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La Comunicazione poltica del 2004

11/11/2004 5336 lettori
4 minuti

MA QUANTO SONO PUBBLICITARIE QUESTE CAMPAGNE?

Secondo la defizione data dal Devoto-Oli, con campagna ci riferiamo, oltre che a un’estesa superficie di terreno aperto, fuori del centro urbano, anche a un’insieme di operazioni organizzate ad un determinato fine. E secondo il senso comune - legittimato da esperti di marketing -, le qualificazioni pubblicitaria e politica definiscono il carattere di tale fine, ma soprattutto un particolare approccio alla comunicazione.

E’ evidente come negli ultimi anni la pubblicità abbia ormai abbandonato il più tradizionale orientamento descrittivo - incentrato sui benefit oggettivi del prodotto -, per seguire un approccio più sintetico legato all’espressione di un concetto chiave attraverso un’idea visiva o uno slogan.

Indipendentemente dal tipo di campagna – sia essa istituzionale o di prodotto, di lancio o di mantenimento – la pubblicità cerca di far leva sulla sfera emotiva del consumatore cercando di sedurlo e di conquistare la sua devozione.

Ma la vocazione seduttiva non è una prerogativa soltanto pubblicitaria, essa è anche e soprattutto un leit-motiv del linguaggio politico. Attraverso una serie di operazioni - relazioni pubbliche, rapporto con i media, promozione d’immagine – l’uomo politico costruisce la sua comunicazione cercando di convincere il proprio elettorato sul suo valore.

Sulla spinta dell’esempio americano e della discesa in campo di Berlusconi, la comunicazione politica ha intrapreso un percorso che la porta a usare sempre più gli strumenti del marketing e ad aderire a logiche mediatiche e commerciali.

Se questa evoluzione marketing-oriented ricade a pieno sulla strategia politica, essa sembra non coinvolgere però il linguaggio delle campagne, ancora fortemente legate alla tradizione descrittiva della pubblicità commerciale.

Difatti, così come negli anni ottanta si tendeva a mostrare il prodotto, in politica si sente ancora l’importanza di legare il nome e il simbolo del partito al volto del candidato. Con alcune rare eccezioni, il messaggio trasferito è generico e finalizzato a cercare un consenso universale senza scontentare nessuno, così come non vengono presi in considerazione il posizionamento di un partito sul "mercato" politico e l’individuazione di una Unique Selling Proposition.

Osservando le campagne realizzate in occasione delle elezioni europee del 13 giugno, la maggior parte di esse ricorre ad uno stile di comunicazione dall’impronta seria e tradizionale - nome o foto del candidato, slogan e simbolo - che il più delle volte si rifà acronisticamente alla retorica politica classica o d’opposizione.

Si avvicinano alla logica pubblicitaria le campagne dell’UDC e dell’Ulivo. In entrambe si rinuncia, infatti, all’immagine del leader di partito ricorrendo nel primo caso, a un gioco tra le parole "c’entro" e "centro" trasmettendo un messaggio forte di partecipazione; nel caso dell’Ulivo il visual acquista un ruolo centrale e, in particolare, il claim "Servono persone vere" propone un confronto con il suo competitor diretto, implicitamente presentato come un personaggio artificiosamente costruito.

Naturalmente questi esempi sono timide sperimentazioni dei linguaggi più moderni utilizzati nelle campagne evocative, che ormai non riguardano più soltanto il mercato mass-market dei bastoncini Findus, ma anche operazioni istituzionali come l’ultima campagna Telecom.

Considerando il profondo legame tra i media e la politica, il fatto che un messaggio sia politico nella concezione e nei contenuti non esclude possa essere presentato nelle forme tipiche del linguaggio mediale; linguaggio che è quello che il pubblico di elettori, in città e in campagna, è in grado di decodificare più facilmente.