Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

Renzo Arbore al confessionale del ComuniCattivo

21/01/2006 39148 lettori
5 minuti

Radio 1 Rai: Renzo Arbore al ComuniCattivo di Igor Righetti (venerdì 20 gennaio 2006 alle 15.35)

“Molta televisione di oggi è appannaggio di quelli che non hanno talento”

“Oggi nel 90 per cento dei casi c’è una tv usa e getta”

“Il 27 gennaio uscirà il mio doppio disco registrato in un famosissimo concerto che si è tenuto alla Canergie Hall l’anno scorso a New York. S’intitola ‘Renzo Arbore e L’Orchestra italiana at Canergie Hall’. Un concerto sold out di grande successo. E poi esce sempre il 27 un dvd registrato con L’Orchestra italiana a Roma, in piazza del Popolo, con 150 mila spettatori”; “Io non faccio la televisione usa e getta. Adesso nel 90 per cento dei casi c’è una tv usa e getta”, “Il successo è una parola che mi affascina”; “In tv apprezzo molto i personaggi che non ricorrono a trucchi e trucchetti per fare ascolto”; “Rimpianti? Non ho una famiglia mia di discendenti diretti”; Interessante è razzolare nell’inconsueto”

Ecco un estratto dell'intervista.

Che cosa c’è scritto sul tuo biglietto da visita?

C’è scritto clarinettista jazz perché è il sogno della mia vita. Tutti mi chiedono “ma te che fai? L’intrattenitore televisivo? Il musicista? Il cantante, il chitarrista? L’attore?”. Allora per tagliare la testa al toro mi sono etichettato come clarinettista jazz con una bella immagine di New York perché il jazz è una musica americana anche se adesso ha grande successo in Italia fatta da italiani.

Come nasce l’amore per il jazz?

Nasce da ragazzino. Devo rendere omaggio a un signore che non c’è più, si chiamava Franco Tolomei, il quale suonava il clarinetto vicino a casa mia. E io sentivo questo suono, il primo si chiamava “Il ballo dello spaccalegna”. Lui ogni giorno migliorava, poi l’ho conosciuto e lui mi ha parlato del jazz, mi ha dato i numeri di “Musica jazz”, un mensile che ancora esce, io mi sono innamorato e ho comprato una tromba. Poi lui mi ha prestato il suo clarinetto, io la mia tromba, e così siamo diventati lui trombettista e io clarinettista. Abbiamo fatto delle orchestre, poi via via io ho approfondito la conoscenza del jazz leggendo le varie enciclopedie, libri, Armstrong, New Orleans e di lì tutta l’epopea del jazz e anche del jazz moderno.

Con “Bandiera gialla”, il programma innovativo del 1965, ti rivolgevi a un pubblico giovane. Anche oggi hai un pubblico di riferimento?

Io ho un pubblico di riferimento. Posso dire che cerco un pubblico Doc? Cioè tutti si rivolgono al pubblico nella sua totalità, alla grande massa. Io invece mi picco di aver fatto l’altra radio e l’altra televisione. Quella dedicata a un pubblico che io chiamo vispo, un pubblico che vuole qualcosa di diverso, che non vuole la televisione che va, che non vuole la radio che va. Anche quelle trasmissioni per giovani, i giovani allora non esistevano. Li abbiamo inventati un po' io e Boncompagni con “Bandiera gialla” e alcuni giornalisti con tre settimanali che erano “Ciao amici”, “Big” e “Giovani”. Prima del ’65 in Italia c’erano i ragazzi che poi diventavano improvvisamente adulti. I teenager non c’erano e non c’erano i giornali per giovani. C’erano quelli per ragazzi, “Il vittorioso”, “L’intrepido” e “Il monello”. Poi c’erano direttamente i giornali per adulti. Adesso io mi riferisco a quel pubblico vispo, anche di una certa età visto che l’ho raggiunta anche io…

Un pubblico nottambulo…

Mi cerco delle nicchie perché credo che il pubblico di appassionati e amatori abbia bisogno della nicchia per ritrovarsi. Non puoi rivolgerti al pubblico e poi fare i conti con l’Auditel, con i bisticci televisivi, gli scandali sui giornali. Quella roba lì io non la faccio per un pugno di spettatori in più.

“Alto gradimento” è un altro tuo programma rimasto nella storia radiofonica. Anche in questo caso il successo sta nel clima che crei con la spontaneità delle battute…

L’invenzione di “Alto gradimento” fu proprio quella. Un po’ per l’incoscienza di Boncompagni, un po’ per la mia passione per il jazz, ci buttammo davanti al microfono assolutamente improvvisando un varietà. Cioè senza scrivere nulla, soltanto con dei jingle, dei tormentoni e qualche canzoncina sempre usata come tormentone. I primi tempi avemmo qualche difficoltà, poi scoprimmo che in questa maniera ci divertivamo moltissimo perché le battute improvvisate e le stupidaggini che ci venivano di getto valevano più di una battuta migliore ma pensata, scritta e riscritta. Da allora questa formula della radio improvvisata un po’ è dilagata nelle radio moderne perché era giusto che fosse così e un po’ io me la sono portata in televisione con “L’altra domenica” e, successivamente, con le altre trasmissioni.

Affabulatori si nasce?

Affabulatori si diventa. Se tu parli di me come affabulatore, io ero il ragazzo più timido della compagnia. Quello che si toccava i capelli quando veniva interrogato o quando parlavano i grandi. Ascoltavo molto in compenso, ma non avrei pensato di fare un lavoro in cui utilizzavo la parola. E invece mi sono trovato prima a scegliere i dischi per conto della radio, finché qualcuno mi ha incoraggiato a parlare. Con un po’ di whisky i primi tempi ci sono riuscito, poi per superare la timidezza ho scelto di essere assolutamente naturale come sono adesso parlando con te.

Ti è stata data la paternità di aver fatto nascere il programma “Speciale per voi”, il primo talk show della storia italiana. Che cosa hanno in comune gli attuali talk show con la tua primogenitura?

Beh, non sono molto diversi perché allora, relativamente ai tempi, quello era il primo talk show assolutamente libero tant’è vero che non lo tolsero dopo due anni. I ragazzi venivano messi a contatto con i personaggi dell’epoca dello spettacolo e parlavano liberamente facendo domande anche cattive perché erano gli anni della contestazione e i ragazzi avevano in uggia il denaro dei divi e tutta quella retorica legata al divismo. Adesso più o meno il discorso è quello. Devo dire che i personaggi dello spettacolo non si contestano più perché ci sono delle regole industriali per cui anche loro sono prudentissimi nell’andare in talk show dove possa essere messa in discussione la loro bravura o buona fede. Questo non lo fanno più. Ci sono stati dei tentativi qualche anno fa con altre persone ma non sono andati a buon fine. Però il talk show animato, di contrasto, è diventato addirittura un must televisivo, in cui due persone che la pensano diversamente bisticciano tra loro aumentando il famosissimo indice d’ascolto.

Che cosa guardi in tv?

Mah, io guardo molto il satellite perché trovo che prima o poi andremo a finire lì perché ci sono programmi mirati, ben fatti. Il satellite ha una programmazione molto più a denominazione di origine controllata rispetto alla tv generalista. Poi puoi scegliere il canale a tua immagine e somiglianza. Guardo molto i programmi di storia, quelli di Minoli. Li fanno in ore proibitive, segno evidentemente che questi programmi di qualità purtroppo devono finire sulla tv generalista in ore proibitive.

Anche se tu ami la notte, quindi…

Io amo la notte e un po’ l’ho inventata con “Quelli della notte”. Però adesso è diventata una regola, anche americana, non soltanto della tv italiana, che la tv di qualità si annida nelle ore notturne quando il grande pubblico che io amo, ma che certamente ha dei gusti un po’ indistinti, non c’è. In fondo se noi pensiamo a David Letterman, Jay Leno, tutti quei personaggi lì in America vanno in onda quando il pubblico è davvero una minoranza, perché sei milioni di telespettatori su un popolo di duecento, sono pochissimi. Però sono i programmi di maggior prestigio.

Quindi per vedere una tv di qualità non dovremmo più dormire…

Oppure dovremmo davvero aspettare che i canali satellitari prendano piede. Come quelli americani che sono più visti della tv generalista.

Quali sono i personaggi televisivi che più apprezzi?

Io apprezzo molto quelli che non ricorrono a trucchi e trucchetti. Direi che certamente Fabio Fazio è un personaggio che mi piace perché non ricorre agli espedienti per richiamare l’attenzione. Pippo Baudo ha una sua antica professionalità anche morale che mi piace. Insomma ce ne sono tanti. Anche quelli vispi che hanno la battuta come Chiambretti. Mi piacerebbe che in tv fosse celebrato il talento. Questo è un momento in cui molta televisione è appannaggio di quelli che non hanno talento, ma che hanno presenza o fanno audience. Quella tv non è la mia.

Che cosa o chi cancelleresti dai palinsesti televisivi?

Cancellerei il non talento. Io dico una cosa: che la televisione non sarà il cinema, il teatro, la pittura o la scultura ma anche attraverso di essa si può fare un po’ di arte o di artisticità. Non soltanto nei programmi di intrattenimento, ma anche in quelli di informazione, infotainment, in quelli giornalistici. Ho visto bellissimi documentari, bellissime cose e, quando sono fatte bene, il regista e gli autori sono degli artisti. Perché no? E poi vuoi sapere qual è la differenza tra la tv un po’ mia e quella di tanti che oggi la fanno? Che io non faccio la televisione usa e getta. Le mie cose vengono utilizzate di notte, replicate in ore assolutamente proibitive come le quattro o le cinque. Perché la mia televisione è fatta per durare. Tu oggi vedi una puntata di “Indietro tutta” e non c’è quasi nessun riferimento all’attualità dell’epoca. Ci sono battute che possono essere rilanciate e rifatte. Adesso nel 90 per cento dei casi c’è una tv usa e getta, proiettata sull’attualità. Le imitazioni di personaggi che non ci sono più, le battute di quello che accade è tutta roba che dopo un po’ decade. La mia televisione invece rimane, nel mio piccolo voglio dire.

Si possono fare buoni programmi nonostante l’Auditel?

Sì, si possono fare. È la cosa più difficile perché bisogna fare programmi con la doppia lettura che devono essere popolari, ma nello stesso tempo piacere anche a chi vuole una tv diversa. Qualcuno ci riesce. Però la doppia lettura è complicata, è più facile farla nelle fiction. “Paolo Borsellino” e altre fiction sono meravigliose, hanno avuto un grande successo di ascolti ed erano prodotti di ottima fattura e grande qualità.

Che cosa pensi dei reality show?

Penso che televisivamente siano molto interessanti, cioè quello che i tecnici chiamano lo specifico televisivo. Il fatto che vengano riprese delle persone che attori non sono, che si abituano alle telecamere alle calcagna, che rimangono se stesse senza recitare, che indagano sulla vita della gente, penso che sia una maniera importante di fare televisione. Come faceva a sua volta la candid camera oppure “Scherzi a parte” che non è da sottovalutare. Purtroppo i reality show come contenuti lasciano un po’ a desiderare perché le vicende di alcuni personaggi, non certamente esemplari, a me interessano poco. Quando si trasformano in pianerottolo, in cicaleccio, in bisticcio squallido succede quello che accadeva nella barzelletta di Totò “vediamo questi stupidi dove vogliono arrivare”.

Lì dipende anche dalla bravura degli autori che spesso diventano sceneggiatori…

Sì, ma gli autori ti sei mai domandato perché non mettono personaggi di tendenze diverse, impegnati nel volontariato o una soubrette mescolata a un intellettuale? No, scelgono sempre in una categoria media di ragazzi e ragazze disposti a parlare del loro privato, del gossip casereccio. È una tecnica che certamente premia gli ascolti però il reality show sarebbe più interessante se fosse fatto in una maniera fantasiosa, mettendo teste diverse fra di loro.

Abbandoniamo la tv e parliamo della nostra amata radio. Gli ascolti della radio sono in continuo aumento. A che cosa si deve questo successo di pubblico?

Alla sua agilità. La radio è agile, perfino più di Internet, che è un’ottima invenzione ma che richiede il tuo studio. Devi stare lì fermo a smanettare. La radio veramente come diceva un vecchio slogan “ti accompagna per la vita, qualsiasi cosa tu stia vivendo”. Quindi, a parte guidando, mangiando eccetera noi abbiamo ascoltato anche la radio studiando, leggendo, disegnando, muovendoci. E poi la radio è un veicolo anche musicale oggi. Perché a parte l’I-pod o alcune cose che richiedono un’attenzione e possono essere ascoltate nei momenti di tregua della vita, la radio si ascolta mentre tu fai altre cose, mentre vivi. Non c’è più quell’ascolto di anni fa, quando ci si metteva tutti intorno alla radio. E poi la radio è anche tematica. C’è una radio per teenager, una per nostalgici, una per politici, una per cattolici, una di informazione e musica di qualità come Radio1. Mi dispiace, però, che come si dice a Napoli “sparti ricchezza e diventa povertà”. Cioè l’ascolto della radio si è frazionato, non è più quello di un tempo quando io e Boncompagni monopolizzavamo tutti gli ascoltatori.

Si dice che in radio si può sperimentare più che in tv. Ma tu hai notizie di molti programmi sperimentali?

Beh sì, tu ne hai fatto uno, il reality radiofonico “In radio veritas”. Alla radio hanno fatto anni fa le interviste impossibili, intervistando i defunti, Dante o Napoleone. La radio, non avendo l’immagine, può far lavorare moltissimo la fantasia. Perché tutto quello che si fa quando si fa intrattenimento facendo lavorare personaggi che arrivano, sbattono la porta in cinese, tutto questo televisivamente è quasi impossibile da fare. In radio puoi fingere di farlo. Con la radio si può sperimentare, si possono fare tante cose. Ci sono stati programmi di Radio3 tanti anni fa che sperimentavano. Alcuni non funzionarono però gli esperimenti in radio si fanno. E poi la radio è una grande palestra per tutti quelli che poi passano in televisione. Pensa che da Carlo Conti a Michele Mirabella, da Fiorello a Jovanotti e Amadeus sono tutti di discendenza radiofonica.

La musica italiana trova sufficiente spazio per farsi conoscere dal grande pubblico?

No, la musica italiana non è molto aiutata dalla radio al contrario della Francia dove esiste una regola per cui il 60% della programmazione radiofonica deve essere musica francese. In Italia questa regola non c’è per cui molti fanno scelte di canzoni che arrivano dall’estero anche non belle ma che sono state segnalate dalle case discografiche. La radio dovrebbe essere un veicolo della musica italiana molto importante. Anche perché adesso, soprattutto per i giovani, c’è soltanto la radio che può fare la promozione di talenti nuovi perché la televisione non lo fa. La tv prende quelli già famosi che aumentano l’ascolto. I nuovi talenti possono uscire soltanto dalla radio o da Sanremo giovani, non ci sono altri veicoli per affermarsi. O molto raramente attraverso una gavetta lunga come ha fatto Alex Britti, però approdando sempre a Sanremo, non c’è niente da fare.

La tua passione per il jazz è nota e pure quella per i gilet. Quali altre passioni coltivi?

Sono tante, fortunatamente io ritengo che le passioni siano la linfa vitale di un’esistenza. Io coltivo la passione per gli oggetti di plastica, adesso alcuni vengono esposti al Plast di Milano in trentacinque box: ci sono borsette da donna, apparecchi radio, montature per occhiali, gadget, portatovaglioli, tutto ciò che è stato fatto con la plastica dagli anni di plastica ovvero dal 1900 in poi. Anche cose molto bizzarre, Quindi la mia collezione più importante è quella degli oggetti di plastica. Poi ho fatto anche una linea di mobili di plastica. E poi ho la passione dei cappelli, dei gadget, che sono il prodotto della fantasia degli uomini bizzarri. Sai quelle cose strane che vendono anche sulle bancarelle adesso…

Hai una casa museo…

Sì, quelle cose buffe cominciando dai tulipani illuminati alla forchetta con la manovella per girare gli spaghetti. Insomma, colleziono quella roba lì. E poi colleziono anche dischi perché al posto dei soliti dischi che si trovano in commercio, io mi diverto anche ad appassionarmi alla musica di Capo Verde, dove sono stato recentemente. Oppure messicana o d’epoca. È interessante non farsi prendere soltanto da quello che va, ma come dicevo un tempo “razzolare nell’inconsueto”.

Prima di addormentarti a che cosa pensi?

Prima di addormentarmi leggo e indirizzo i miei sogni. Penso ad amori vecchi e nuovi. Penso ai viaggi perché è un’altra della mie passioni. Cerco di pensare a cose positive perché pavento l’incubo notturno. E penso anche a progetti. Per la verità il mio obiettivo è sempre quello di progetti di successo, non mi vergogno a dirlo. Non inseguo tanto la vanità, il denaro. Il successo però è una parola che mi affascina, credo che sia l’obiettivo che si pongono tutti. Ma io in particolare.

Di che cosa hai paura?

Beh, della decadenza fisica, della perdita degli amici cari, della violenza e del procedere di sentimenti cattivi. Vedo che il mondo si è un po’ incattivito. Forse io sono vissuto in anni dove gli italiani, reduci dalla guerra, si volevano bene. C’erano sì i comunisti e i democristiani, c’erano queste grandi divisioni, ma in realtà Don Camillo e Peppone si volevano bene. Ed era raro, tranne casi particolarissimi, che ci fosse violenza. Adesso ho paura che ci siamo abituati alla violenza, alla cronaca nera terribile, ai delitti. Penso sia un momento di transizione per la verità perché siccome io non sono uno che rimpiange il passato, ma ottimista nel futuro, credo che poi ci sarà il rigetto. Poi ci sarà un momento attraverso la tecnologia stessa perché credo che Internet che pratico poco, sia una conquista straordinaria superiore a come viene vista oggi. Temevo che i ragazzi non leggessero più, che vedessero soltanto la televisione, che in ossequio della maggioranza fa vedere cose poco interessanti o addirittura disdicevoli. Invece attraverso questo mezzo oggi i ragazzi si informano, vedono, leggono, scrutano, vogliono sapere. È una cosa che devo assolutamente mettere tra le speranze del futuro.

Hai rimpianti?

Rimpianti sì, perché faccio una vita discreta ma non ho una famiglia mia di discendenti diretti. In quello un po’ di rimpianto c’è. Però fortunatamente ho tanti amici e tanti nipoti.

Che cosa vorresti che accadesse domani?

Innanzitutto che ci fosse il sole perché è comunque un’energia vitale. Poi che squillasse meno il telefonino e che le telefonate che arrivano fossero più interessanti. Anche di persone che confermano di volermi bene.

Progetti?

Il 27 gennaio uscirà il mio doppio disco registrato in un famosissimo concerto registrato alla Canergie Hall l’anno scorso a New York. S’intitola “Renzo Arbore e L’Orchestra italiana at Canergie Hall”. Un concerto sold out di grande successo. E poi esce sempre il 27 un dvd registrato con L’Orchestra italiana a Roma, in piazza del Popolo, con 150 mila spettatori e le immagini sono scioccanti perfino per me che ho vissuto quel momento perché non sapevo che L’Orchestra italiana fosse così amata dal pubblico anche romano che era numerosissimo ed entusiasta. Quindi sono molto gasato per queste due uscite. Sono molto legato all’Orchestra italiana perché è l’orchestra che si può vantare di aver rilanciato la canzone napoletana classica che stava per essere dimenticata dal pubblico italiano, non da quello napoletano.

Igor Righetti
Igor Righetti

Igor Righetti è nato a Grosseto il 25 giugno 1969. Cancro ascendente vergine di cui ha preso tutti i difetti ma anche qualche pregio, è parente diretto di Alberto Sordi da parte di padre. E' massmediologo, giornalista professionista, saggista, docente di Giornalismo, Linguaggi radiotelevisivi e Infotainment in numerose università pubbliche e private, attore, autore e conduttore radiotelevisivo. Ha frequentato il laboratorio teatrale di Mario Fraschetti e la scuola Agimus di musica e canto diretta dal professor Bogi.



Ha cominciato il suo percorso professionale di giornalista al quotidiano “La Nazione” e ha proseguito a “La Stampa” (dove dal 1991 al 1993 è stato responsabile della pagina “Cultura e tradizioni locali” dell’edizione della Valle d’Aosta) e all’Indipendente.



Nel 2003 ha sdoganato la “comunicattiveria” attraverso il progetto crossmediale (radio, tv, Internet, editoria, musica e carta stampata) denominato “Il ComuniCattivo”. Sono 7 gli universitari che hanno fatto tesi di laurea sul programma, sul suo linguaggio, sulla sua creatività e sul suo modo di fare infotainment (informazione e intrattenimento).

Il suo stile di conduzione ricorda gli anchormen anglosassoni; Righetti, infatti, per questo suo modo di comunicare viene definito il “David Letterman italiano”.

Ha scritto i libri “Prove tecniche di comunicazione” e “Il ComuniCattivo e la sua vena creativa” (Guerini e Associati editore). Con Baldini Castoldi Dalai ha pubblicato “Come ammazzare il tempo senza farlo soffrire” giunto alla seconda edizione. Su Raiuno, all'interno di Tg1 libri, è autore e conduttore dell'”Aforisma del ComuniCattivo”. Su Raidue è stato autore e inviato delle due edizioni del programma “Futura city”. Ha ideato e condotto il format del primo radio reality “In radio veritas, la parola alla parola” andato in onda in diretta su Radio 1 Rai.

Per il suo linguaggio innovativo Righetti nel 2005 ha ricevuto il premio nazionale “Penna d'oro” promosso dall'Associazione di cultura nel giornalismo. Nel 2006 ha ricevuto il “Grand Prix Corallo Città di Alghero” per aver ideato un linguaggio moderno dove l'informazione e la cultura vanno di pari passo con l'ironia e l'intrattenimento. Il 6 novembre 2007, come esempio originale di programma di infotainment, gli è stato assegnato il premio internazionale Euromediterraneo destinato ai migliori progetti nazionali e internazionali di comunicazione per lo sviluppo nell'area del Mediterraneo che da sette anni viene consegnato a Bologna in occasione del Com.P.A., il salone

europeo della comunicazione pubblica.



Il 17 novembre 2007 è stato premiato alla 61ª edizione del Festival internazionale del cinema di Salerno come attore rivelazione dell’anno per la sua interpretazione di Carlo Ponte, corrotto assistente universitario di Estetica nella fiction tv “Distretto di Polizia 7”.





La sua attività è rivolta al mondo della comunicazione nella sua globalità. Tiene corsi, master e seminari di giornalismo, linguaggi radiotelevisivi, multimedialità, infotainment, comunicazione pubblica e d’impresa in numerosi enti pubblici, privati e istituti universitari (facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università La Sapienza di Roma, Scuola di specializzazione in giornalismo Luiss, Università Iulm, Istituto Europeo di Design, Scuola superiore della pubblica amministrazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, Università degli studi di Palermo, Quality college del Consiglio nazionale delle ricerche - Cnr, Business school Il Sole24Ore, Campus Mediaset, Istituto di formazione per la pubblica amministrazione – Formez – Roma). Per l’Università degli studi di Udine ha ideato il primo corso italiano sull’“Informazione radiotelevisiva nell’era crossmediale attraverso l’infotainment”.





Collabora con numerosi quotidiani e periodici nazionali.

Ha diretto Lettere – il mensile dell'Italia che scrive , primo periodico italiano dedicato alle varie forme di scrittura.

E' stato responsabile ufficio stampa dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato , direttore comunicazione e capo ufficio stampa di Nazareno Gabrielli e Pineider 1774, dirigente nella funzione di capo ufficio stampa e web content manager di Ericsson Telecomunicazioni. Ha inoltre curato le relazioni con i media di Sony-Ericsson.

Come autore e conduttore televisivo ha realizzato numerosi programmi d'informazione, multimedialità, nuove tendenze e cultura.

Su Videomusic, la prima tv musicale d’Europa, dal 1986 al 1989 ha partecipato come autore e conduttore al programma “Crazy Time” di Clive Malcolm Griffiths e Rick Hutton.

Su Raitre dal 1992 al 1993 è stato autore e conduttore di trasmissioni storico-artistiche e culturali.

Su Raidue dal 2001 al 2003, assieme a Mariolina Sattanino, è stato autore dello speciale in diretta delle Giornate internazionali di studio promosse dalla Fondazione Pio Manzù.

Su Canale 5 nel 2003 ha partecipato come protagonista al programma di Maurizio Costanzo “Isolando”.

Su Stream, nel 2001, ha partecipato a 10 puntate della sitcom “An ice family” con Clive Malcolm Griffiths interpretando ogni volta un personaggio diverso.



Sempre come attore ha preso parte alle fiction tv “Distretto di Polizia 7” e “Ris 4- Delitti imperfetti” e, al cinema, al film di Pupi Avati “Il papà di Giovanna”.



A dicembre 2006 ha ideato e interpretato l’audiolibro “MusiCattiva, la comunicazione fatta a pezzi” (Media Records) in cui ha duettato con Donatella Rettore.

In qualità di massmediologo, autore e conduttore radiotelevisivo è commentatore di programmi Rai, Mediaset, La7 e Sky.