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E’ in scena il commercio

09/05/2005 21323 lettori
5 minuti

Merce spettacolarizzata, merce caricata di valori simbolici, merce estetizzata. Una merce che va oltre il concetto di commercio in senso tradizionale, artigianale o industriale che sia. E’ questa la “supermerce”, parola chiave lungo tutta la trattazione di Vanni Codeluppi che ne Lo spettacolo della merce analizza tipologie e tendenze dei moderni luoghi del consumo, dai centri commerciali ai supermercati, dalle boutique di moda ai ristoranti a tema, contestualizzandoli in un evolversi storico che dai passages della Parigi ottocentesca arriva agli shopping center e ai parchi tematici delle metropoli odierne.

 

Vendere al grande pubblico, oggi, non significa più semplicemente proporre merci e servizi che soddisfino puntuali bisogni dell’acquirente. Superata la fase del focus sul prodotto prima e sulla marca poi, le imprese oggi optano per un marketing “estetico” o “esperienziale”, “insieme di strategie che cercano di far sperimentare al consumatore delle sensazioni fisiche ed emotive durante l’esperienza con il prodotto e la marca.” (p. 2)

 

Chiaro allora che in un contesto così orientato all’evento dell’acquisto piuttosto che all’oggetto acquistato, il luogo in cui avviene la “cerimonia” della compravendita diventa fondamentale.

 

'Le merci, dal momento in cui sono uscite dall’ambito della produzione artigianale […] hanno evidenziato di essere soggette a un processo di progressiva ‘spettacolarizzazione’. Cioè a un processo di trasfigurazione dei caratteri puramente funzionali che consente loro di assumere dei precisi significati simbolici e culturali e soprattutto una seducente ‘aura’. Per potersi spettacolarizzare, le merci […] hanno, soprattutto, dovuto utilizzare le possibilità offerte da particolari luoghi, che hanno funzionato per esse come dei veri e propri palcoscenici teatrali.' (p. 1)

 

E la metafora teatrale ricorre lungo tutto il libro, anche quando l’autore impiega il concetto di “supermerce” per indicare quelle architetture complesse costituite dall’esposizione, a fini per l’appunto estetici, delle merci. Merci che chiaramente in un contesto di questo tipo perdono la loro dimensione funzionale per assumerne una decisamente spettacolare.

       

Ma entrando nello specifico delle caratteristiche e delle tipologie dei luoghi per vendere, Codeluppi ricorda come praticamente tutti questi nuovi ambienti hanno progressivamente assunto – alcuni in maniera più evidente, altri in modo meno marcato – caratteristiche mutuate dai tradizionali luoghi del vivere civile, quali i centri storici delle città. I nuovi luoghi della socialità suburbana, come i centri commerciali costruiti alle porte delle metropoli, non fanno altro che riprodurre in modo stereotipato certi caratteri dei tradizionali luoghi d’incontro quali le piazze dei paesi e le vie del passeggio. Ecco quindi centri commerciali costruiti come borghi con gallerie commerciali simili a vicoli ciottolati che immancabilmente conducono in piazzette con tanto di panchine e piante.

 

Ma come tutte le riproduzioni stereotipate, anche questi nuovi luoghi (o non-luoghi vista la loro asetticità) rimandano a modelli sempre uguali. E’ la ripetizione che dà certezza, che non sconvolge, che aiuta il cliente a sentirsi a casa, proprio come si sente a casa chiunque entri in uno qualunque dei ristoranti McDonald’s del mondo.

           

Dopo un doveroso excursus storico, in cui Codeluppi evidenzia come i moderni luoghi per vendere sono tutti figli della cultura metropolitana nata in Europa con la seconda Rivoluzione Industriale, l’autore si sofferma sulle due grandi tipologie di luoghi di “vetrinizzazione del sociale”, come egli stesso li definisce. Sono i luoghi del largo consumo (grandi magazzini, centri commerciali, concept store e multicenter) e quelli del consumo di servizi per il tempo libero, come gli alberghi e i ristoranti a tema, i cinema, i musei e i parchi di divertimento.

 

Ognuno di questi luoghi è il frutto di una specifica modalità di concepire le dinamiche commerciali e, più in generale, sociali. Codeluppi nota ad esempio come il supermercato sia la trasposizione nel mondo della distribuzione del modello industriale della catena di montaggio. Così come l’organizzazione industriale del lavoro segue iter sempre uguali che hanno un inizio e una fine, il supermercato ha tentato di riproporre lo stesso ideale di efficienza all’interno della pianificazione degli acquisti familiari. Il centro commerciale, invece, nasce da una logica diversa, che intende unire il concetto dell’organizzazione lineare ed industriale del supermercato e dell’ipermercato con quella tradizionale e “artigianale” della bottega e del negozio al dettaglio.

 

Ma sono forse i nuovi luoghi del consumo quelli in cui è maggiore la componente spettacolare della supermerce. Concept store e multicenter sono i veri protagonisti del nuovo marketing esperienziale. Ed è proprio su queste nuove tipologie che Codeluppi si sofferma con alcune interessanti osservazioni. Il concept store in particolare è l’espressione più alta e più completa di quella vetrinizzazione della merce che trova proprio in questa tipologia di negozio monomarca lo strumento più adatto per comunicare l’identità della marca attraverso espedienti scenici autenticamente “teatrali”. I concept store, che nella stragrande maggioranza dei casi sono boutique di abbigliamento, non sono luoghi per vendere. Sono vere e proprie messinscene di un mondo esperienziale e concettuale – da cui il nome – legato all’universo semantico del brand. Sono cioè la riproduzione sul piano fisico e ambientale di quegli stessi valori astratti veicolati dall’immagine coordinata della marca.

 

Ma dopo l’era del brand e del commercio “esperienziale”, cosa ci riserverà il futuro? Codeluppi dedica alle possibili evoluzioni un intero capitolo, quello sui luoghi del consumo virtuale. Luoghi cioè dove ancora di più è evidente l’esaltazione di un universo valoriale così astratto da non necessitare più la presenza fisica del bene oggetto d’acquisto.