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Il Mistero Toscani

07/03/2006 22974 lettori
4 minuti

Il 21 gennaio, Oliviero Toscani presenta al Pitti bimbo di Firenze la sua nuova campagna pubblicitaria per Nolita Pocket, (nella foto) ma l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria la sanziona: con la motivazione che l’immagine presentata potrebbe urtare la sensibilità dei cittadini e offenderne la moralità, enfatizzando “un’innaturale e impropria sessualità che la rende possibile “oggetto” sessuale”.

Ennesimo scandalo suscitato dal fotografo più chiacchierato ma anche più conteso dalle grandi firme.

E, ancora una volta, si tratta di una censura opinabile, che farà discutere, così come è avvenuto circa un anno fa per la campagna della ditta di abbigliamento maschile Re-re che mostrava due omosessuali baciarsi e “toccarsi all’altezza delle parti intime” (sempre in foto).

Mi pare che chi si interessa di pubblicità non possa non restare perplesso di fronte al “mistero Toscani”: le sue produzioni, aldilà di ogni giudizio personale, sembrano suscitare un incredibile scalpore non tanto per i loro contenuti impropri, quanto semplicemente perché presentano prospettive originali rispetto al solito. Ma non è forse questo che ci si aspetta da un buon creativo? Che sia originale, e che catturi l’attenzione.

Ecco invece quello che l’IAP sostiene a motivo della  bocciatura della campagna Re-re:

"L'ostentazione volgare e provocatoria di situazioni legate all'intimità sessuale porta la comunicazione a scadere in una inaccettabile lesione della sensibilità del pubblico".

E ancora: "Lungi dal volere stimolare un serio e corretto approccio al tema della parità sessuale i messaggi mirano unicamente a colpire l'attenzione del pubblico ad ogni costo, turbandone la sensibilità attraverso rappresentazioni volgari tout court".

Pure, al contrario di un gran numero di campagne analoghe, soprattutto per quanto riguarda abbigliamento e profumi (non credo ci sia bisogno di citarne alcuna, poiché basta accendere la televisione o sfogliare un qualsiasi settimanale per incontrare numerosi esempi), i modelli erano completamente vestiti. Inoltre, cosa più importante, l’atteggiamento generale della scena è piuttosto spiritoso che sessualmente esplicito. Le mani, incriminate per la loro posizione “nei pressi delle parti intime” sono in realtà puntate sui fianchi e paiono avere più che altro la funzione di rima eidetica, l’inquadratura è frontale, diretta, in un certo senso composta, se si pensa al punto di vista obliquo ed invasivo di molte composizioni a sfondo erotico. 

Le scelte di Toscani mi sembrano un raro esempio di ironia e freschezza nel servirsi del tema della sessualità, che ultimamente viene perlopiù trattato con soluzioni piuttosto volgari:  intrecci di corpi nudi e sudati, zoom voyeuristici su labbra seni e glutei.

Leggendo poi le obiezioni sollevate rispetto alla campagna Nolita Pocket, viene da chiedersi se i censori di Toscani abbiano mai gettato una fugace occhiata agli altri spot di prodotti per bambini, o semplicemente siano consci degli stimoli a cui essi vengono sottoposti dal mainstream.

Il “ruolo sessuale ambiguo” presentato nella fotografia mi sembra lo stesso che viene assunto da qualsiasi bambina che giochi a fare la mamma con una bambola, e il fatto che il neonato sia in carne ed ossa mi pare suggerire soltanto una reificazione del mondo fantastico dei bambini, interpretazione che visto l’oggetto della campagna mi sembra tra l’altro più plausibile rispetto a quella della confusione dei ruoli sessuali.

Dovendo considerare un uso poco rispettoso del ruolo infantile in pubblicità, ci sarebbero allora da prendere in esame numerosi spot di abbigliamento in cui bambine intorno ai dieci anni vengono truccate e vestite in modo succinto, e anche qui con risultati che sono comunque più grotteschi che offensivi.

Nessuno scandalo quindi, davanti campagne che sono molto meno sopra le righe di quanto sia oggi concesso dal comune sentire, abituati come siamo al continuo gioco al rialzo nell’ostentazione e nel cattivo gusto.

Come mai allora tante attenzioni e tante polemiche intorno al lavoro di Toscani?

Volendo ipotizzare una soluzione a questo curioso enigma, si può azzardare che la pietra dello scandalo non siano tanto le sue campagne, quanto Toscani stesso (il quale in effetti sostiene:

“perché ce l'hanno con me? Perché gli investitori sanno che se io faccio una cosa ne parlano tutti e questo rovina il mercato.”).

Un raro caso in cui il vero oggetto della pubblicità è il nome di chi realizza  la campagna?

Il dibattito è aperto.