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“La sicurezza se la conosci la applichi se non la conosci ti uccide”

27/11/2006 5355 lettori
5 minuti

Molte, mai troppe, espressioni di indignazione, in occasione dell’ennesima tragedia sul lavoro. Un cartello a prima vista estemporaneo: La sicurezza se la conosci la applichi se non la conosci ti uccide”. Una verità che induce a partecipare la propria comunanza. A seguire alcune riflessioni: per pratica esperita con l’apporto di concetti riportati da metodiche ricerche sull’argomento.

Le aziende più attente all’innovazione oramai intuiscono l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, posseduto dai dipendenti, collaboratori, dirigenti e consulenti, in altre parole il valore del capitale intellettuale dell’azienda. L'intuizione ed una visione del mondo con cui comprendere, adattarsi all'ambiente e conferirgli senso, può essere la cartina di tornasole per crescere, a patto che s'inserisca in una generalizzata situazione di gestione di conoscenza e di ripensamento dei processi d'informazione. Evidentemente la comunicazione non può certo essere considerata la panacea contro i problemi di prevenzione della sicurezza sul lavoro, resta da valutare come e in che modo sia possibile riuscire a portare vigore nel sostrato aziendale, intaccando – svecchiandoli o almeno rimettendoli in discussione - schemi, processi, gerarchie e scale di valore consolidati ed accettate dogmaticamente.

Per la sicurezza sul lavoro, la prevenzione e la protezione è fondamentale poter contare su una solida formazione ed informazione rivolta alla migliore preparazione del fattore umano. La base dell’opera di prevenzione si configura nella valutazione preventiva del rischio, in funzione di parametri oggettivi formulati dalla legge e non nelle qualità specifiche dell’individuo o delle comunità che quei rischi devono sopportare. In quest'ottica appare evidente che occorre dare alla figura umana del lavoratore quella centralità attorno alla quale ruotano tutte le altre componenti della rischiosità.

L’impostazione del DL 626/94 rappresentò sicuramente una rivoluzione culturale nella valutazione della rischiosità. Nella legislazione precedente la prevenzione era valutata essenzialmente sulla base degli eventi e sulla possibilità di correre ai ripari con accorgimenti di carattere essenzialmente tecnologico. Dopo la 626/94, la valutazione del rischio è diventata un atto di prevenzione imposto con l’obbedienza a certi parametri preventivamente fissati come quelli che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, danno le maggiori garanzie ai fini della prevenzione. A tal proposito istituti ed enti preposti progettano e realizzano sia in termini interaziendali sia aziendali, corsi e seminari sulle tematiche riguardanti le questioni della sicurezza e dell'ambiente, rivolgendosi prevalentemente ai responsabili aziendali, liberi professionisti, lavoratori dipendenti. Nel caso della formazione interaziendale, si tratta di corsi di una o più giornate, organizzate nelle rispettive sedi: sia di base (ovvero obbligatori per legge come ad esempio, quelli previsti dal 626), sia d'approfondimento, aggiornamento e perfezionamento sulle varie tematiche.

Nel caso di formazione aziendale, si tratta di corsi o, più frequentemente percorsi formativi ad hoc, progettati con le aziende al fine di garantire la più ampia aderenza dei piani di formazione alle strategie ed alle specifiche esigenze aziendali. Ogni singolo percorso è ideato e realizzato dopo un'approfondita analisi dei bisogni, svolta in collaborazione con le aziende. Motivi d'opportunità inducono a lasciare a questi enti competenti i percorsi formativi per le figure previste dalle normative, che operano sui classici piani dell'apprendimento: nozionistico e metodologico.

Il tentativo di utilizzare alcune esperienze, senza perdere di vista il concetto che le normative, anche se eseguite con puntigliosa determinatezza, possono raggiungere un elevato grado d’efficienza, potrà raggiungere un altrettanto elevato grado d’efficacia solamente se si riconoscerà, anche nella pratica attuazione, che la struttura portante del sistema è il fattore umano e non la valutazione teorica delle rischiosità e tanto meno un regime di sanzioni disciplinari, usato in funzione di prevenzione. Tutte le teorie sulla sicurezza e sulla prevenzione degli incidenti da lavoro, sono basate su un procedimento logico che prevede un adattamento reciproco tra le tre componenti fondamentali di un sistema costituito dall'uomo, dagli strumenti di lavoro e dall'ambiente. Qualora si venisse a stabilire uno squilibrio tra le suddette componenti, ne conseguirebbe anche un abbassamento dell'affidabilità di tutto il sistema con l'inevitabile conseguenza di un evento catastrofico: l'incidente e quindi l'infortunio.

Per quanto si riferisce alle macchine si può affermare che con il progredire dell’industria moderna, la prevenzione ha operato in modo da ottenere validi risultati nel campo degli impianti e nel controllo del loro corretto funzionamento. Oggi, tutte le macchine sono progettate e costruite in maniera sempre più adeguata non solo alle esigenze psichiche e fisiche dei lavoratori che le impiegano nell’ambiente di lavoro, ma anche alle necessità degli utenti che, nell’ambito domestico e nelle varie occasioni d’impiego della vita civile, usano i prodotti fabbricati, licenziati e commercializzati. Per quanto si riferisce all’ambiente le cose sono un po’ più complicate. Si sa che l’ambiente è l’insieme degli elementi che, nella complessità delle loro relazioni, costituiscono il quadro, l’habitat e le condizioni di vita dell’uomo quali sono in realtà o quali sono percepite. In altri termini, costituisce "ambiente" tutto ciò che, sotto qualsivoglia profilo, nei limiti suddetti, influenzi la vita dell’uomo o da questa n'è influenzato, in un’interazione costante, sia per quanto si riferisce alla sfera fisica e sia per quanto è inerente a quella psichica. E’ chiaro che dell’ambiente, inteso in un’estensione così ampia di significati ne sia difficile perfino la definizione.[1]

Il nostro patrimonio legislativo, con riferimento al termine "ambiente", inteso come fattore di nocività, non ha mai sviluppato una valutazione globale complessiva ed unitaria di tutte le componenti dell’ecosistema e dell’androsistema. Nel linguaggio corrente esiste invece una larga aggettivazione per qualificare l’ambiente nelle sue varie ubicazioni: ambiente naturale, scolastico, lavorativo, sportivo ecc... Quando la complessità dell’ambiente è costretta a combinarsi con le multiformi caratteristiche del fattore umano, risulta che tutta l’affidabilità del binomio uomo - ambiente è praticamente consegnata a variabili imprevedibili la cui accidentalità non può essere mai eliminata del tutto proprio perché entrambi i fattori sono parecchio al di fuori delle nostre possibilità predittive. Tanto meno potrebbe essere eliminato il determinismo della loro sommatoria. Se gli altri due fattori di rischio, quello tecnologico e quello umano, sono controllati e ridotti al minimo prevedibile, anche il fattore accidentale risulta suscettibile di concreta riduzione. La preparazione del fattore umano non è fatta di sola cultura, esperienza lavorativa e formazione psicologica, ma di tutte queste tre componenti e di altro ancora. Per la sicurezza sul lavoro, per la prevenzione e protezione è fondamentale poter contare su una solida formazione ed informazione rivolta alla migliore preparazione del fattore umano. Il fattore umano, per il numero delle sue componenti costitutive, per la loro organica complessità, per la loro sommatoria e per la loro reciproca influenza sfugge a qualsiasi facile schematizzazione e tanto meno è inquadrabile in precisi adempimenti predefiniti e sanzionabili.[2]

Conoscere il passato per gestire meglio il presente e programmare con maggior consapevolezza il proprio futuro.

Un importante contributo scientifico, l'Italia lo ha fornito, anche in campo internazionale, nell'avvio della disciplina scientifica sui rapporti tra alcune malattie e gli specifici rischi presenti in talune attività lavorative tramite, col trattato "De morbis artificium diatriba" scritto nell'anno 1700, dal prof. Bernardino Ragazzini emerito professore di medicina all'Università di Padova.

Con tale libro furono avviati gli studi e la relativa teoria scientifica dell'esistenza di un sicuro collegamento, tra alcune malattie tipiche e i rischi esistenti in talune specifiche attività lavorative, e furono iniziati gli studi scientifici sui mezzi e le metodologie per prevenire tali malattie.

La prima associazione volontaria tra imprenditori avente scopo di prevenire gli infortuni sul lavoro nacque nel 1867 a Mulhouse, in Alsazia, e tal esempio fu poi seguito in altri paesi europei da molti industriali persuasi che l'imprenditore non fosse debitore verso i propri operai soltanto del salario, ma fosse responsabile anche della loro salute.

In particolare in Italia la prevenzione, collegata ai rischi presenti nell'industria, si è sviluppata parallelamente allo sviluppo industriale italiano che è iniziato prevalentemente a Milano ed in Lombardia tra il 1890 ed il 1915. Essa vide come attori principali gli "industriali benpensanti" dell'epoca inseriti "nell'Associazione degli Industriali per Prevenire gli Infortuni sul Lavoro", fondata nel 1894 da Ernesto De Angeli, con lo scopo di assistere i singoli industriali nella prevenzione degli infortuni.

Il tema della Prevenzione sta entrando nel patrimonio culturale di sempre più vasti strati della popolazione. Tuttavia, in un mondo nel quale si sente spesso parlare d'onnipotenza tecnologica anche applicata alla prevenzione, sembrano proporsi contraddizioni, come se l'aspetto tecnologico fosse da considerarsi una limitazione allo sviluppo della prevenzione, e quindi da superare con il contributo d'altri ambiti disciplinari non tecnici. L'analisi della letteratura scientifica porta a ritenere la prevenzione non solo giustificata, ma necessaria sia su un piano scientifico sia su quello informativo-formativo.[3] Anche l'analisi delle attività in tema di prevenzione, ha reso evidente la carenza di apporti riguardanti, gli aspetti tecnici gestionali.

L'estesa produzione normativa e le responsabilità che oggi fanno capo ai produttori hanno decisamente migliorato la sicurezza dei prodotti, anche se non possono eliminare la possibilità del reiterarsi di fenomeni dolosi da parte d'imprenditori senza scrupoli. A tal proposito si rimanda all'articolo "Il pericolo non sarà il mio mestiere": un articolo apparso sulla rivista "Sistemi & Impresa".



[2] Idem

[3] Stevan C., il tempo dell'onnipotenza tecnologica e la crisi della prevenzione occupazionale ed ambientale, a cura di A. Greco e P.A. Bertazzi, Milano Franco Angeli, 1997 pag. 385

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.