Cosa comunica oggi Fabrizio De André
Era un freddo gennaio di 7 anni fa quando Fabrizio De André, uno dei più grandi cantautori italiani, ci lasciò. Passato più di un lustro dalla sua scomparsa, resta ancora molto di lui. E le nuove generazioni se ne accorgono. Le iniziative, i cofanetti, i greatest hits e i concerti tributo ideati in questi anni per ricordarlo non sono solo abili trovate di marketing, ma anche modi per insegnare ai giovani la lezione di un artista decisamente controcorrente, che con la sua voce dal timbro scuro ed ammaliante, le sue musiche malinconiche e folk, i suoi testi intrisi di pura poesia veicolava messaggi che ancora oggi sono di forte attualità. Mauro Pagani e Morgan sono solo gli ultimi due, in ordine di tempo, che nel mondo della musica hanno voluto omaggiare De André: il primo reincidendo “Creuza de ma”, capolavoro del 1984, il secondo rileggendo a modo suo “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”. «Se hai pietà umana sei un fuorilegge», diceva De André. Nulla di più vero, specie considerando ciò che egli ha scritto nelle sue canzoni, le cui liriche erano spesso e volentieri intrise di questa “pietas”. Una pietas che i più bigotti non sembravano voler capire, quando De André riprendeva i vangeli apocrifi e ne traeva ispirazione e magnificenza. O quando raccontava la storia di Marinella, il sogno di Maria, la guerra di Piero, le disavventure di Bocca di Rosa, tuffandosi nel fiume Sand Creek dopo essere passato per via del Campo, dove “c’è una puttana”. Perché il mezzo è il messaggio, come sosteneva McLuhan, e il cantastorie genovese ha fatto sua appieno questa importante dottrina. Lui camminava sempre “In direzione ostinata e contraria”, proprio come il triplo cd che SonyBmg ha dato alle stampe poco prima di Natale, aggiungendovi tre chicche: la versione inedita di “Cose che dimentico” e i due singoli “Titti” e “Una storia sbagliata”, mai usciti su cd. Va segnalato un elemento di natura acustica, illustrato dal fonico Antonio Baglio: «In occasione di questa raccolta, c’era la precisa volontà di recuperare il suono che avevano gli album pubblicati nel loro anno di uscita, di non perdere mai l’attenzione sulla voce di Fabrizio, di recuperare i toni originali della voce. È stato deciso quindi di “de-masterizzare” i brani per questa raccolta. Sono stati recuperati tutti i nastri Master originali analogici e si è agito sul suono in forma minima». Perché si è agito in questa maniera? Semplice: anche comunicare il suono, specie se si fa riferimento al segnale acustico originario, alla matrice delle fonti, è un modo per contestualizzare temporalmente l’epoca di riferimento dei piccoli capolavori che De Andrè ha sfornato nel corso della sua carriera. Il giudizio di valore lo lasciamo invece ad Aldo Grasso, critico televisivo ma non solo: «Fabrizio era innanzitutto la sua voce, una voce che si riconosceva all’istante come quella di un cantore di razza. Era una voce etica». Insomma, aver perso De Andrè, che era un grande comunicatore nonostante si dicesse che non amasse apparire, è stato un grande danno soprattutto per l’alimentazione di una coscienza civica, ed artistica, che ha sicuramente arricchito l’Italia. Emblematico, in tal senso, questo suo verso: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.