Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

Alla ricerca della stupidità, un libro Mondadori Informatica

08/05/2005 14062 lettori
4 minuti

Merrill R. Chapman

ISBN 88-04-53195-9

Pagine 320, Euro 12,80

Riprendendo ironicamente uno dei più famosi testi di gestione aziendale, Alla ricerca dell’eccellenza, Chapman esamina con amorevole spietatezza oltre 20 anni di clamorosi disastri nell’industria hi-tech americana.

Secondo l’autore, quasi per selezione darwiniana, l’azienda che sopravvive e macina profitti è quella che “commette il minor numero possibile di errori fatali”:la stupidità di cui si va alla ricerca è la stupidità “aziendale nel suo complesso”, intesa come incapacità di allineare prospettiva di mercato ed eccellenza tecnologica.

Tutti i periodi della computer age vengono ripercorsi, dagli albori dei primi anni 80 fino alla bolla speculativa delle dot-com del 2000.

Assistiamo così ai tentativi di lanciare sul mercato prodotti obsoleti o oggettivamente scadenti (IBM con il suo PC Junior o Motorola con lo StarTAC), solo perché teorizzati da uffici marketing che non conoscevano realmente i loro stessi consumatori.

Assistiamo con un senso di ineluttabilità alla parabola discendente di colossi incapaci di gestire il proprio stesso successo, che si riducono a nanerottoli a causa di errori strategici (come Apple, passato da leader del settore a prodotto di nicchia) o che subiscono l’equivalente aziendale dell’estinzione, ovvero l’acquisizione da parte di concorrenti (Ashton-Tate nel settore dei DataBase).

Le colpe sono equamente divise tra marketing e tecnici: non pochi sono i casi di programmatori innamorati di un’ideale di “purezza del codice” che ritardano di mesi o anni l’uscita o l’aggiornamento di un prodotto, decretandone l’insuccesso, l’obsolescenza e l’oblio (OS/2 del Big Blue IBM, o WordStar di MicroPro).

Non manca l’analisi del fenomeno Microsoft, della strategia di comunicazione basata sul “bravo ragazzo Bill” ma anche della gestione approssimativa delle inchieste anti-trust, con la conseguente nascita dell’immagine dell’”impero del male”.

Rimane però, a concludere l’analisi dell’autore, la consapevolezza, e l’ammirazione, del fatto che “l’unico grave errore fatto da Microsoft è stata la graffetta parlante di Office”.