Quale futuro per la Comunicazione pubblica?
Parliamo di Comunicazione pubblica con Stefano Martello, autore, insieme a Gennaro Pesante, del libro “Santi, Poeti e Comunicatori” (Fara Editore), un colloquio ironico e informale che analizza le lacune della Legge 150/2000 e riflette sulle motivazioni che non ne hanno permesso la corretta applicazione.
Partiamo dal titolo del libro. Santi, Poeti e Comunicatori: tre categorie di persone che hanno in comune…cosa?
In un mondo ideale direi che queste tre figure hanno in comune la voglia di interagire con chi li circonda. La voglia di portare avanti un messaggio in cui credono, attraverso l’unica arma degna di un uomo: le parole.
Nella realtà i Santi sono una specie protetta, con serie difficoltà di riciclo nelle realtà aziendali, e, visto che non riescono ad inserirsi, hanno pensato bene di emigrare verso lidi più consoni.
I Poeti – e qui parlo con cognizione di causa, avendo pubblicato due libri di poesia - sono attratti dalla prospettiva di fare colpo su qualche donna ingenua e sprovveduta, ma hanno anche tempi molto stretti, perché dopo due ore l’inganno cade miseramente.
I Comunicatori non hanno certo problemi di riciclo (pubblicità, pubblica amministrazione, enti in generale), ma la gente – soprattutto i datori di lavoro – si stanno accorgendo che vendono aria fritta e stanno iniziando ad allontanarli dalle cene sociali.
Oddio, qualcosa hanno in comune anche oggi: la precarietà dell’esistenza.
Stefano Martello, nel libro anima un dibattito sulla 150, nella vita cosa fa?
Cerco quotidianamente di guadagnare i soldi per soddisfare i miei vizi: drammaticamente non si tratta di donne, ma di sigarette e libri! Lo faccio scrivendo articoli/saggi ed organizzando seminari. Nel tempo libero leggo, cerco di mettere a frutto gli insegnamenti sulla comunicazione interpersonale durante interminabili partite a Risiko e scrivo poesie per la ragazza che domani sarà la mia ex di turno.
Se Lei dovesse descrivere in poche parole il vostro libro, diciamo con un aggettivo, come lo definirebbe?
Come un punk che sorseggia una birra ad un ricevimento del Rotary: fuori luogo. Qualcuno potrà anche andare dal punk a dirgli – con minacce nemmeno troppo velate – di togliersi dalle scatole, ma forse altri gli consiglieranno di provare un Martini. A questi ultimi è dedicato il libro.
Giornalista, addetto stampa, portavoce. Tre figure professionali diverse, citate dalla Legge 150/2000. Ma sono anche tutelate da questa normativa?
La normativa legittima, in un certo qual modo, l’esistenza delle tre figure, attuando una tutela che però rimane, sostanzialmente, sulla carta e non si applica al piano reale. Questa legge è sicuramente un passo importante, ma abbiamo bisogno di una legittimazione professionale delle tre figure e di un loro adeguamento alle esigenze della vita di tutti i giorni. Ad esempio, per quanto riguarda il portavoce, il fatto che la normativa non preveda né un percorso di formazione, né altri requisiti particolari, ma solo la fiducia da parte del datore di lavoro, toglie credibilità al ruolo. E invece oggi le Istituzioni hanno bisogno di credibilità nel loro rapporto con i cittadini.
Perché si è sentito il bisogno di una legge come la 150? La Pubblica Amministrazione non comunicava con i cittadini prima del 2000?
La Pubblica Amministrazione comunicava, sì, ma con metodi molto diversi tra loro. Questa legge, invece, rende credibile il metodo stesso del comunicare. Secondo quanto afferma la 150/2000, dialogare oggi con i cittadini non è più una facoltà della Pubblica Amministrazione, ma diventa un diritto del cittadino e un dovere delle Istituzioni. Anche prima del 2000 la Pubblica Amministrazione dialogava con i cittadini, ma lo faceva in modo facoltativo, non come un obbligo, poiché la comunicazione non rientrava nella sua mission.
Comunicazione pubblica e Pubblicità: un accostamento azzardato o una realtà di fatto?
Sui libri è un accostamento azzardato, nella realtà i due settori sono sempre più vicini. Come ho già detto in altre occasioni, oggi c’è bisogno di sincerità da entrambe le parti e non di escamotage che nascondono i problemi. Affermare che si è fatto tanto nel settore B per non dire che si è fatto poco nel settore A vuol dire nascondere al cittadino la realtà. Bisognerebbe, invece, dire che si è fatto tanto nel settore B, ma che resta ancora molto da fare nel settore A.
Nonostante l’argomento tecnico, il vostro libro non sembra diretto solo agli “addetti ai lavori”, ma anche ai semplici cittadini. È per questo che avete scelto uno stile colloquiale ed ironico?
Lo stile ironico è il risultato ideale di un progetto di lavoro costruito sulla sincerità. Con Gennaro parliamo spesso di questi argomenti e ne parliamo non come due professori in cattedra, ma come due ragazzi di 30 anni che si confrontano sulla Comunicazione. Naturalmente, il libro è diretto ai Cittadini, poiché sono loro i primi a doversi confrontare e a dover conoscere questi temi. Ma “Santi, Poeti e Comunicatori” è rivolto anche agli esperti del settore, ai comunicatori che rendono tutto troppo semplice. Il nostro scopo è di dar via ad un dibattito. Marco Marturano ha definito il libro “una provocazione”, paragonandola alla relazione programmatica stilata da Tom Cruise nel film Jerry McGuire. L’idea è azzeccata ed il paragone è azzeccato, anche perché è Jerry a vincere alla fine della storia! Noi, naturalmente, non aspiriamo a vincere perché sappiamo distinguere un film dalla vita reale, ma il poter dire queste cose per noi è già un successo. Personalmente, poi, non penso mai molto ai commenti positivi: mi concentro di più sulle critiche, perché sono quelle che fanno crescere l’autore ed il prodotto di cui egli è responsabile.
Uno dei motivi principali che impedisce la corretta applicazione della Legge 150/2000 è la mancanza di maturità della Pubblica Amministrazione, ovvero gli enti pubblici ancora non sono pronti ad instaurare un dialogo con i cittadini. Perché tutta questa paura di comunicare?
Spesso non si tratta di paura, ma solo di mancanza di fondi, per cui si preferisce garantire l’apertura di un asilo nido piuttosto che un ufficio di comunicazione. E la cosa mi pare anche legittima. Per quanto riguarda la paura di comunicare credo che la nostra società – almeno negli ultimi dieci anni – si sia preoccupata di comunicare troppo e in maniera troppo veloce. Il risultato? Processi di comunicazione all’interno dei quali non si riesce a distinguere il contenuto, ma solo il modus operandi. Processi che non portano a niente di sostanziale, semmai fanno finta di portare a qualcosa di indefinito. E il Cittadino molto spesso non ha né il tempo né la voglia di accorgersene. Non parlerei quindi di paura di comunicare o di immaturità del sistema pubblico. Personalmente credo che vi sia immaturità nei sistemi di comunicazione, o almeno nel modo in cui il processo di comunicazione viene percepito dagli addetti ai lavori. Il primo passo sarebbe quello di ammettere che
Il libro nasce con uno spirito positivo. Il vostro obiettivo è quello di iniziare un dibattito tra comunicatori e non, per trovare insieme le soluzioni più adeguate. Qual è la Sua soluzione? E, soprattutto, come crede si possa realizzare?
Recentemente ho parlato del libro ad una persona che mi ha accusato – cito testuali parole – “di stare dalla parte dei giornalisti. Secondo te vale di più l’iscrizione ad un Ordine piuttosto che le reali competenze e professionalità”.
La mia idea è diversa. Questa legge non deve essere vista come un conflitto di idee tra giornalisti e comunicatori; è ora di smetterla di pensare che la legge rappresenti l’apertura di una nicchia privilegiata dove far approdare giornalisti non occupati. Questa legge vuole – o almeno vorrebbe – favorire i processi di comunicazione nelle strutture pubbliche, punto. Un primo inizio potrebbe essere proprio quello di favorire un dibattito sincero e sereno tra le due categorie all’insegna del “c’è posto per tutti”. Non è semplice buonismo, ma solo realtà: il mondo della comunicazione pubblica ha bisogno di giornalisti e comunicatori, basta che gli spazi e le mansioni siano definite per non dare adito a confusioni sterili e poco costruttive!
Una seconda soluzione sarebbe orientata verso la figura del portavoce, oggi troppo aleatoria e priva di un percorso formativo adeguato. Una situazione – quella attuale – che svilisce un ruolo necessario favorendo nel contempo una mancata legittimazione del ruolo stesso.
In ultima analisi la previsione di un dettagliato piano sanzionatorio da applicare in caso di inosservanza del testo legislativo; oggi non esistono sanzioni e già solo questo aspetto riduce di molto l’osservanza della legge da parte delle amministrazioni pubbliche.
Nel libro definite questa legge “poco conosciuta, poco applicata e soprattutto poco compresa”; conosce almeno un caso in cui la legge sia stata applicata con successo?
Certamente, conosco qualche caso – soprattutto in realtà piccole – in cui la Legge 150/2000 è stata applicata. Non posso dire se con successo o meno e sinceramente allo stato delle cose non mi sembra neppure troppo importante. Perché i casi che conosco sono casi isolati dovuti più che altro allo spirito illuminato di qualche amministratore pubblico. Non fraintendetemi, non dico che i pochi successi raggiunti non siano da elogiare ma questo paese assomiglia pericolosamente ad una mamma che elogia i suoi figli per un 7 in mezzo a tanti 5. E spesso il 7 è in condotta! Personalmente preferirei una pagella con tutti 6.
Ringraziamo Stefano Martello e crediamo che i numerosi spunti che ci ha fornito possano essere da stimolo per discutere sul presente e sul futuro della Comunicazione pubblica. Voi che ne pensate?