati (Ismn) e formatore manageriale con la P Management & Areté, nel 1998 ha fondato al Cnr la Scuola di formazione manageriale nota come "Quality College del CNR" e stabilito a Palermo una nuova Scuola di Chimica di standing internazionale. 

E' autore di di un libro di management; co-autore di 3 brevetti e di svariate pubblicazioni scientifiche relative a scoperte chimiche di rilevanza industriale.

Column e blog

Background professionale

Il Dr. Pagliaro ha un dottorato di ricerca conseguito nel maggio 1998 a Bologna con la tesi "Ossidazioni selettive di carboidrati" svolta quasi interamente (1994-97) all'estero con i suoi maestri: David Avnir a Gerusalemme e Arjan E.J. de Nooy nei Paesi Bassi. 

Auditor ambientale qualificato, è laureato (cum laude) in chimica a Palermo nel 1993 con la prima tesi di laurea italiana di applicazione della  geometria frattale alla chimica (“Caratterizazione strutturale di catalizzatori  di palladio supportato su silice”). Fra il 1993 e il 1994 si è formato in Olanda, prima alla Rijks Universiteit di Leiden e poi al TNO Food Research Institute di Zeist. Ha lavorato al Cnrs di Grenoble (con Michel Vignon), al Politecnico di Aachen con Carsten Bolm e all'Ecole Nationale de Chimie di Montpellier con Joel Moreau e Michel Wong.

Ricerca e trasferimento tecnologico

A Palermo il Dr. Pagliaro collabora con Rosaria Ciriminna e con ricercatori di 9 Paesi a nuove ricerche su materiali catalitici di interesse dell'industria della chimica fine e lavora al trasferimento tecnologico delle scoperte; ha infatti co-inventato svariati nuovi materiali e processi chimici principalmente nei campi della catalisi di ossidazione per la produzione di fine chemicals, nella sensoristica per la detezione dell'ossigeno, e nella conversione di biomasse come la glicerina e i polisaccaridi

Formazione

Autore del libro Scenario: Qualità, offre alle imprese interessate una P Management&/Areté. In 5 anni ha formato con il Quality College del Cnr centinaia di dirigenti e giovani di tutta Italia su temi manageriali strategici per le imprese facendo intervenire ai suoi corsi alcuni fra i protagonisti italiani dell'imprenditoria, del management e dell'alta formazione.

Management

Rientrato dall'estero nel 1998, ha riorganizzato il suo Istituto stabilendo una molteplicità di nuove relazioni con Scuole scientifiche e formative di tutto il mondo; dotandolo di nuove risorse finanziarie con i fondi ricavati dalle attività di formazione del Quality College, e di nuove infrastrutture di laboratorio e sistemi di comunicazione.

Nel 2004 ha co-realizzato il nuovo sito web del Cnr di Palermo.

Collaborazioni e associazioni

Collabora con ricercatori di 9 Paesi, incluso Israele, ed è membro dell'Associazione italiana responsabili qualità aziendali oltre ad essere stato scelto fra i "Friends and Family" di SustainAbility, la migliore consulenza internazionale nel campo della sostenibilità dell'impresa.

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